Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

è una mediatrice degli inferi, e tanto meno ne è un simbolo. Certo, ha a che fare con il simulacro chiuso nel Sileno, con l' agalma da cui si è cominciato. Ma solo in quanto richiama, organizza intorno a sé figure profondamente significative - giacché, se ho detto a proposito dell'«Interludio», che la scena non vi era ancora legata a un senso, non ne discende che ora ne abbia acquistato uno preciso, discorsivo, negoziabile, ma che è entrata in un effetto di significazione. Queste figure sono: acqua, nebbia, latte. Ciò che il testo afferma di esse, è una peculiarità che può essere enunciata come «identità di sé a sé» («perché è nebbia, e la nebbia è nebbia») e insieme come convertibilità continua di una sostanza (verbale, fantasmatica) nell'altra («e il latte / nei bicchieri è ancor nebbia...»; «è lei che apre alla nebbia che acqua / (solo acqua di nebbia) ha nella nebbia...»), in una successione di fadings. A questo modo, l'identità scorre attraverso i vari elementi della catena senza trovare un momento d'arresto, un telos. Ma l'abbaglio-a-specchio, o se si vuole la tautologia infrenabile dell'ultima strofa, va a ricollegarsi con il ritornello prodotto dalla clausola strofica, dall'«alt» autoriflettentesi; vi si ricollega in un modo obliquo epperò tanto più rimarchevole, attraverso il ricorso di tre lettere: ALT - LATte. Anche senza disturbare la grande ombra dell'anagramma, non si potrà ignorare questo aggancio, e la sua natura. Tanto più che a confortarlo, in qualche modo, a livello semantico interviene la serie latte -latteria -luogo ove chiedere l'alt: luogo di salvezza o di dannazione, come resta continuamente impregiudicato nell'ateologia di Caproni. Allora, si vada anche a leggere l'attacco e il finale di «Alba»: «Amore mio, nei vapori di un bar...» «che da quelle porte/ qui, col tuo passo, già attendo la morte» (la sottolineatura è mia). 133

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