Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

Tuttavia, per la critica letteraria, benché la cosa riguardi anche la psicoanalisi, il problema è di capire perché tale desiderio, che è insieme idealizzante e mortale, e che sembrerebbe appagato nella seconda stanza della poesia, non risulti più disturbante per il linguaggio del poeta. Anche se la morte non si presenta che come idea, ci si aspetterebbe che lo spirito si destasse per chiedersi a quale tipo di inganno ha voluto prestarsi. Eppure, benché si possa dire che la lirica si muove verso un'assenza di parola - se interpretiamo lo spazio vuoto tra le due strofe come un'ennesima elisione, o, di fatto, come una lesione - Wordsworth lascia che il discorso continui senza alcuna traccia di consapevolezza colpevole. Gli occhi dello spirito possono anche essere aperti, ma la scrittura resta imperturbata. A mio parere, la curiosa ma efficace compiacenza di Wordsworth può essere avvicinata all'eufemismo: non a quello di tipo artificiale, come la sostituzione di una pa- · rola sgradevole con una gradevole, o come il cospargere di fiori un cadavere; ma un eufemismo concreto, più grossolano forse, un balsamo ricavato dal linguaggio comune, dalla sua obliquità inconscia e dalla sua innata predisposizione ad evitare il silenzio. Il termine eufemismo può essere inadeguato, ma con esso voglio indicare una qualità che si oppone all'eccesso di coscienza e di demistificazione. In generale è compito del critico letterario smascherare gli eufemismi che si presentino nella sfera letteraria, psicologica o politica. Quando Freud rivela ad una paziente il significato di uno dei suoi sogni «floreali», questo «smise del tutto di piacerle». Uno smascheramento kakangelico può dimostrarsi necessario, anche se non sono molti coloro che si spingerebbero con Kenneth Burke ad apprezzare il metodo di Freud in termini di un «lavoro di scultura fatto sugli escrementi», la cui applicazione letteraria potrebbe essere la lettura del verso di Keats «Beau110

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