Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

ne tanto lontana dal tardo Caproni, teologo in negativo!), lasciandolo in bilico fra feticcio, oggetto parziale, soprattutto oggetto del desiderio. Certo, c'è una bella distanza, tutte proporzioni fatte, fra quel discorso e il discorso che abbozzo a proposito di una questione strettamente letteraria. Tuttavia quei suggerimenti o rintocchi possono farsi sentire con vantaggio fin dentro alle «Stanze». Dopotutto non dispero che, anche per merito loro, alla fine della nota si riesca a dare se non uno statuto vero, una fisionomia e una operatività più precise al simulacro che starebbe all'interno del testo caproniano. Intanto, in rapporto a questa che è qualcosa di più di una metafora, si potrà avanzare l'ipotesi, da confermare con il progresso dell'analisi, che la poesia delle «Stanze» vada a situarsi nell'ambito di una accezione particolare della poesia di occultamento/svelamento. 3. Conviene cominciare da una piccola descrizione della forma esterna delle «Stanze della funicolare». Si tratta, per la parte presentata dall'autore con il sottotitolo «Versi», di dodici strofe, di sedici endecasillabi ciascuna, che rimano secondo lo schema abab; cdcd; efef; ghgh - le rime cedendo volentieri ad assonanze, consonanze o a echi fonici ancora più labili. Gli ultimi due versi di ogni strofa sono omoteleuti, ossia terminano sempre con le stesse parole («ora», «alt»); di più, l'assimilazione tende a risalire l'endecasillabo con varianti minime («non è l'ora / questa, nel buio, di chiedere l'alt»; «questa, nel caso, di chiedere l'alt»; «in cui impossibile è chieder l'alt»; eccetera...). Tutto ciò non è irrilevante. Specie se si proceda in accordo con l'osservazione di Ivan F6nagy secondo cui «il messaggio trasmesso mediante le differenti strutture di un testo non si identifica mai con il messaggio verbale contemporaneamente espresso dai mezzi linguistici; e perciò 123

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