Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

ciò stesso, in un tempo postumo rispetto a quello del récit, intuisce la presenza di questa «prova», non essendo in grado di riceverla, precipita in una «crise étrange», assai prossima ad un'agonia: p. 10.) Ma per l'analisi del brano finale non posso che rinviare al testo di Derrida, non inferiore certo all'oggetto su cui si applica. Voglio solo aggiungere che il dono del «moulage», del simulacro di «Nathalie», da parte di «lei» al Narratore, l'affermazione gloriosa della vittoria del «morire»(«-Oui, cria-t-elle, oui, oui!»), e cioè della vittoria sulla vita, si danno non più nella camera-cripta dell'hotel della rue d'O. - ove comunque il simulacro, la «cosa vivente per l'eternità», è stato deposto - bensì nella camera di Nathalie: come, appunto, la doppia resurrezione di J., avvenuta nella camera di lei e il suo dono della duplice rosa: «une rose par excellence» (ma in questo caso, è solo la seconda rosa che viene effettivamente donata). La camera della rue d'O., in definitiva, è soltanto lo spazio che consente - attraverso l'attuazione della prova (l'«épreuve») - l'elaborazione del dono, sia nell'una sia nell'altra storia (che sono, come si è dimostrato, la stessa storia, la stessa in quanto altra: «je continuerai cette histoire»), lo spazio in cui il récit si dice, si pronuncia due volte, nella differenzaidentità che rappresenta il solo modo -impossibile -di affermare la verità. L'incarnazione della «pensée» è quindi duplice (il «moulage», la rosa), come due sono le storie incorporate nel récit, in quell'ulteriore, conclusivo e glorioso simulacro della «pensée» che è il récit, il récit intitolato L 'Arret de mort. Trascrivo ora, per concludere, alcune considerazioni del Blanchot riflessivo sul «morire», che forniscono importanti precisazioni sia sull'uso di questo termine, fatto nel corso della presente lettura, sia sulle relazioni che tale 91

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