Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

come termine della vita; e l'altra- di cui dà atto, si può dire ad ogni riga, il racconto in questione-, la quale consiste nel mantenere-in-vita la morte, nella trasformazione della morte, in quanto evento esterno e senza proprietà, nella morte come appartenenza e luogo proprio del Soggetto, nella trasformazione insomma della morte nel «morire», di cui in vari luoghi del Pas au-delà, su cui interverremo più avanti. In questo secondo caso, la morte come «morire» rappresenta il «trionfo della vita». Si legga, nel finale del racconto, quando la prova, per Nathalie, si è finalmente compiuta: p. 124 «une puissance superbe, su.re d'elle-méme, heureuse non certes de mon accorci qui lui était bien inutile, mais de sa victoire sur la vie». Ed ecco la citazione relativa alla seconda prova cui è sottoposto il Narratore, e di cui si riferisce, simme.tricamente all'inizio della seconda storia: p. 55 «J'ai vécu quelque temps avec une personne obsédée de l'idée de ma mort. Je lui avais <lit: "Je crois qu'à certainsmoments vous avez envie de me tuer. Il ne faut pas résister à cette envie. Je vais écrire sur un papier que si vous me tuez, vous agirez pour le mieux"». Per quanto riguarda il piano diegetico, possiamo perciò postulare che si tratti di un unico Attante maschile - che, per aver «ricevuto» la morte, assolve il compito di dare la morte e la vita-, sdoppiato in due Attori, protagonisti rispettivamente della prima e della seconda storia. Attori che, ovviamente, si sovrappongono nel gioco dei rinvii, alla pari degli altri Attori (femminili) del racconto. Ad esempio, la figura del medico- datore, per professione, di vita e di morte sul piano fisiologico- rappresenta il doppio aberrante, tragicamente comico, della figura del Protagonista dell'una e dell'altra storia. Così, l'essere del Protagonista per metà di là dal muro, o magari del tutto, quale può risultare dalle parole di J. all'infermiera, trova nella seconda storia una lunga serie 62

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