Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

dio non solo perché, come il pubblico, ama Amleto, ma perché distante dalla passione, dall'interesse personale, dalla vita. Noi siamo Orazio perché anch'egli è spettatore ad Elsinore, benché tra il pubblico sia l'unico ad aver preso definitivamente posizione. Nonostante Amleto possa contare sul suo e sul nostro affetto, non è di questo che ha bisogno: piuttosto, ha bisogno che Orazio sopravviva per poter raccontare la sua storia, e di noi come suoi destinatari; non gli serve la nostra passione. Considerare il valore di Amleto come personaggio letterario significa entrare in un labirinto di speculazioni passate e presenti che ci sorprendono per diversità e autocontraddizione. Le personalità di Amleto sono molteplici, una vera miscela di Io diversi. L'eccesso è il suo marchio, come lo è di Falstaff, ma, pur se complesso, l'entusiastico ardore di quest'ultimo non è paragonabile al vitalismo di Amleto, né alla sua esuberanza negativa. Per costituirsi come la principale rappresentazione di un individuo dell'intero corpus della letteratura occidentale, occorre essere un eroe epico, o almeno storico, e non il protagonista di una «revenge tragedy». Una coscienza priva di confini come quella amletica meglio si presterebbe ad una «quest» faustiana, ad una ricerca di Dio, o ad un progetto di rinnovamentonazionale. Tutto quello che Amleto deve fare (ammesso che veramente lo debba fare), è abbattere Claudio. Non serve un Amleto per vendicare un padre; un Fortebraccio sarebbe più che sufficiente. Ci chiediamo dunque cosa possa aver spinto Shakespeare a istituire una tale sproporzione tra personaggio e impresa. Non è tanto la grandezza di Amleto rispetto ad Elsinore a sorprenderci, quanto la ricchezza del suo personaggio rispetto alla tragedia; come Nietzsche sembra essere troppo estetico per la filosofia, così Amleto eccede i confini della tragedia. Non sarebbe difficile immaginare Amleto nel ruolo di interlocutore di Freud o Nietzsche, 192

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