Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

che il Socrate di Platone è in grado di fornirci un esempio così forte e autorevole della complessità dei processi cognitivi. Eppure Amleto è un uomo d'azione, oltre che un intellettuale; anzi, è proprio la sua componente intellettuale a configurarsi come anomala. A rigor di logica, egli dovrebbe assomigliare di più a Fortebraccio che non a personaggi dall'ingegno straordinariamente acuto, come Rosalina o Falstaff, o dal grande ma corrotto scetticismo, come lago o Edmund. Il ruolo di eroe della coscienza occidentale, che Amleto ha impersonato sin dagli esordi, mal si presta a essere definito dalle antinomie bene/male, dove Amleto starebbe in un punto tra Rosalina e Edmund. Harry Levin ci mette in guardia contro un'interpretazione sentimentale della tragedia di Amleto, contro la «conclusione oscurantista secondo la quale è il pensiero la vera tragedia di Amleto, un uomo che pensa troppo, impotente perché intellettuale, e la cui nemesi è il collasso dei nervi, la depressione nervosa». Certamente Levin ha ragione: Amleto non pensa troppo, ma troppo bene, e dunque è già, prima di Nietzsche, al di là di Nietzsche. Amleto rinuncia all'arte, e muore a causa della verità, diventando egli stesso la verità nell'atto di morire: la sua non è la tragedia del pensiero, ma una nietzschiana tragedia della verità. Il personaggio di Amleto è l'esempio più significativo di quello che Max Weber definisce carisma, vale a dire il potere di un singolo individuo sulla natura e dunque, infine, sullamorte. È soprattutto la qualità universale del fascino di Amleto a renderlo interessante: l'unica rappresentazione di una personalità secolare in grado di competere con quella shakespeariana sembrerebbe quella di Re Davide nel secondo libro di Samuele, sebbene la figura di Davide, pur se di enorme portata storica, non sia propriamente secolare, e dunque in grado di sminuire l'unicità di Amleto. Dopotutto, Davide ha l'eterna benedizio187

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