Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

siamo costretti a cedere all'ultimo rovesciamento che mette lo spettatore, in rappresentanza di ogni uomo, nel posto dell'affascinato cui l'angoscia adduce i residui, come dice Freud, di «antichissime esperienze traumatiche», di violenze preistoriche che il rapporto di discendenza ha riattualizzato nell'impensabile di essere stato goduto al mondo da un padre. Nel participio passato del titolo, affascinato, si delinea la posizione del soggetto di partecipazione passiva all'urto, allo «choc» che Freud definisce costante del godimento impersonale che lo attraversa. A differenza della tragedia antica nella realtà non avviene l'uccisione del padre e la verità di ogni coito è il distacco del soma che muore dal sopravv�nire del plasma immortale. Mentre lo spettatore segue e comprende la trama del film, mentre la sua coscienza, come insegna il Valéry di Variété II a proposito di Rembrandt, è tutta presa «a ritrovare e nominare le cose ben definite», Valéry confessa di aver lungamente sognato a quell'«arte sottile» che permette al pittore di «agire insidiosamente sullo spettatore mentre il suo sguardo è attratto e fissato su degli oggetti netti e riconoscibili», i dati significativi del quadro: contemporaneamente a questi noi riceviamo allora l'azione sorda, e come laterale, «di macchie e di zone di chiaro-scuro». Lo stesso quadro offre così «due composizioni simultanee, una dei corpi e degli oggetti rappresentati, l'altra dei luoghi della luce». È da questa «geografia della luce e dell'ombra», insignificante per l'intelletto, che viene a costruirsi un'arte a più dimensioni, a organizzarsi i dintorni e le profondità delle cose esplicitamente dette. L'elemento formale, agente di un incantamento di secondo grado rispetto a quello effettuato dalla trama del «giallo», è nel film in questione il ricorrere interminabile delle righe. Le righe della forchetta passata sulla tovaglia dalla giovane psichiatra Costanza Petersen al pran16

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