Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

Sin dalla prima quartina dell'apostrofe all'impiccato, lo si designa come un colpevole e come un uomo sottoposto al dolore. La sofferenza sopravvive alla morte. L'immobilità del suppliziato è vista come il segno della rassegnazione di fronte a quanto gli fanno i suoi carnefici. «Sopportavi in silenzio questi oltraggi». Sensazioni organiche e insieme stoico coraggio, permangono ostinatamente in seno all'annientamento dell'esistenza. La «bestia più grande», ai piedi dell'impiccato, può essere riconosciuta nell'«animale implacabile e crudele», del quale il poeta aveva prediletto «il gelo», nella poesia XXIV di «Spleen e ideale», o come la donna dalle «unghie» simili a quelle delle «arpie» di «Benedizione». L'apostrofe all'impiccato, nel seguito del testo, si continua in una dichiarazione di identità: Ridicule pendu, tes douleurs sont les miennes18 È il dolore a costituire il nodo della identificazione. Dal dolore postumo dell'impiccato della finzione al dolore dichiarato dal soggetto poetico, il passaggio ha luogo mediante l'artificio di una simpatia retorica. Giacché l'impiccato è immaginario, il movimento affettivo rappresentato dal poeta è esso stesso il simulacro di un mimetismo istrionico. In «Il cigno», il termine ridicule («comico») andava di pari passo con il movimento di appropriazione e di intenerimento. Solo allorché diventava il «mio grande cigno» la bestia diveniva ridicola: Je pense à mon grand cygne, avec ses gestes fous, Camme les exilés, ridicule et sublime19 • Il ridicolo segna lo scacco, lo sforzo impotente: lo stesso vale per «I ciechi» che alzano vanamente la testa verso il cielo, e sono così «in qualche modo ridicoli». Condividendo la sofferenza dell'impiccato, il corpo del 151

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