Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 71 - autunno 1991

della duplicazione) e, contemporaneamente, di sottrazione dello stesso ad ogni possibilità di appropriazione, semantica o concettuale. Il Narratore «s'arrete», ma la storia continua. Continua nella differenza-identità del rinvio, che è il luogo stesso - a-topico e iper-topico - della verità. Ed è ancora per questo che il Narratore può affermare, sempre all'inizio della seconda parte: p. 54 «La vérité sera dite, tout ce qui s'est passé d'important sera <lit. Mais tout ne s'estpas encore passé» (corsivo nostro). Dunque, la storia come costruzione, continua; l'evento-verità come scrittura del testo, non cessa di prodursi. Il rinvio, per definizione, è infatti iterabile all'infinito mentre il senso che promana dalla differenza-identità non conosce arresto alla sua linea di fuga. È sintomatico, in proposito, come il testo, sul piano diegetico, offra quasi la rappresentazione in re dei suoi punti di fuga. Si tratta di tre frasi, pronunciate da J. e da Nathalie- e quindi espresse, linguisticamente, nelle forme di altrettante «enunciazioni rappresentate»-, registrate o non registrate o cancellate dal Narratore. Le tre frasi- che rinviano l'una all'altra in quanto ciascuna è appunto indicativa (e segnaletica) del punto di fuga del senso, e non solo di questo, come si vedrà-, hanno ogni volta a che fare con l'evento-verità (avvertiamo che ci stiamo servendo di questo termine, «evento-verità», sia per designare, come qui, il fatto sul piano diegetico, sia per designarne la costruzione sul piano squisitamente testuale). «Une rose par excellence»: la parola della resurrezione (Derrida), totalmente enigmatica, intraducibile, è pronunciata due volte da J., ogni volta all'approssimarsi dell'evento-verità, ed è registrata, specularmente, quattro volte nel testo del racconto (pp. 43-44). Questo significante allo stato puro (questa «rosa sulla più abissale delle cripte»: Derrida, p. 204) opera un foro nel tessuto del53

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