che sta crescendo di non abbandonare i loro desideri primigeni, di morire piuttosto che diventare un comune mortale. Questa impasse è piuttosto evidente nel testo da noi analizzato. Diviso in due parti, dove alla separazione formale dello spazio bianco corrisponde quella esistenziale della morte, l'epitaffio non registra disincanto. La mitica fanciulla muore, ma questa parola sembra farle torto; la sua consistenza siderale viene mantenuta nonostante la morte, perché il senso con cui il poeta interpreta la sua immutabilità si approfondisce, riconvertendosi in un'immagine di partecipazione mistica con il pianeta terra. Esiste una perdita, ma anche il calcolo dei guadagni e delle perdite, che nelle due strofe vengono soppesati come su due piatti di una bilancia. Il loro punto di equilibrio è costituito proprio dall'impasse di cui parlavamo: meglio una simile morte che morire alla luce di un giorno qualsiasi. Pensare che questa sia l'unica lettura possibile, vorrebbe dire attribuire un tale valore all'eternità da eclissare la vita umana. La mia analisi ha cercato di cogliere la complessità di uno stato che può richiamare esperienze religiose o stati patologici, ma che viene da Wordsworth percepito come una costante immaginaria, comune a tutti, e incurabile. A coloro che chiedano un'interpretazione più cogente o che desiderino conoscere l'esatta natura dei sentimenti del poeta, posso solo suggerire una sua citazione dalla famosa ode Intimations of Immortality from Recollection of Early Childhood. Anche il fiore più insignificante, scrive Wordsworth, gli può dare «thoughts that do often lie too deep for tears» [«pensieri che giacciono spesso troppo profondi per le lacrime»]. Quella fanciulla è diventata uno di quei pensieri. Ma persino qui ci troviamo di fronte ad un eufemismo. Chiamare qualcosa «un pensiero troppo profondo per le lacrime» non equivale forse ad un'ingegnosaperifrasi per indicare l'incapacità di provare dolore? Se dobbiamo 116
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