ca un ruolo capitale. La navigazione al largo di Citera si situa in un passato indeterminato, del quale il poeta si ricorda con grande nettezza: l'impiccato è un «povero cristo caro alla mia m�moria». Ma il vedere questo «povero cristo» aveva risvegliato, nell'animo del poeta, l'immagine di «un tempo» (jadis) lontano, le reminiscenze di più «vecchi» dolori. Nel momento in cui navigava al largo di Citera, il viaggiatore era già un essere ferito, la cui memoria era gravata da scene crudeli: l'apparizione dell'impiccato le ha ravvivate, ha costituito l'occasione di un patetico riconoscimento. Il passare vicino alle coste di Citera è perciò avvenuto in un momento intermedio di colui che parla adesso. Ma questo scorcio di una storia personale rivela tutto il suo senso soltanto inscrivendosi sullo sfondo di una storia molto più vasta: quella che si svolge fra l'età delle divinità pagane e la modernità cristiana, fra il regno di «Venere antica», e il dominio del «Dio» che colpisce il peccatore. La figura dell'impiccato assume, in tal modo, una strana dimensione: incarna, nella sua putrescenza, il passaggio da un'era all'altra. Per «l'infamia dei culti» cui ha partecipato questo «figlio di Citera» appartiene all'evo antico, fa parte dello stesso mondo della sacerdotessa, ha celebrato la grande Dea nei suoi templi. Tuttavia il suo cadavere è appeso, ai nostri giorni, sopra «un deserto di rocce che turbano acri strida». Il piacere non è più innocente; su di esso è piombato l'interdetta. L'impiccato ha pagato con la vita una longevità che si rifà ai due momenti estremi della storia. Apostrofandolo, il poeta lo compiange, ma, in pari tempo, si presenta come il portaparola della riprovazione del peccato. E, identificando le proprie sofferenze con quelle dell'impiccato, il poeta si assume la punizione per avere, come il suppliziato, reso omaggio all'idolo e celebrato, nelle «feste del cuore», una felicità senza verità. L'impiccato è stato soltanto un segno evocatore, che ha 153
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