prendere la figura alla lettera, questa inabilità sembra essere più una forza che una debolezza. «Troppo profondo per le lacrime» suggerisce un luogo - un luogo psichico - al di là degli impeti della passione o dei sentimenti, quasi che Wordsworth desiderasse questa solenne immunità. Allo stesso tempo però, definire queste parole eufemistiche significa riconoscere che il loro valore di commozione fa sì che il lutto non risulti assente, ma continui in altre forme. Il lavoro della scrittura sembra aver sostituito il lavoro del lutto. Esiste dunque un legame tra scrittura e dolore tale per cui la scrittura, come alcune delle fatiche di Ercole della psiche descritteci da Freud, ha come fine quello di distaccarci dall'oggetto perduto e di riattaccarci al mondo? Il mio scopo principale è stato qui quello di cercare di capire ma anche di delimitare il modo di interpretazione kakangelico di Freud. Wordsworth mi è stato d'aiuto nel dimostrare come l'eufemismo possa essere un aspetto comune del linguaggio piuttosto che un suo artificio, soprattutto quando si attiva il lavoro del lutto - vale a dire, quasi sempre. Ho sostenuto inoltre che questo eufemismo non può essere demistificato, in quanto non si tratta di una semplice figura retorica volta a coprire la nuda verità: l'analisi attenta di una poesia di Wordsworth ci rivela infatti che la situazione è molto più complessa. Gli eufemismi più forti in Wordsworth sono anche quelli più naturali; sembrano appartenere al linguaggio più che esservi imposti. Non servono né ad evadere dalla realtà né ad abbellirla. Possiedono un'energia e una forza proprie, in grado di opporsi alla doppia minaccia mossa al linguaggio: quella, scontata, che deriva dalla perdita; ma anche quella, inattesa, che deriva dall'estasi, sia pure in forma di ricordo, e dunque toccata anch'essa dalla perdita. Ho fatto talvolta riferimento agli eufemismi in termini di eufemìa innanzitutto perché abbiamo a che fare con una caratteri117
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