Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 71 autunno 1991 Virginia Pinzi Ghisi 7 Interruzioni nella trama: . etica e verità, nascita e romanzo Sergio Pinzi 15 Un uomo a strisce (epifanie tra memoria e rimozione) Stefano Agosti 43 La costruzione della verità Enunciazione e strutture del rinvio nell'«Arret de mort» Geoffrey Hartman 95 Freud e l'interprete Giuliano Gramigna 121 «Una funicolare dove porta?» Jean Starobinski 136 Cadaveri interpellati Isabella Ducrot 159 Tessuti macchiati e quadri Harold Bloom 177 Per un'analisi del carattere. Amleto Ludwig Borne 197 L'arte di diventare uno scrittore originale in tre giorni Cesare Viviani 203 Lo sguardo dello sconosciuto STANZE Gina Ferrara Mori 208 Per una storia della psicoanalisi dei bambini: una figura di pioniere Eugénie Sokolnicka · 223 Il ragazzino di Minsk: storia di una nevrosi ossessiva

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola a questo numero hanno collaborato: Stefano Agosti, Harold Bloom, Paolo Bollini, Rossana Bonadei, Ludwig Borne, Alba Rosa Cattelan, Isabella Ducrot, Gina Ferrara Mori, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Geoffrey Hartman, Ermanno Krumm, Franco Mori, Eugénie Sokolnicka, Mario Spinella, Jean Starobinski, Italo Viola, Alessandra Violi, Cesare Viviani. redazione: Via Borgospesso 8, 20121 Milano, te!. (02) 794515 editori: Moretti & Vitali editori, Viale Vittorio Emanuele 67 24100 Bergamo, te!. (035) 239104 abbonamento annuo 1991 (4 fascicoli): lire 50.000, estero lire 75.000, e.e. postale 11196243 o assegno bancario intestato a: Moretti & Vitali, , Viale Vittorio Emanuele 67, 24100 Bergamo registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano coordinamento editoriale: Rodolfo Montuoro fotocomposizione e stampa: Grafita!, Via Borghetto 13, 24020 Torre Boldone (BG)

In tutte le tragedie di Shakespeare i personaggi più interessanti sembrano desiderare un destino tragico, il che ci ricorda ancora una volta che una lettura shakespeariana di Freud sarebbe più illuminante di un'esegesi freudiana di Shakespeare. Harold Bloom Prima della Grande Guerra si sarebbe molto sottolineata l'opposizione tra l'uccello, tutto gaio del primo verso e i feroci uccelli castratori del verso 29. La poesia non mi dice nulla di più se, fin dall'inizio, c'è, nell'aria, la presenza del fallo. Jean Starobinski Il senso prodotto da una enunciazione inclusiva di strutture del rinvio, deborda la competenza del Soggetto responsabile dell'enunciazione. Stefano Agosti Questa manipolazione del nome, che ha come punto di partenza il nome del padre, porta al contrario dal nome, dal nome proprio, al nome comune, dall'uomo all'animale, alle sue righe e alle strisce di una vespa, e al suo colore, giallo e nero. Sergio Finzi

Interruzioni nella trama: etica e verità, nascita e romanzo Dicevo che tutti i bambini pensano di essere stati adottati, meno quelli adottati. Questa aggiunta alla formulazione classica del romanzo familiare ce ne dà la misura e la funzione. Innanzi tutto la cambia di segno. Non è una fantasia diretta a crearsi più nobili origini. Tanto è vero che la leggenda che accompagna la nascita di Mosè, o quella di Edipo, la presenta rovesciata. Sono i veri genitori ad essere re. C'è allora una realtà più importante in gioco. Quella della necessità di interrompere la genealogia, quale essa sia. Tutti i bambini adottivi che ho avuto modo di incontrare difendono a spada tratta l'essere davvero figli dei genitori adottanti. Nonostante le spiegazioni che a più riprese vengano loro fornite, non credono a niente di diverso. A diciott'anni, ricordo il caso di cui ho di recente parlato, infine la spiegazione li raggiunge, come un trauma. Come un trauma si inserisce allora l'evento che li toglie dal vivere felicemente l'incarnazione del romanzo familiare e gli fa riconoscere che esistono, anche per lui, dei "veri genitori". La credenza che hanno fino a quel momento tenacemen7

te difeso ha dunque le stesse caratteristiche, le nozioni apprese non la intaccano e riguarda l'origine, delle teorie sessuali infantili, e si evidenzia a livello conscio nei figli adottivi in cui il coincidere tra credenza (l'essere stati adottati) e realtà, rivela brutalmente la natura del trauma. Un trauma è il passare da una porta aperta. Le teorie sessuali infantili abitano il medesimo luogo del romanzo familiare: all'età di circa quattro anni, la configurazione, il ritaglio, la delimitazione di quello che ho chiamato "il luogo della fobia", preso nel paesaggio circostante la casa ma con caratteristiche tali, barriere, scansioni, confini, zone separate, da poterlo leggere in rapporto al soggetto come prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico. Nel luogo della fobia, l'insorgenza delle teorie sessuali infantili risponde al sogno di angoscia che precede la loro formazione e che riguarda il primo prender atto della sessualità paterna. Il trasferimento del pene alla madre è l'innesto nel luogo dell'origine di una "misura", quella di cui parlo in «Nel disegno del rebus: manipolazione del nome del padre e deposito di un'unità di misura nelle teorie sessuali infantili», capace di regolare l'irruzione sfrenata e disseminata del godimento del padre: i granelli di sabbia lanciati dal Mago Sabbiolino non colpiscono più gli occhi, lo sguardo di chi assiste, ma possono ricomporre il limite morbido, la "barriera molle" che fa da confine al mare. Nello stesso luogo, il romanzo familiare interrompe il filo diretto con l'origine e crea uno spostamento nella genealogia. .:- - La sua possibilità di esserci è altrettanto importante che il radicarsi delle teorie sessuali infantili. Due falsità, due credenze, che paradossalmente diventano condizione e fondamento dell'eticità del soggetto. Etica e perversione appartengono a due mondi diversi. Ma non come si crede perché gli atti perversi siano contrari all'etica. Non sono infatti gli atti a farci riconoscere un soggetto come perverso ma la sua posizione e la sua 8

scelta. I due mondi diversi sono uno quello della falsità, in cui notizie false vengono prese per vere, l'altro quello della verità che è abbracciata dal bambino e non più lasciata, l'etica appartiene al primo, la perversione al secondo. Quella verità non più lasciata sarà però l'unica nella vita del perverso che si costruisce nella menzogna assunta a professione. Il perverso, mente, ruba, vive da parassita, del mondo del pensiero del genio dell'arte della tecnica della casa dei bambini di altri, perché è ancora quel bambino che ha detto sì, questi con cui vivo mi hanrio generato, sono i miei veri genitori, e quando chiavano io godo, al posto di mio padre e, insieme, al posto di mia madre. Il trauma, che è alla base della perversione in modo così esplicito, non in quello occulto e camuffato della nevrosi, e lì rivela le sue connotazioni analogamente a come la "nevrosi di guerra in tempo di pace" ha rivelato a Pinzi la natura bellica del trauma e il perché delle esplosioni organiche, è quella porta aperta, che una credenza nelle teorie sessuali infantili non insorge a cancellare (il segnale nel luogo della fobia del formarsi delle "teorie sessuali" è il fantasticare del piccolo Hans di un passaggio attraverso il recinto del Dazio antistante la sua finestra, ignorando il cancello aperto: questa è la "cura" che il bambino si inventa), che il formarsi del romanzo familiare non sposta altrove. Era notte, quando i Greci nascosti nel cavallo fatto entrare in Troia escono ad aprire le porte all'irrompere dell'esercito. Ma già Laocoonte, che avevamo visto gettare la sua lancia contro il cavallo di legno, irato per non essere riuscito credibile presso i Troiani nella sua opposizione a introdurlo in città, e il gesto del gettare già infrange la barriera, arriva con la violenza dei granelli di sabbia o dei piatti infranti oltre la porta aperta di Goethe ricordato da Freud, era ormai morto in riva al mare. È stata Venere, la dea dell'amore, non un altro dio a punirlo, la vendetta 9

è venuta dal mare che gli antichi leggono come un magma seminale, che ha oltrepassato il suo limite con la forma di serpenti che soffocano nelle loro spire Laocoonte e uccidono anche i figli di lui. Se il ventre del cavallo ha partorito nemici, l'esser stato di ostacolo a una porta aperta raggiunge un padre nella propria progenitura, come se ciò che oppone credibilità a credenza impedisse all'adulto quel che si tollera nei bambini: tu l'hai fatto, non puoi credere che sia diverso. Come Giordano Bruno, Laocoonte è vittima del non voler cambiare opinione. Assertore ancora delle teorie sessuali infantili, può come lui essere assunto a sostenitore del libero pensiero. Di un pensiero libero, il pensiero si forma e struttura nel luogo della fobia dove un bambino di quattro anni raggiunge un altissimo livello "teorico" interrogandosi sul vivente e il morto, l'animato e l'inanimato, l'origine e la tecnica, i segni distintivi e la funzione sostitutiva, dalle disseminazioni della psicosi, che salta il luogo della fobia, dagli impacci della nevrosi, che ne è la riproduzione meccanica e affannata, dal potere del "senso comune", che combatte l'originalità in cui si colloca l'arte. Originalità da una parte, origine dall'altra. Il bambino tenta di fondarsi su se stesso e spesso esaurisce la vita in questo lavoro. Se Laocoonte perde con la credibilità (come si fa per la ragionevolezza a ostinarsi in qualcosa di assurdo?) anche la vita, i figli perdono la loro per la coerenza paterna: se vostro padre sostiene una porta chiusa, voi non siete nati. Così per un figlio è necessario avere un padre, ma, quello vero, averlo altrove. Allora può confrontarsi con l'altro, quello da cui non è nato. Il romanzo nasce così, come storia di bastardi, da Fielding fino alla metà dell'ottocento. Sarà il romanzo del novecento nei suoi aspetti deteriori a ricuperare la continuità familiare. Il padre del Conservatorio di Santa Teresa, altri che non Bilenchi, lo richiameranno a casa dalla guer10

ra, mentre il bambino di Romano l'aveva congedato nella distrazione, impegnato a misurare distanze nella campagna attraversata in biroccio. La famiglia di La coscienza di Zeno verrà presa molto sul serio, il congedo di Svevo dall'Angiolina, in Senilità, è il congedo dal sogno extrafamiliare. Senza più distacchi ma con molta partecipazione, non è più la famiglia ad essere un romanzo, ma il romanzo a farsi famiglia. Il senso drammatico della "fine del romanzo" non è altro che un riflesso dello scadimento del romanzo familiare. E quando non si parlò di bastardi, alla sua origine, ma dello stesso atto della generazione, Sterne fa del Tristram Shandy il romanzo stesso dell'interruzione. Tristram è generato da un'interruzione: «Caro ti sei ricordato di caricare l'orologio?», «Accidenti, ma devi interrompermi...». Che cosa stava dicendo mio padre? Nulla, appunto. Di capitolo in capitolo il filo del tempo, del prima e del poi, e del luogo, vengono continuamente tagliati, intersecati, ripresi, spostati, nel breve tragitto che separa il pianterreno dal primo piano il nome di Ermete Trismegisto viene dimenticato, storpiato, tagliato, cristianizzato in Tristram dalla domestica che corre dal parroco al posto del padrone, il padre che proprio allora ha perso quel bottone più indispensabile nella vita di un uomo. Il tema della servitù s'incunea tra padre e figlio e lo ritroviamo nel novecento all'inizio della psicoanalisi come scoperta delle fantasie infantili su domestiche e governanti. Qui è creato lo stacco che mancava a Laocoonte. Il padre sostenitore del grande filosofo e re, Ermete, viene derubricato nella serva. Il nome di Tristram non ha più la stessa grandezza ma proprio per questo Tristram può vivere, e pensare con quel riferimento. Contemporaneamente, in fondo all'orto abbiamo già trovato zio Tobia all'opera delle sue costruzioni di difesa che ripetono, indispensabili per la sua salute, solo in grazia a queste aveva potuto lasciare il letto in cui giaceva immo11

bile per una ferita riportata in battaglia (dove? chiedeva la fidanzata trepidante. Te lo farò vedere. E tra i rossori di lei esibiva una mappa dell'ultima giornata di guerra): le costruzioni di difesa ripetono il luogo della fobia, ma un eccesso di costruzioni, ed è la nevrosi, condanna a un lavorio che non lascia posto al lavoro, a una tecnica che inibisce l'uso della tecnica, occupando, in fondo all'orto, tutto lo spazio disponibile. È la doppia valenza del dove che distingue nevrosi e psicosi dalla perversione. La prima sposta il coito su un campo di battaglia, la seconda soffre dell'esplosione della guerra, una ha avuto la sua mappa, l'altra la rimpiange e ne cerca un sostituto. La perversione gode del coito, e i possibili atti devianti servono solo a preservare il segreto di quel godimento. Se il nevrotico ha un altro padre, e lo psicotico soffre di essere figlio del godimento di quello vero, il perverso vi si alimenta. La sua è una vera famiglia, padre madre e figlio, e mai l'abbandonerà. Il continuum familiare è il contesto in cui procede senza interruzioni, assenza mascherata da continue finte interruzioni interrompere i rapporti le amicizie i simulati amori l'analisi, nel suo presenziare al godimento. Se non genera a sua volta, è per preservare il proprio stato di figlio, ma lo eccita che l'atto sia generativo: è la difesa della famiglia a oltranza. Questo supporta il suo tono moraleggiante che ha preso il posto dell'etica. Ma quell'unica scelta infantile per la verità può anche non rimanere unica. In realtà, il perverso "può" scegliere ancora. E un mio giovane analizzante, tra tanti che fuggono appena gli si svela che mentono, l'ha fatto, e allora l'interruzione consiste nel restare, si depone la buona ragione di cui si è assunto l'analista a testimone e appare la possibilità di una verità diversa che consente di ripercorrere la vita. Dal primo capitolo all'ultimo che dice così: «Che si deb12

ba provvedere alla continuazione della stirpe di un Essere così grande, così esaltato e così simile a Dio com'è l'uomo, io sono lungi dal negarlo». La doppia negazione alla fine del Tristram Shandy ha la funzione come in Sade, che l'usa sistematicamente solo in Adelaide di Brunswick e nella Filosofia nel boudoir, di creare con il romanzo un'altra verità rispetto alla biografia. Manzoni termina il suo romanzo dicendo che non si può parlare del matrimonio. Joyce raccoglie la sfida, ma sposta Molly-Moll in un bordello. L'Adelaide e la Filosofia rappresentano le due possibilità nei confronti del coito. La prima ci dà l'epopea di unamoglie fedele che si mantiene nella castità, la trama di una storia "continua" che nessun accidente può intaccare, tanto che la finzione, l'inganno che riguardaAdelaide può essere svelato solo da una nota esterna, posta dopo la firma dell'autore: è la trama che sostituisce la vita, il coté della perversione che la gela nella fissità della maschera. Adelaide vi appare "casta e pura", ma ciò in cui bisogna credere qui è Adelaide. Il perverso si presenta in analisi come colui al quale bisogna credere. La seconda ci dice che non è in "una sposa fedele e madre esemplare" che bisogna credere. La Filosofia è piena di coiti, ma ciò in cui si crede sono le teorie sessuali. Se oggi la scienza inficia la posizione del pater incertus, allora sosteneva la possibilità che Sade parlasse di godemiché nel contesto di un'uguaglianza del liquido seminale nell'eiaculazione maschile e femminile. La doppia negazione nella Filosofia nel boudoir riguarda non la cancellazione del coito e nemmeno la sua unicità, quello fatto una volta sola da cui siamo nati noi, ma il coesistere, a suo riguardo, di una contraddizione marcata dal disconoscimento della continuità reale. La Filosofia ha una premessa: «Calpestate i ridicoli insegnamenti inculcati da genitori imbecilli». Ma ha subito dopo anche un exergo: «La madre ne prescriverà la lettura alla figlia». E allora? La rescissione del legame con l'origine, la chiusura della porta 13

aperta, il "filo rosso" qui serve alla giovane protagonista per cucire nell'ultima pagina la vagina dellamadre, riguarda insieme il romanzo e il restauro delle teorie sessuali infantili. Ed è l'origine della filosofia. L'ultimo capitolo del Tristram Shandy apertosi con il dubbio sull'opportunità di continuare la stirpe, può chiudersi allora come il romanzo inizia, con la voce della madre: «Signore Iddio!- disse mia madre, -che cos'è tutta questa storia?». «La storia d'un Gallo e d'un Toro, disse Yorick. E una delle migliori nel suo genere eh'io abbia mai ascoltato», dove questa volta non è il padre a rispondere, ma come prima la serva ora gli si sostituisce il buffone del padre di Amleto, «persona di straordinaria fantasia», a interrompere la coppia il teschio interrogato risponde dall'al di là del buon senso, dal punto della massima saggezza, con quel che in inglese significa, «storia d'un gallo e d'un toro»: una falsa credenza al posto di una verità familiare, "una grossa panzana", ma una delle migliori. . Virginia Finzi Ghisi 14

Un uomo a strisce (epifanie tra memoria e rimozione) Quale sia l'incantesimo da cui è stregato Gregory Peck nel film di Hitchcock noto come «Io ti salverò» (Spellbound, «Incantato», 1949), non è affatto chiaro. Il personaggio che ci viene incontro nel film come il dott. Edwardes è invece qualcuno che lo incarna e che lo recita, che dà vita a unmorto. Apprenderemo infatti alla fine che questo qualcuno ha assistito all'omicidio del famoso psichiatra che lo aveva in cura: forzato dal suo antico senso di colpa per aver provocato in un gioco la morte del fratellino ha smarrito la memoria assumendo nome e personalità della vittima illustre. Incantesimo è dunque quello esercitato dall'attore che recita la sua parte in un film, ma anche quello del personaggio, il malato di nervi afferrato dal morto che si era prodigato per restituirlo alla vita conducendolo con sé sui campi di sci. In omaggio al sistema dell€ stelle del cinema, il fascino è d'altra parte quello dell'amore che scocca come scintilla dallo sguardo di Ingrid Bergman, che a sua volta entra negli stessi panni dello psichiatra defunto per riportarlo sulle nevi e far ritrovare alla sua ombra vivente la memoria e un corpo da cui essere amata. Ma se l'attrazione amorosa sorge dallo stesso punto in cui il morto è penetrato nel vivo, 15

siamo costretti a cedere all'ultimo rovesciamento che mette lo spettatore, in rappresentanza di ogni uomo, nel posto dell'affascinato cui l'angoscia adduce i residui, come dice Freud, di «antichissime esperienze traumatiche», di violenze preistoriche che il rapporto di discendenza ha riattualizzato nell'impensabile di essere stato goduto al mondo da un padre. Nel participio passato del titolo, affascinato, si delinea la posizione del soggetto di partecipazione passiva all'urto, allo «choc» che Freud definisce costante del godimento impersonale che lo attraversa. A differenza della tragedia antica nella realtà non avviene l'uccisione del padre e la verità di ogni coito è il distacco del soma che muore dal sopravv�nire del plasma immortale. Mentre lo spettatore segue e comprende la trama del film, mentre la sua coscienza, come insegna il Valéry di Variété II a proposito di Rembrandt, è tutta presa «a ritrovare e nominare le cose ben definite», Valéry confessa di aver lungamente sognato a quell'«arte sottile» che permette al pittore di «agire insidiosamente sullo spettatore mentre il suo sguardo è attratto e fissato su degli oggetti netti e riconoscibili», i dati significativi del quadro: contemporaneamente a questi noi riceviamo allora l'azione sorda, e come laterale, «di macchie e di zone di chiaro-scuro». Lo stesso quadro offre così «due composizioni simultanee, una dei corpi e degli oggetti rappresentati, l'altra dei luoghi della luce». È da questa «geografia della luce e dell'ombra», insignificante per l'intelletto, che viene a costruirsi un'arte a più dimensioni, a organizzarsi i dintorni e le profondità delle cose esplicitamente dette. L'elemento formale, agente di un incantamento di secondo grado rispetto a quello effettuato dalla trama del «giallo», è nel film in questione il ricorrere interminabile delle righe. Le righe della forchetta passata sulla tovaglia dalla giovane psichiatra Costanza Petersen al pran16

zo di benvenuto alla clinica turbano una prima volta il falso dott. Edwardes. Lo scuotono le righe nere della vestaglia della donna e poi le righe del copriletto che le lascia scoperto solo il bel volto addormentato. «Tracce di sci sulla neve» sarà alla fine la rivelazione di «che cosa significano le righe per lui». Ma il motivo delle righe trascende le particolarità del racconto: le righe feriscono la mano dell'infermiere graffiata con due solchi da un paziente in crisi; proiettate dalle veneziane, tagliano a fette il paziente che crede di aver ucciso suo padre; solcano il corpo del dott. Edwardes quando si parla del suo presunto libro sul complesso di colpa: il suo busto è attraversato da strisce quando parla con IngridBergman dell'innamoramento, «è stata una luce intensa»; si imprimono sul corpo di due donne immobili come vestito di luce a un coro da tragedia; segnano i muri delle stanze, calano dalle ringhiere delle scale, dalle strutture delle stazioni che disegnano una architettura carceraria del mondo, sul viso del protagonista. Nere sbarre davanti alla bocca del bigliettaio, rappresentante della legge, ottengono di essere enunciate come una regola universale. Le righe sono contemporaneamente collegate al trauma e all'amore: avvolgono la donna innamorata, compaiono sulla parete della camera da letto dopo la piacevole gita in campagna; sono le rotaie su cui corre la coppia mentre il rumore del treno copre il primo litigio, sono le tracce degli sci su cui i due scivolano verso l'abisso. «Formò il suo nome con le labbra senza mai pronunciarlo, come se la ripetizione potesse ridare il suo significato alla parola, e riportare alla vita il referente». Questa frase che si trova al termine di un libro di Ian McEwan, Cortesie per gli ospiti, segna il tragitto che nel mio lavor ? di questi anni ha compiuto il nome proprio, 17

un tragitto forse inverso a quello segnato da Freud e a quello soprattutto poi accentuato da Lacan - ricordiamo come nel caso dell'uomo dei lupi l'insetto con strisce gialle sul corpo, la «espa», vespa, conduce attraverso il ricordo di un trauma sessuale infantile alle iniziali del suo nome. La vespa come elemento animale, ma soprattutto come colori, righe, conduce alla scoperta del nome proprio. Per me invece la manipolazione del nome che ho messo alla base della sanità psichica, quindi come finalità dell'analisi e persino come cura della psicosi che lo psicotico cerca di autogestire, come fondamento del sogno, della serie di sogni con cui il nevrotico cerca di tornare padrone di una propria tecnica che lo faccia uscire dall'ambito della sua nevrosi, di una tecnica cioè creativa che non sia semplicemente la stessa tecnica della nevrosi, quella di costruire difese e sintomi; questa manipolazione del nome, che ha come punto di partenza il nome del padre, porta al contrario dal nome, dal nome proprio, al nome comune, dall'uomo all'animale, alle sue righe e alle strisce di una vespa, e al suo colore, giallo e nero. Ci sono casi difficilmente catalogabili nelle strutture psichiche che già la psicoanalisi conosce che mi hanno portato a definire una categoria nuova che, proprio come il libro di Ian McEwan che ho appena citato, ha come centro, la guerra. Parlando della luce e del buio, delle macchie e dell'impatto degli elementi formali, Valéry parlava di guerra. L'accostamento tra Cartesio e Rembrandt, la ragione e il combinarsi di zone oscure e illuminate, il grande filosofo e i piccoli filosofi nelle stanze del pittore olandese, avviene alla vista di un convento di frati Minimi, a Parigi, che la guerra ha trasformato in caserma. lan McEwan, che è nato pel 1948, sembra avere l'età classica di quei casi di nevrosi che ho chiamato «nevrosi di guerra in tempo di pace», l'arco delle persone che ho esaminato e che manifestano la sindrome particolare, l'in18

sieme caratteristico di sintomi psichici e organici che la compongono, è costituito di individui nati, direi, tra il '42 e il '60. Chi è il nevrotico di guerra in tempo di pace? Un sogno ci conduce sulla via stessa con cui lo psicoanalista può tentare una diagnosi differenziale: può cioè individuare un nevrotico di guerra in tempo di pace, distinguendolo da altri tipi di nevrotici, dall'isterico, dall'ossessivo, dal fobico, e dallo psicotico. Ecco il sogno, che è di una donna, una persona che vive una vita normale, che ha una famiglia, dei figli, una professione, e che è nata nel '45, quindi alla fine della guerra, giusto allo scadere della seconda guerra mondiale. Sogna di entrare nel negozio di un antiquario - e già la parola antiquario ci mostra che il sogno si indirizza a una rivisitazione del passato, ma non, per definizione, dello stesso passato che può appartenere all'arco della vita di un soggetto. In questo negozio è presente la figlia di un'amica del padre. Si delinea una struttura complessa che sembra alludere a un possibile "amore" del padre e alle sue conseguenze. La sognatrice si aggira un po' tra le cose esposte ed è introdotta dalla giovane, descritta come magra, con gli occhi neri, per niente somigliante alla madre (e qui l'insinuazione della somiglianza invece col padre della sognatrice), in una stanzetta dove le viene mostrato uno scrigno che contiene «delle pietre color gra� nata, tra rosso e arancio». Più in alto vi è un altro scrigno con dentro delle pietre di un colore verdino e grigino, precisa: «un grigioverde bellissimo, chiaro pallido, un po' sul grigio tipo ardesia». Le pietre dello scrigno superiore sono «piatte sotto e curve sopra»; viste da vicinomostrano delle ditate, delle impronte di pollice, come delle macchie, tranne una bellissima, perfetta, pulitissima. Si tratta di un sogno caratterizzato da un'estrema attenzione alle forme e ai colori; vengono descritte con precisione le tinte, ma sarebbe meglio dire le mezzetinte, le 19

sfumature, le nuances; e le forme pure vengono tratteggiate con estrema accuratezza. Se poi facciamo caso a come i colori vengono definiti, troviamo che le pietre sono innanzitutto color granata, e questa parola ci immette sorprendentemente proprio in uno scenario bellico, uno scenario un po' arcaico che rimonta alla prima guerra mondiale e appunto a quelle nevrosi di guerra, le nevrosi traumatiche da cui venivano colpiti i combattenti, che erano chiamate «choc da granata». La sfumatura «tra rosso e arancio» indica un passaggio di tinte, da una tinta a un'altra, di una tinta in un'altra tinta. Trascolorare, trasecolare sono effetti fisiognomici ed emozionali della sorpresa, dello choc. Per le altre pietre, così ben formate, con una conformazione arrotondata, la precisazione evidenzia un grigioverde, di nuovo il tratto bellico, la divisa dei soldati che rimanda ancora una volta alla prima guerra mondiale. È importante notare come le pietre nello scrigno più alto vengonomostrate per la loro bellezza, per la loro perfezione formale, piatte sotto e curve sopra. A questa perfezione si giunge però attraverso una sorta di processo evolutivo: le pietre sono variamente "segnate" da macchie, impronte, fino all'ultima che si rivela invece di una purezza senza macchia. L'accenno alle impronte digitali fa capire che sono in gioco questioni di discendenza: di figliolanza, riconoscimenti, attribuzioni di nomi. La doppia graduazione, di colori e di forme, segna il passo della paziente che sale le scale. Sale una scala di legno, con dei gradini rossicci, «un bel colore caldo». In alto, dove la scala poggia al muro, un buco lascia intrave- . dere da sotto una luce diffusa. Con un senso di vertigine si svela così la fonte, la scaturigine dell'espansione graduata dei colori e delle forme: questa fonte è la luce, l'elemento della luce, che appare come un quieto fuoco sottostante. Subito dopo la frase che ho riportato dal romanzo di McEwan e che appartiene all'ultima pagina del li20

bro c'è questa indicazione: «Il giovane la precedette nel bagliore solare». Il nome non detto è collegato a una luce che è quella del sole. Riprendiamo il sogno. Di sopra c'è un lungo tavolo, e qui siede l'antiquario, di fronte alla sognatrice, che si accorge che una sua scarpa gli è finita tra i piedi, e si allunga per recuperarla. In una stanza accanto la stessa sognatrice è con il padre e la madre; il padre la critica con asprezza, lei svia il discorso parlando della borsa, della pagina economica, ma il padre continua a criticarla. Dietro la porta semiaperta l'amica del padre la difende guardandola in modo incoraggiante. Dove sfocia questo sogno così "astratto", così centrato su aspetti formali? In un confronto col padre: è come se tutte queste forme, i colori, le macchie, la luce diffusa, la scala che mostra delle strisce da cui traspare la luce, conducessero a un incontro con il padre. Da sogni come questo, si tratta di un «sogno tipico», si riconoscono i casi di nevrosi di guerra in tempo di pace. Le persone interessate non hanno avuto in realtà nulla o ben poco a che fare con la guerra, e la guerra non viene pertanto riconosciuta da loro come causa o terreno dei loro problemi. Di fronte a queste persone, che abbiamo visto nate verso la fine dell'ultimo conflitto mondiale o negli anni successivi, le esplosioni degli anni '60, quella fragorosa del rock e quella silenziosa della televisione, sembrano riprodurre la scissione del lampo dal tuono, dello scoppio dall'assenza di rumore che informa il ricordo, quando c'è, dei bombardamenti. Nei loro sogni, oltre alle caratteristiche che ho indicato, al di là della distinzione di contenuto manifesto e contenuto latente o pensieri del sogno, il segreto è nascosto alla superficie, nell'animazione cromatica e luminosa delle forme. L'«alta definizione» di viciss}tudini della luce (intensificazioni, abbassamenti) e dei colori traduce una terminologia che indirettamente fa riferimento alla guerra, come qui 21

le granate e il grigioverde: riferimento che si mantiene rigorosamente chiuso o almeno così sembra stando al discorso del paziente. Infatti nel suo corpo le cose avvengono altrimenti. Anche qui, come i movimenti delle labbra della Mary di Cortesie per gli ospiti potevano senza voce ridare il suo significato alla parola, così nel corpo dei pazienti, muto, appare un trombo, un valore alterato della composizione del sangue, un'ectasia. Dal nome alle tracce, la negazione apparente dell'impronta sulla pietra perfetta ci parla di una serie di impronte che i secoli hanno lasciato sulla psiche dell'uomo. La letteratura, l'arte, come i sogni, a volte invera in anticipo ciò che la psicoanalisi tarda a scoprire. Nella loro vita molte di queste persone presentano dunque problemi di salute fisica, come se la guerra, non trovando la via della rimemorazione, della possibilità di verbalizzazione, dovesse manifestarsi in sintomi corporei. La loro vita sembra minata dall'attesa di un crollo incombente. La «lotta continua» che appare così ingaggiata prende le caratteristiche di una «guerra di natura», e della lotta darwiniana per l'esistenza. Potremmo dire che questa nevrosi è riconducibile a quelle che Freud nel suo periodo giovanile chiamava le «nevrosi di sopravvivenza». Un confronto è sempre in atto con qualcuno di più anziano, appartenente al passato, una lotta al passato, non per il futuro, per esempio con un parente più vecchio, una nonna, un nonno, quasi che ci fosse una gara su chi deve morire prima, come se il vecchio mirasse a prevalere sul giovane, ciò che è morto su ciò che è vivo. È quasi una lotta per cercare di sottrarsi alla legge del morto che afferra il vivo. Sempre ciclicamente scossi e attraversati da alti e bassi, si riconosce nella vita dei nevrotici di guerra in tempo di pace l'impronta delle grandi mutazioni di fortuna cui la guerra ha dato luogo. Perché la guerra non è fatta soltanto di combattimenti ma anche di spostamenti di confini, di divisioni di imperi, di improvvisi impoveri22

menti, di enormi arricchimenti. E qui entriamo nella sfera dell'etica. La problematica di superprofitti, frodi e sottrazioni o di accaparramenti si riflette stranamente, sempre con riferimento, per esempio, a un antico fallimento dei nonni, a un cambiamento, appunto, nelle fortune familiari del passato, si riflette nella instabilità, nella precarietà, in situazioni di costante incertezza lavorativa. Ma di più: incontriamo l'esecuzione di forme peculiari di uno psicodramma che trae senso solo dall'ambientamento in un tempo di guerra. Essi vivono come reduci, come profughi, come perseguitati, sembrano quasi dei deportati nella vita, hanno un rapporto con i treni, con le ferrovie, con i mezzi pubblici, con gli enti pubblici, che ricorda le situazioni di costante allarme che sono caratteristiche della guerra. La loro esistenza si svolge in uno stato di emergenza cui si addice un'altra "etichetta" dimenticata di Freud, quella di «nevrosi di pericolo». Nevrosi quindi di sopravvivenza, perché la condizione di vita sembra essere una costante lotta al limite delle forze fisiche e morali; nevrosi di pericolo per l'esposizione a rischi e incidenti di ogni genere; potremmo aggiungere però ancora nevrosi di sopraffazione. Freud usa questo termine di nevrosi di sopraffazione a proposito dei traumi sessuali subiti da bambini piccoli di fronte a persone molto più grandi di loro, quindi in un rapporto di enorme disparità, sproporzione di mezzi. I nevrotici di guerra recano in sé la traccia di un'offesa, di una violenza, di cui però non si trova riscontro nella loro storia. È come se avessero subito un sopruso, una sorta di stupro originario di cui portano un marchio di invalidità permanente. La riparazione è problematica dato che la via della rimemorazione è impossibilitata dal ritardo della nascita sul fatto traumatico. D'altra parte il lavoro onirico utilizza le forme manifeste di un trauma bellico mai vissuto allo scopo di illustrare e rappresentare un trauma sotterraneo e latente che ri23

guarda qualcosa cui ha cominciato a introdurci la nozione di nevrosi di sopraffazione. Dietro il trauma bellico si profila un altro trauma, che è relativo al padre, e in particolare al godimento del padre. Riconosciamo dei tratti psicotici. Lo psicotico è figlio del godimento del padre nel senso che il bambino, nel momento in cui circa all'età dei quattro anni si accorge della sessualità dei genitori e si pone per la prima volta la questione della propria origine, se non risponde a queste istanze che gli provocano caratteristici segni di angoscia, con la costruzione delle teorie sessuali infantili (nascita dall'ano, la credenza di un pene alla madre), sanziona la propria esistenza con un'identificazione al prodotto del godimento del padre. La disseminazione dello sperma non fa che comparire in varie forme, dalla polvere in età infantile ai calci sparati in rete per gli adulti, nella vita dello psicotico. Nei disegni dei bambini vicini alla psicosi, la guerra si lega all'immagine paterna del sole quando i tratti, i segmenti di un'eruzione, collegano un missile alla sfera celeste. Così, per esempio, le gradazioni di luce, nei sogni, il giallo, il rosso, avvicinano e allontanano dal sole, che rappresenta l'irradiazione minacciosa, pericolosa e devastante del godimento del padre. È l'immagine che lo psicotico ha di una disseminazione, di una specie di panspermia per cui dalla diffusione dello sperma, come sabbia ghiaia polvere di vetro, nascono figli dappertutto. È come se in questa esplosione di luce e di colore fosse contenuta la rappresentazione psicotica di un godimento incontenibile e devastante, e se questa stessa immagine esplosiva, di un'esplosione che abbiamo visto essere collegata alla guerra, conducesse all'idea di un'esplosione di natalità. Le strisce, i colori, le variazioni di luce non sono confusi. Essi obbediscono a delle leggi rigorose. Sono queste che ci portano a cogliere un ulteriore passaggio. La graduazione, di forme colori e luci, governa un processo per cui da una nevrosi traumatica che rimanda a una ne24

vrosi di guerra e che nello sfondo lascia intravedere una nevrosi collegata al rapporto col padre e con il suo godimento, si giunge a una «guerra di natura», a un trauma originario che segna la storia dell'umanità. Le strisce, i colori, le macchie conducono al padre, ma al padre come progenitore della specie: sono queste le impronte di cui parlavamo. C'è in questi sogni quindi qualcosa che ci riporta indietro, come saltando il passaggio dell'adolescenza, verso i quattro anni, al primo tempo della vita sessuale umana. Freud parla infatti di due inizi della vita sessuale umana e considera questa la nozione più importante per la psicoanalisi e per la comprensione dell'uomo. Io preferisco parlare di due culmini della vita sessuale umana, proprio per sottolineare che sono due momenti di piena possibilità amorosa e orgastica. Il bambino di quattro anni ha un culmine, un picco di sessualità equivalente a quello che si raggiunge nell'adolescenza. Il dramma sta nel fatto che questi due culmini non sono successivi, sono compresenti in quanto esiste, sempre in attività, nella famiglia, l'altro culmine, l'altro picco della sessualità tenuto dal padre: il padre è qualcuno cui non si richiede di rinviare l'esercizio della sua sessualità. Nelle nevrosi di guerra in tempo di pace possiamo leggere un processo a ritroso che dalla fase del secondo culmine, cioè il momento in cui l'adolescente raggiunge, matura una propria sessualità che può risolvere il confronto nella distinzione, riporta alla fase del primo, della sessualità di un bambino schiacciato dalla presenza della strapotente sessualità paterna. Il disegno di un bambino nella fase di latenza e quindi in teoria in procinto di raggiungere una propria maturità dal confronto con il padre, dà un quadro della situazione. Il bambino in questo caso soffre di gravi disturbi psichici, di un grave disagio, è un bambino fobico che nonostante sia ormai grande non riesce a dormire da solo, 25

..::.-:-. «Una duplice con · ne» figuraz10 /� ---_::,\ ./ .;) . �

deve dormire con i genitori, disturbando quindi la loro vita, la loro intimità. Soffre di angosce, di difficoltà anche di spostamento e di movimento. Che cosa notiamo in questo disegno? Notiamo una casetta che è messa ai piedi di un gruppo di montagne. Questo presenta una duplice configurazione: un monte dalla cima sdoppiata sulle cui pendici poggia la casetta; e una cima solitaria in lontananza. La caratteristica del prill!o culmine è di avere la forma che Giordano Bruno riferisce alla «duplice cima di Parnaso», e che impronta un «cuore bicorne». Insieme al culmine della sessualità infantile, fa corpo anche la cima della sessualità del padre. Questo accorpamento dà luogo a una conformazione che a un mio paziente reduce da una visita alla zona d'origine del Vaiont fece dire che la cima del monte pareva aver subito «il morso di un gigante». Il problema al momento dell'adolescenza è di passare al secondo culmine, che si profila in un isolamento minaccioso. Nel disegno il bambino si prospetta le modalità del passaggio: c'è la casetta, c'è la montagna, ma si tratta di raggiungere l'altra montagna, si tratta di diventare grandi. È un passaggio, però, che non è affatto agevole, pieno di trucchi e false partenze. Tre tracciati indicano tre diversi tentativi. Nella parte inferiore del disegno, che è un ribaltamento del disegno superiore, un sentiero contorto e quasi artrosico è accompagnato dalla rappresentazione nello stile dei fumetti di un'articolazione dolente: è una raffigurazione di stampo psicotico - spesso la psicosi insorge in occasione di fratture - di un sentiero che non porta da nessuna parte, un sentiero abbandonato. Il rischio di psicosi sta qui alle spalle, appartiene a quel fondamento psicotico della nevrosi di cui abbiamo avuto altre volte occasione di parlare. Si tratta qui di un "residuo". Si svolge allora il nuovo tentativo dove ci si propone di arrivare per una via più lunga, più faticosa, per una via in salita. A un certo punto la strada si dilata, forma 27

una sacca, come a indicare una specie di indugio, di stagnazione, come se il sentiero, a un certo punto, non potesse condurre oltre. Finché, finalmente, il sentiero avanza, ma quasi a costo di una Spaltung, di una scissione, di uno spaccarsi del soggetto (è molto marcata, nel disegno, la separazione dei due alberi): si affaccia un rischio di schizofrenia. Questa è una psicosi nuova che minaccia dal futuro, dal punto dell'adolescenza da raggiungere, è il nuovo inciampo da evitare. In questo caso il confronto con la sessualità paterna appare come perdente, come impossibile. Al posto della divisione del nome del padre c'è una scissione del soggetto. Ed ecco il terzo tentativo, che è il tentativo perverso: ecco levarsi un grande uccello, che solleva il desiderio di rivaleggiare con il padre, emblema di una potenza virile capace di innalzarsi in volo e superare l'ostacolo di un passaggio così periglioso. · Questo disegno bene illustra la drammaticità della problematica dei due culmini, una drammaticità che è letteralmente "scritta" nel cuore dell'uomo. Nel De immenso Giordano Bruno mette a confronto i due culmini della sessualità umana quando immagina un dialogo tra due montagne: una è il Monte Cicala, sulle cui «dolci pendici» era appoggiata la casa della sua infanzia; in lontananza invece, lontano come il padre militare, sempre in giro per servizio, si staglia la cupa massa del monte Vesuvio, un vulcano capace di eruzioni, di emettere lava, come la sessualità paterna è produttrice di sperma. Il dialogo tra le due montagne, il dolce Monte Cicala, e il tenebroso, orribile, devastante Vesuvio, riguarda il passaggio, come si passa da uno all'altro. Lo stesso Bruno, che nell'adolescenza ha compiuto in realtà quel passaggio spostandosi dal paese natale a Napoli per entrare fra i Domenicani, riprende da Seneca il motivo della duplice cima di Parnaso che fa da fondale al dramma di Edipo. E ancora Bruno indica la «lettera di Pitagora», la Y, come la lettera che rappresenta per il giovane questo terribile dilemma, il problema di co28

me accedere a una propria sessualità. Che cosa significa, si chiede Bruno, avere il cuore a forma di Parnaso? Significa che la lettera, nella sua forma originaria di cuneo, imprime nella forma umana il sigillo delle forme naturali. E il disegno della lettera ricalca nei sogni sul profilo dei monti il profilo dei volti dei genitori. Caratteristici del secondo culmine sono infatti i sogni di silhouettes, disegni formati dalle ombre, ritratti dei volti dei genitori, messi però su uno sfondo di morte, di lontananza, come i profili delle medaglie antiche, onorati, ma in un certo senso orientati a -scomparire per lasciare il posto all'identità del figlio. In questa messa di profilo, nel bianco e nero, sullo sfondo quindi della luce del sole che rappresenta la minaccia del godimento paterno, delle figure dei genitori, si precisa per il figlio la possibilità di acquisire una propria identità: la messa in profilo è quasi un dimezzamento delle figure dei genitori, l'altra metà può rimanere al figlio. Ma possono presentarsi anche nel1'età dell'adolescenza delle figure di faccia e il "di faccia" è il terribile, è il trovarsi a confronto col padre, faccia a faccia con la sua sessualità, con il suo godimento. Questo "di faccia" è caratteristico dello psicotico il quale si trova permanentemente di fronte al godimento del padre e in questo fronteggiamento è tentato di passare all'atto, cioè di uccidere fisicamente il padre, o di esserne ucciso. Nel confronto si consuma l'esistenza dello psicotico, e l'unica possibilità di durata, di prolungamento di questo duello, è offerta dalla caricatura. La messa in caricatura, la derisione, lo scherno continuo della figura del genitore permette allo psicotico di sopravvivere. La caricatura funge per lo psicotico da sostituto della latenza, da ombra della vivezza eccessiva delle idee. I giovani nell'età di latenza, tra gli otto, dieci, undici anni, fanno volentieri caricature. Molti pittori hanno cominciato con le caricature, ed è questo un modo di cercare di manipolare, di fare qualcosa dell'immagine frontale e insostenibile del 29

godimento del padre. Dunque colori e forme nei sogni dei nevrotici di guerra scavalcano la fase dell'adolescenza, delle silhouettes, del bianco e nero e si riportano al primo culmine, ai primi disegni dei bambini, dal bianco e nero ai colori, con i colori che i bambini usano, le forme che i bambini tracciano, ed è qui che appare l'entità del trauma, perché non c'è stata ancora in questa fase alcuna elaborazione che il periodo di sospensione della latenza rende in qualche modo possibile. Questa "discesa nel disegno" della nevrosi di guerra, dalla silhouette alla caricatura fino al regno dei colori e delle forme frontali, è come perdere i vantaggi della latenza e ritrovarsi nella fase che Virginia Pinzi Ghisi ha chiamato del «fondamento psicotico», cioè in quella fase in cui non si hanno ancora strumenti difensivi adeguati contro le rappresentazioni della sessualità. La latenza infatti, nello sviluppo normale, è ciò che permette la costruzione di una serie di difese, che vanno a costituire poi la nevrosi, ma che permettono di maturare, di sostenere le difficoltà di questo passaggio. Le costruzioni di difesa che si formano nella latenza sono fortemente limitative della creatività del soggetto, marcate tra l'altro spesso dalla perdita repentina della capacità di disegnare, già la caricatura esibisce l'incapacità, o il rifiuto, di una riproduzione, sono frutto però di un'attività coerente rispetto alla psicosi. I sogni in analisi, che accendono i colori, le gradazioni, le intensità, le macchie, le strisce, tornando a un periodo antecedente, che precede le costruzioni di difesa, rimettono in un certo senso in gioco la psicosi: è come se questi sogni in analisi rimettessero il soggetto di fronte alla possibilità della devastazione. Le costruzioni di difesa, già il termine richiama il linguaggio bellico, sono solo apparenti nei nevrotici di guerra in tempo di pace, come nei fobici scarseggia la strutturazione del luogo della fobia. Trauma bellico e trauma sessuale, nei nevrotici di guer30

ra in tempo di pace vengono a coincidere, perché qualcosa di primordiale non è stato dimenticato. E il padre che ha vissuto in prima persona, direttamente o indirettamente, l'esperienza della guerra - il padre e anche la madre - offre lui stesso al nevrotico di guerra in tempo di pace la possibilità di elaborazione con un profitto minimale, un sintomo, quello di catturare - come dice Freud - il «tema dei genitori», e di farne il nucleo della sua specifica nevrosi e il movente della sua facoltà di sognare. Nato, come abbiamo detto, nel 1948, Ian McEwan, figlio di un militare di carriera, si chiede spesso se non sia in realtà nato nel 1940. La prima parte della domanda, che è quella dell'adolescenza, in cui il confronto con il padre ipotizza la possibilità di un'esplosione, viene travolta dalla seconda che riporta all'indietro a un tempo della realtà psichica che precede la realtà della nascita. Tra Cortesie per gli ospiti del 1981, dal quale sono partito, e Bambini nel tempo che è invece del 1987, McEwan pone un "silenzio" che è in realtà il contrario del silenzio di quelle parole mute che chiudevano il primo romanzo. Questa volta il silenzio del narratore sta per una verbalizzazione, un suono che si afferma sull'.immagine: McEwan si occupa esplicitamente di guerra impegnandosi nei movimenti per la pace. Al di là di questo tempo, nel 1990 si trova a dichiarare, nella prefazione dei suoi nuovi libri, che il decennio trascorso è stato caratterizzato da un prevalere della guerra, dall'imporsi di uno stato bellico nelle condizioni dell'umanità, con gli armamenti nucleari, il timore della guerra atomica, la distruzione della natura, Chernobyl. Queste parole sono quelle non dette dal personaggio di Mary dinanzi al corpo morto di Colin. Se Cortesie per gli ospiti è il romanzo della nevrosi di guerra in tempo di pace è perché il soggetto non sa che veramente si tratta di guerra ma parla da un luogo dove i segni prendono il posto di suoni intollerabili. Non lo sa al punto che in A move abroad nell'89 McEwan dirà di 31

aver smesso di scrivere romanzi perché il romanzo non ha niente a che fare con la militanza ideale nei riguardi della guerra. E tuttavia A move abroad è, secondo le sue parole, una vacanza all'estero, una vacanza dal romanzo nella quale appare come questo dar voce a una militanza sia invece una specie di sosta, un riposo dalla fatica di indossare permanentemente la grigioverde divisa del reduce, quella di Cortesie per gli ospiti, che è il romanzo del reduce del 1940. Ed è anche, curiosamente, il rovescio della vacanza dal romanzo, è una vacanza nel romanzo perché l'«abroad» dell'89, rispecchia gli «strangers», gli stranieri in vacanza nell'81 a Venezia. Allora vediamo quanto sia poco vero, che il romanzo sia estraneo alla guerra. In questo romanzo del 1981, quindi contemporaneo all'esplodere dell'angoscia per la guerra in McEwan, ritroviamo tutti i tratti che abbiamo descritto per i sogni dei nevrotici di guerra in tempo di pace. E ritroviamo una struttura, un apparecchio e una configurazione luminosa. Che cos'è questo apparecchio? Sono le persiane delle finestre. Che cos'è questa configurazione luminosa? Sono le strisce che escono dalle persiane delle finestre, strisce luminose che si proiettano sugli oggetti e sulle persone. Qual è la struttura? «Ogni pomeriggio quando la città oltre le scure persiane verdi cominciava ad animarsi...». La città è Venezia dove si trovano due coniugi stranieri in vacanza. Fin dalle prime righe, si parla di persiane e il romanzo è interamente racchiuso nel giro completo di una finestra. All'inizio le persiane sono chiuse, poi via via nella descrizione, nel proseguire della vicenda, le troviamo semiaperte, spalancate a un certo punto, poi semichiuse. Capitolo 1 sono chiuse, capitolo 5 sono semiaperte, capitolo 10 - sono dieci capitoli in tutto - sono chiuse. In questo giro di persiane quattro personaggi: i due coniugi che si riscoprono, riescono a ritrovare un interesse fisico l'uno nell'al32

tro, fanno l'amore, superano la stanchezza del loro rapporto; e poi l'ingerenza, l'interferenza di un'altra coppia: persone ambigue, equivoche, che seducono i due coniugi e li attirano in un'amicizia torbida, dai contorni perversi vagamente omosessuali, e li portano poi a una scena tragica finale, alla consumazione di un rito, di una sorta di sacrificio nel quale il giovane, il bel marito, il Colin della coppia forestiera, viene ucciso. Che cosa avviene in questo movimento, in questo giro completo delle persiane? Tutte le vicende drammatiche del romanzo, ma anche qualcosa che accompagna e spiega gli avvenimenti. È come se avessimo due racconti, uno che è il racconto della trama, del contenuto del romanzo, e un altro che è un racconto di vicissitudini della luce. «Attraverso le persiane socchiuse il sole al tramonto proiettava un rombo di strisce arancioni sul muro della stanza. Grazie presumibilmente a un movimento di cirri, le strisce sbiadivano e si offuscavano per tornare poi a brillare». All'inizio, il colore era delle persiane, verdi. Ora il sole ha spostato il colore altrove, in strisce che appaiono e che hanno qualcosa del colore del sole, sono strisce arancioni. Ma alla fine, nel punto della consumazione dell'atto terribile dell'uccisione del protagonista, il protagonista è stato ucciso, il suo corteggiatore perverso lo ha immobilizzato e gli ha reciso l'arteria del braccio, il sangue è sgorgato, e la moglie che si trovava stordita da un sonnifero - però aveva assistito a tutta la scena - ecco che questa giovane moglie«... lo vedeva da molto lontano anche se quella visione escludeva tutto il resto. Seduto di fronte a una piccola pozza arrossata dal rombo di luce a strisce proiettato dalle persiane ora socchiuse», un ulteriore spostamento. Ecco il movimento delle persiane, prima semichiuse, spalancate nel momento in cui avviene l'aggressione, ora che tutto è stato consumato, di nuovo socchiuse: dov'è finito l'arancione, il colore? L'arancione sembra scampar33

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