Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 77 primavera 1993 Sergio Pinzi 5 Il baule dell'architetto Andrea Brunetti 9 Ulisse e il viaggio immobile Massimo Lollini 21 L'ombra della città del sole Italo Viola 41 Anabasi nel Nuovo Mondo John Donne 83 Inno a Dio mio Dio, nella mia infermità Paola Zaccaria 87 La parola meteca di Djuna Barnes Paola Colaiacomo 91 Senza guardare indietro Marta Castigliani 114 Horacio Quiroga: le disposizioni pulsionali nel destino di uno scrittore Mariarosa Mancuso 139 Guardarsi indietro: il monumento e la chiacchiera Gianni De Martino 170 Lo scriba e il tiranno, note su trance e scrittura Myra Iehlens 204 Relazioni vere e impressioni false: sulla colonizzazione del nuovo mondo

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola a questo numero hanno collaborato: Paolo Bollini, Rossana Bonadei, Andrea Brunetti, Marta Castigliani, Paola Colaiacomo, Gianni De Martino, John Donne, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Myra Iehlens, Ermanno Krumm, Massimo Lollini, Mariarosa Mancuso, Flaminia Nicora, Mario Spinella, Italo Viola, Paola Zaccaria redazione: Via Borgospesso 8, 20121 Milano, te!. (02) 794515 editore: Moretti & Vitali editori, Viale Vittorio Emanuele 67 24100 Bergamo, te!. (035) 239104 abbonamento annuo 1993 (4 fascicoli): lire 60.000, estero lire 75.000, e.e. postale 11196243 o assegno bancario intestato a: Moretti & Vitali, Viale Vittorio Emanuele 67, 24100 Bergamo registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano fotocomposizione: News, Via Nino Bixio 4, 20129 Milano stampa: Grafita!, Via Borghetto 13, 24020 Torre Boldone (BG)

Il baule dell'architetto Fino all'invenzione della fotografia il viaggiatore colto portava con sé, in un baule apposito, tutto l'occorrente per il disegno. Il disegno o l'acquarello. Con questi semplici mezzi, si trattava di arricchire, di reperti e reliquie, un proprio privatissimo gabinetto scientifico. La raccolta privilegiava le rovine, grandiose macerie di nubi e paesaggi, lo sprofondare di opere d'arte neglette, lo sconfinare delle anticaglie nel primitivismo, della bellezza nel folclore. A due giovani tedeschi discesi con spirito romantico per il tradizionale viaggio in Italia, sulle colline di Firenze una stessa mano omicida ha strappato insieme lacerti del corpo e un album da disegno. Disegno, viaggio, e i confini del corpo rivelano nel trag ' ico incontro con la struttura perversa del "mostro" omicida ciò che li accomuna: il rapporto all'origine. Darwin segna il momento cruciale di un cambiamento. Il disegnatore_:_ ce n'era ancora uno ad accompagnare il viaggio del Beagle intorno al mondo- cede il passo al fotografo. Un suo cugino fu tra i pionieri della nuova tecnica e inventò un procedimento di sviluppo. Ed è difficile immagznare che la teoria della trasmutazione di tutte le cose, come da giovane egli chiamava la selezione naturale, avrebbe potuto mai 5

essere formulata al di fuori delle ricadute di un'invenzione che permetteva di controllare la genesi e le mutazioni delle forme. La Polaroid ci offre oggi l'equivalente visivo del Origin of species: l'affiorare di forme sempre meglio delineate e precise eppure in via di superamento. I.:eclisse del disegno, nel mentre che ci fa assistere allo svilupparsi di un «Bildungsroman» della terra, determina l'estinzione del viaggio e, al tempo stesso, il deperire della forma romanzo. Le peripezie avventurosamente legate all'essere orfani, abbandonati o adottati, dei primi eroi di romanzo vengono rimpiazzate dall'immobilismo delle interrelazioni parentali all'interno del nucleo familiare. Come aveva previsto già Bruno nel sedicesimo secolo, il viaggio spinto fino all'estremo di un «andare in infinito» si rovescia all'incontrario in un viaggio all'interno del sangue e delle cellule. Qui avvengono mutazioni, l'ho visto nei casi di quelli che ho chiamato «nevrotici di guerra in tempo di pace», che sostituiscono in un soggetto vissuto tranquillamente tra le mura di casa i segni di una guerra combattuta dal padre, dal nonno, da uno zio. La mappa di un territorio conteso si distende ora su un corpo, come nell'inno di fohn Donne, per disorientare i medici, o disaggregarsi in due emisferi negli occhi della donna amata. Siamo agli inizi di una nuova organizzazione che debordando dai confini dei territori e degli stati deve adattarsi ad abitare nei colori. Non si tratta più di deportare milioni di negri là dove servono, o di confinare gli ebrei nei ghetti, ma di squarciare strutture geografiche, come nella vicina Jugoslavia, e psichiche, alla ricerca della "vera origine". I colori escono dai sogni come segni di un'implosione che ci invita a metterci all'ascolto di un discorso senza parole. Questo può essere l'urlo, il rombo, il silenzio del trauma, ma anche l'avvistare un soggetto non più fatto solo di linguaggio: da una parte mostro è l'assassino perverso di Firenze, dall'altra è la coesistenza di uomo animale e cose. La stessa cosa Oriente e Occidente: dal tramonto delle antiche linee direzio6

nali scaturisce la relatività dei punti cardinali e insieme la pluridirezionalità dello sguardo del soggetto. Jules Verne ci mette da{;anti al problema di una diversa maniera di muoversi. Nel romanzo Hector Sevadac. Attraverso il mondo solare, gli uomini sono immobili. Un pezzo di terra affacciato nei dintorni della costa algerina è strappato dalla sua sede naturale e proiettato a vagare nello spazio fra i materiali di una piccola cometa. Mentre succede che il giorno e la notte, i climi e le maree, la gravità e le stagioni ne risultano totalmente sconvolti, tra gli esseri umani persistono i tetragoni convincimenti della mentalità coloniale, del nazionalismo guerrafondaio e, asse del mondo sconvolto, un fervido inconcusso antisemitismo. Il viaggio del progresso e dell'arroganza imperialistica finisce nella reclusione del capitano Nemo in un acquario, o in quel giro del mondo che si rimangia, riavvolgendosi come la bobina di un film, con l'ottantesimo giorno il tempo necessario a completarlo. Ma l'ebreo sta lì a indicare, come nell'ultima opera di Freud Mosè e il monoteismo, che il viaggio del soggetto è nella dislocazione per cui un errore simile a quello delle teorie sessuali infantili, un nero bianco, una razza che non è una razza, mantiene una diversa origine e appartenenza rispetto a quella dominante della discendenza lineare, e costruisce un'architettura composita e bizzarra in un diverso, variato e colorato, rapporto allo spazio e alla città. Sergio Finzi 7

Ulisse e il viaggio immobile Nell'undicesimo canto dell'Odissea leggiamo la profezia di Tiresia, che costituisce lo scopo e il culmine del viaggio di Ulisse nell'Oltretomba. Possiamo riconoscervi tre temi: innanzitutto l'indovino tebano parla del ritorno dell'eroe, delle peripezie che dovrà affrontare prima dell'arrivo e della vendetta che prenderà sui pretendenti. È la parte più lunga del discorso dell'indovino, e ne ritroveremo gli stessi elementi nel discorso di congedo di Circe (canto dodicesimo), trattati con maggior abbondanza di particolari. Poi Tiresia parla del secondo viaggio di Ulisse, dopo l'arrivo a Itaca e la strage dei Proci, mentre l'ultimo argomento è la morte di Ulisse. Riportiamo qui per chiarezza la seconda e la terza parte: E quando, nelle tue case, i pretendenti li hai [sterminati, con l'inganno o a fronte con l'aguzzo bronzo, prendi allora il maneggevole remo e va' finché arrivi da uomini che non sanno del mare, che non mangiano cibi conditi col sale, che non conoscono navi dalle gote purpuree né i maneggevoli remi che sono per le navi le ali. E ti dirò un segno chiarissimo, non potrà [sfuggirti. 9

Quando, un altro viandante incontrandoti, dirà che tu hai un ventilabro sull'illustre spalla, allora, confitto a terra il maneggevole remo e offerti bei sacrifici a Poseidone signore, un ariete, un toro e un verro che monta le scrofe, torna a casa e sacrifica sacre ecatombi agli dei immortali che hanno il vasto cielo, a tutti con ordine. Per te la morte verrà fuori dal (tt) mare, così serenamente da coglierti consunto da splendente vecchiezza: intorno avrai popoli ricchi. Questo senza errore ti annunzio1 • Queste due ultime parti, più brevi e oscure della precedente, non avranno apparentemente compimento nel poema e saranno trattate più diffusamente in miti e in poemi paralleli, quali la Telegonia, che parla del figlio di Ulisse e Circe, fino ai racconti tardo antichi e medievali, come quello celeberrimo di Dante nel canto XXVI dell'Inferno. Questo lavoro nasce da una ricerca su queste due ultime profezie, con l'intento di dimostrare che già nel tredicesimo canto del poema omerico esiste se non un compimento, almeno un accenno di "soluzione" a questi due avvenimenti (il secondo viaggio e la morte di Ulisse), che si attuerebbe nel momento in cui l'eroe, portato dalla nave dei Feaci, arriva ad Itaca. La profezia della morte e il sonno di Ulisse Tutti coloro che si occupano del sonno nell'Odissea si soffermano su due momenti particolari e tragici iri cui Ulisse, proprio a causa del sonno, non riesce ad evitare esperienze catastrofiche, per sé e per i suoi compagni: il primo è nel canto IX, quando, dopo il dono dell'otre dei venti da parte di Eolo, l'eroe si addormenta stremato e i compagni invidiosi, già in vista di Itaca, aprono il sacco, sospettando un contenuto di tutt'altra natura, e vengono così riportati dalla tempesta sull'isola del dio dei venti2 . 10

Il secondo è nel canto XIl3 , nell'isola Trinachia, quando il sonno di Ulisse permette il sacrificio dei buoi del Sole e la conseguente vendetta da parte del Dio. In entrambi i casi è un sonno foriero di disgrazie e nel secondo episodio, stando al racconto dell'eroe4, è mandato appositamente dagli dei per provocare la fine dei suoi compagni. Ma non solo in queste due occasioni Ulisse capisce che l'addormentarsi può essere pericoloso: in tutto il poema ha paura del sonno e, a differenza di quanto altri hanno sostenuto5, ha un pessimo rapporto con il dormire, tanto che il suo sonno è sempre dovuto a grande stanchezza, e quindi molto profondo. Nell'Odissea molti personaggi sognano (Telemaco, Penelope, Nausicaa, i Proci), Ulisse mai: il suo sonno è sempre funzionale al suo riposo, mai ad avvertimenti degli dei. Questi preferiscono apparirgli sotto mentite spoglie mentre è sveglio, mai gli lanciano sogni premonitori. Dicevamo quindi che Ulisse teme il sonno proprio perché il suo è così profondo da fargli perdere completamente il contatto con la realtà: il sonno gli è nemico, e mai Ulisse ad esso si abbandona volentieri, ma ne è di volta in volta «vinto», o gli si abbandona «per forza» o «nolente»6 • Quando è in viaggio cerca sempre di non dormire: così sulla nave al ritorno dall'isola di Eolo o al ritorno da Calipso7. Spesso non si fida dei compagni, come nell'isola Trinachia, o di chi ha vicino, come nel letto di Circe8 • E solo quando si trova in situazioni sufficientemente sicure, assieme ai compagni, normalmente all'arrivo in un nuovo approdo, si abbandona al sonno, dopo aver abbondantemente mangiato e bevuto. Per tutto il viaggio infatti non dorme mai in presenza di estranei, ma solo con Circe e Calipso, se pure malvolentieri e dopo aver preso mille precauzioni. Solo alla fine delle sue peregrinazioni cambia totalmente atteggiamento: quando si trova a Scheria, dopo aver ricevuto dal re Alcinoo la promessa di essere riporta11

to in patria, non sospetta dei suoi ospiti, pur essendo solo e pur senza conoscerli a dovere, ma si fida di loro a tal punto che «a lui parve gradito sdraiarsi» (VII 343). È questo un cambiamento essenziale nella vicenda del­ .l'eroe: mai in precedenza il dormire gli era sembrato gradevole, e questo stato di mancanza di paura, di piacere fiducioso del sonno prima dell'arrivo ad Itaca si ripresenta quando è sulla nave dei Feaci: ci dice l'autore a lui cadeva sulle palpebre un sonno profondo, continuo, dolcissimo, assai somigliante alla [morte (XIII 79-80) È strano, ma in entrambi i poemi omerici questa similitudine, divenuta topica nelle letterature posteriori, si presenta solo in questo passo, e questo indica a mio parere che l'autore non intendeva quello che noi possiamo intendere leggendo questo verso, ma un'espressione dal significato molto più letterale: Ulisse, al ritorno in patria, è in una condizione «in tutto simile alla morte» (0avfrtoo ayXtçm È0tkwç). Pochi versi dopo, Omero descrive lo sbarco de1 Feaci sull'isola d'Itaca: essi non svegliano Ulisse, ma con il telo di lino e con la coperta splendente lo deposero sopra la sabbia, vinto dal sonno; levarono poi le ricchezze che gli illustri Feaci [gli diedero quando partì, grazie alla magnanima Atena. (XIII 118-121) Tra i doni ricevuti dai Feaci, e in particolare dalla regina Arete, c'erano «uri lindo mantello e una tunica... il solido scrigno... cibo e rosso vino»9 • Questi oggetti ci fanno entrare in una dimensione del tutto particolare, in uno stato di ambigua contiguità fra la vita e la morte che caratterizzerà il canto fino a quando Ulisse non sarà pronto per compiere la vendetta. È piuttosto difficile determinare la funzione letteraria di questo 12

passo: perché Ulisse si addormenta e non si sveglia se non molto più tardi, quan_do i Feaci sono già partiti? C'è come uno stacco tra tutto il racconto precedente del tredicesimo canto, l'arrivo ad Itaca, la descrizione del porto, della grotta delle Naiadi, la partenza e il funesto ritorno della nave feacia10 e il risveglio di Ulisse. Alcuni hanno spiegato questo lungo sonno come un passaggio funzionale al1'apparizione di Atena, ma a mio parere non è una giustificazione sufficiente: altre volte gli dei sono apparsi al1'eroe quando era ben sveglio, come Ermes nell'isola Eea 1 1 • Evidentemente il clima creato dalla narrazione è del tutto particolare: sia gli oggetti che la descrizione stessa della grotta, sulla quale torneremo più avanti, fanno infatti pensare a un clima ctonio. I doni di Arete, il miele che le api depositano dentro ai crateri di pietra, i manti di porpora, che secondo Omero12 sono costitutivi dei funerali solenni, sono, più o meno, gli stessi oggetti che l'eroe porta a Persefone nel suo viaggio nell'Ade: miele, latte (che qui non è presente), vino, acqua, farina13 • Ci sono dunque a mio parere, elementi sufficienti per ritenere che questa sia una prefigurazione della morte dell'eroe, tanto più che troviamo qui anche il panno di lino che avvolge Ulisse: è di lino il tessuto che avvolge l'urna cineraria di Patroclo14 ed è ancora di lino il tessuto che fila la Moira... 15 La profezia del viaggio e l'antro delle ninfe Nel racconto dell'approdo dei Feaci ad Itaca, Omero descrive minuziosamente il porto di Forchis, dove la nave si era fermata: C'è un porto di Porco, il vecchio del mare, nella terra d'Itaca, e sporgenti in esso due coste scoscese, degradanti nel porto, che arrestano il grande maroso di fuori sospinto dai venti furiosi dentro vi sostano, senza cima [d'ormeggio, 13

le navi ben costruite, quando arrivano [all'ancoraggio. E sulla porta del porto è un ulivo con foglie sottili, e accanto una grotta graziosa, buia, sacra alle Ninfe che si chiamano Naiadi. Dentro vi sono crateri e anfore fatti di pietra: e vi stipano il miele le api. Vi sono telai sublimi di roccia, dove le Ninfe tessono drappi dai bagliori marini, [una meraviglia a vederli; e acque perenni vi sono. Due entrate ha la grotta una a borea è accessibile agli uomini, l'altra a noto è serbata agli dei: da li' non entrano uomini, ma è la via degli eterni. (XIII 96-112) Viene dunque data una descrizione molto puntuale della grotta: c'è un ingresso per gli uomini e uno per gli dei; ci sono acque dolci perenni, ci sono alti telai di pietra; i colori dell'antro sono il bianco dei telai e il rosso della porpora filata dalle ninfe. Oltre a ciò, dal punto di vista linguistico, la scelta dei vocaboli è molto accurata, con una alta concentrazione in poche righe di anat vocaboli cioè usati esclusivamente in questo passo da Omero: sono sei in sedici versi: ànogg&yeç (scoscese), n:o-nnem:l')[i:m (degradanti), n0mBwooouoL (stipano il miele), àevaovi:a (perenni), -frewi:egm (serbata agli dei). Un altro termine, àµq:iupogeuç, viene usato altre due volte nei poemi: la prima nell'Iliade e la seconda nell'Odissea16 , intendendo con questo termine in entrambi i casi l'urna cineraria di Achille. Continuano dunque i riferimenti ad un funerale che contribuiscono ad accrescere il clima misterico che è presente in tutta la descrizione. È logico che la funzione narrativa della grotta si ponga come questione molto importante all'interno di questa ennesima digressione del poema. Come mai, in altre parole, c'è una descrizione così minuziosa, un indugiare così prolungato, quando essa non ha a che fare né col porto, 14

né col rifugio per Ulisse (egli viene deposto all'aperto, sopra la sabbia), né infine con le ricchezze, che sono poste ai piedi dell'ulivo, e quindi fuori dall'antro? Non vi sono luoghi simili nel resto del poema omerico, vi sono invece descrizioni di questo tipo all'interno del Timeo e del Crizia platonici, dove si parla della mitica Atlantide. Nel secondo dialogo Platone racconta per bocca di Crizia la guerra sostenuta nella più remota antichità tra gli abitanti di Atene e quelli dell'isola di Atlantide, posta oltre le colonne d'Ercole e regno antichissimo di Poseidone. La descrizione di questa terra è molto accurata: dice Crizia che il dio aveva modificato la natura del luogo, facendovi scaturire sorgenti d'acqua, circondando un monte di acqua di mare, rendendo il suolo estremamente fertile, mentre i figli del dio, avuti da una donna mortale, vi avevano costruito una reggia magnifica, circondata da mura di pietra di vari colori, rosso, bianco e nero. All'interno della reggia c'erano statue d'oro delle Nereidi, le divinità marine al seguito di Poseidone17 • Inoltre Crizia ricorda che la guerra tra gli Ateniesi e gli abitanti di Atlantide era avvenuta novemila anni prima 18 • I particolari comuni tra l'Atlantide di Platone e la grotta delle ninfe di Omero sono dunque numerosi: i più importanti mi sono sembrati questi: 1) Il riferimento alle Ninfe (Nereidi nel Crizia e Naiadi nell'Odissea) 2) La presenza di un dio marino (Poseidone e Forco) 3) Le sorgenti d'acqua dolce (calde e fredde ad Atlantide, nella grotta «perenni») 4) La cromaticità dei luoghi, data dal rosso, bianco e nero delle mura, e dal bianco dei telai, dal rosso della porpora e dal nero dei erateri 5) L'inaccessibilità di entrambi i luoghi ai mortali 6) L'essere i due luoghi circondati dal mare. C'è inoltre un'altra notizia fondamentale, in Platone 15

ma non in Omero, secondo la quale Poseidone aveva crea­ . to quella terra in mezzo al mare «perché a quel tempo non v'erano ancora navi né navigazione»19 , e quindi gli uomini non potevano raggiungerla. La grotta prefigurerebbe dunque lo scenario del viaggio di Ulisse profetizzato da Tiresia: viaggio misterioso, che si spinge oltre la terra conosciuta, per ottenere il perdono di Poseidone. Ma il viaggio nell'antro delle Naiadi non sarebbe più spaziale ma temporale, novemila anni all'indietro, per usare la cronologia che Crizia racconta nel dialogo platonico. Troviamo un'ipotesi simile nel commento allegorico all'antro delle ninfe, del neoplatonico Porfirio, che afferma: I discepoli di Numenio... ritennero che Odissea per Omero fosse nell'Odissea l'immagine di colui che passa attraverso tutti gli stadi della generazione, per ritornare in tal modo tra coloro che sono estranei ad ogni flutto e inesperti del mare20 . Quindi non è certo nuova l'idea di interpretare il viaggio profetizzato da Tiresia «attraverso tutti gli stadi della generazione», cioè nel tempo e non nello spazio. L'espediente letterario di Omero sarebbe dunque quello di far compiere l'ultimo viaggio di Ulisse all'interno della sua stessa isola, che conserva in sé un luogo in tutto simile alla mitica Atlantide: il re di Itaca riesce ad arrivare all'inaccessibile restando a casa sua. Il remo è inutile, si può piantarlo in terra e offrire il sacrificio a Poseidone. Infatti per chi abita in Atlantide un remo non può essere altro che un ventilabro. L'analogia trà il passo del Crizia e la profezia di Tiresia è una forte tentazione: sono sufficienti questi particolari per poter collegare i due racconti ad una remota, ipotetica fonte comune? Da questa lettura l'inizio del tredicesimo canto sarebbe 16

dunque una rappresentazione del futuro prossimo di Ulisse descritto al contrario: prima abbiamo infatti la prefigurazione del suo funerale, poi lo scenario del suo viaggio e infine Atena gli consiglia come sconfiggere i pretendenti: è una visione che potremmo definire, non trovando un termine tra le figure del discorso che le si possa adattare in pieno, stroboscopica: dal punto di vista visivo assomiglia cioè a quell'effetto ottico che tutti abbiamo sperimentato guardando un film western: le ruote della diligenza girano in senso contrario alla reale direzione di marcia. Ma per Omero qual era il senso di questa inversione dell'ordine degli avvenimenti? Si sa che nei suoi poemi campeggia una figura di pensiero, secondo la classica terminologia retorica, che è lo 'ÌJITTEQOV :rtQO'tEQOV, «l'inversione temporale di un avvenimento in una successione continua»21 : lo si ha ad esempio quando Ulisse parla prima di Calipso che del suo viaggio, nel racconto ad Alcinoo, o quando Omero racconta le imprese dell'àvrw :rtOÀ.U'tQO:rtoç all'inizio dell 'Odissea22 • La particolarità di questo racconto del XIII canto è che vengono anticipati avvenimenti che non troveranno posto nel poema o che, nei poemi successivi, saranno narrati in altro modo: qui Ulisse, secondo la profezia di Tiresia, ha una morte che viene «fuori dal mare» (Ès aMç), (ma c'è anche chi ha tradotto, a mio parere più giustamente, semplicemente «dal mare»: ciò potrebbe avvalorare sia la tesi dell'uccisore giunto da lontano sia quella di una morte durante la navigazione)23 • Ben diversa era la morte che si raccontava nella tradizione successiva: Apollodoro, Licofrone e Proclo24 parlano di un figlio di Ulisse, Telegono, che arrivato ad Itaca per conoscere il padre, fu da lui creduto un ladro di greggi: nella lotta che ne seguì Telegono uccise il padre e troppo tardi conobbe il suo delitto. Sulla figura di Telegono abbiamo già fonti molto antiche: ne parla Esiodo nella Teogonia25 come figlio di Ulisse avuto da Circe assieme a Agrio e Latino. Proclo, nella sua Cre17

stomazia, ci informa addirittura che esisteva una T'Y]À.ey6VELa, che faceva parte dei poemi del ciclo epico. Se dunque si deve prestar fede a questa antica tradizione, a Ulisse capita una morte del tutto accidentale, ma, secondo gli antichi, in linea con la profezia di Tiresia. Questa morte era dunque «lontana dal mare» (tl; aMç), cioè nella terra d'Itaca, e mostrava un Ulisse re saggio che cerca di prendersi cura e di proteggere ad ogni costo i suoi beni, confermando i due dati fondamentali del suo carattere, quelli di noÀ.uµ'Y]nç e di KeQòaÀ.foç. Ma tutto questo non spiega il significato letterario del tredicesimo canto: a noi piace invece considerarlo come una presentazione «per contrarium» dell'ultima parte del poema, quella tutta itacese, che simmetricamente racconta un viaggio completamente terrestre e che si conclude nel XXIV canto con una nuova visione dell'oltretomba. Quindi il trinomio vendetta - viaggio - morte viene prima annunziato e poi riassunto nel primo e ultimo libro della seconda parte dell'Odissea. A ben guardare, lo stesso schema narrativo veniva utilizzato nella prima parte dell'Odissea. Nel primo libro infatti veniva annunziato, anche qui «per contrarium», l'argomento della prima parte: il viaggio di Ulisse e quello-di· Telemaco, illustrando gli avvenimenti in successione cronologica, mentre nel racconto sarebbero stati narrati in modo inverso..Lo schema viaggio - liberazione dell'eroe - telemachia viene infatti descritto così: telemachia - liberazione - viaggio (canti II-IV, V-VIII, IX-XII). Questa elaborata presentazione degli avvenimenti nei canti I e XIII potrebbe quindi avvalorare, se ancora ce ne fosse bisogno, una unità di scrittura del poema. Nella sua prima parte, però, c'è una dettagliata narrazione di quanto viene annunziato (Telemachia; partenza da Ogigia e arrivo a Scheria; racconto del viaggio), mentre nella seconda la narrazione dei tre avvenimenti prin18

cipali (la vendetta, il viaggio, la morte) viene esposta in modo del tutto asimmetrico: Omero lascia alla vendetta uno spazio assoluto e richiama il tema dell'oltretomba nell'ultimo canto, che, non menzionando né il viaggio né la morte, potrebbe essere considerato un frettoloso riassunto di un racconto più vasto e corposo. Inoltre se l'indovino tebano è più affrettato nel descrivere il viaggio di Ulisse fino all'arrivo a Itaca, è perché lascia questo compito a Circe, che nel canto dodicesimo con ogni dettaglio spiegherà all'eroe come cavarsela con le Sirene, Scilla e Cariddi, le vacche del Sole26 • La profezia di Tiresia rimane comunque un vero e proprio spartiacque all'interno del poema. Il suo compito era quello di riassumere le mete e i pericoli dei canti successivi e soprattutto quello di dividere gli avvenimenti tra quelli ÈVL JtOV't(ù e quelli Ès ò.Mç, sul mare e lontano dal mare. Infine tornerei all'esempio della diligenza che avevo citato parlando di narrazione «stroboscopica»: il flusso narrativo sembra condurla prima avanti (viaggio - liberazione da Calipso - telemachia nel primo canto) poi indietro (telemachia - liberazione - viaggio nei canti due - dodici) poi ancora indietro (morte - viaggio - vendetta nel tredicesimo canto) poi di nuovo avanti (vendetta - secondo viaggio - morte nei canti quattordici - ventiquattro). Questa discrasia tra i fatti e la loro anticipazione ricorda le operazioni del lavoro al telaio. Infatti il movimento che fa progredire la tela è un continuo avanzare ed arretrare della spola, che svela a poco a poco il disegno della trama pur attraverso un lavoro che sembra contraddittorio: è lo stesso procedimento che usa Omero, per mostrarci a un tempo il suo modo di procedere e lo splendido risultato della sua tessitura. Andrea Brunetti 19

NOTE 1 Od. XI 119-137. La traduzione scelta è quella di Aurelio Privitera, Odissea, Milano, 1984. 2 Cfr. Od. X 28-55. 3 Cfr. Od. XII 335-419. 4 Od. XII 338. 5 Cfr. U. Holscher, Z:Odissea, Firenze, 1991; c. XX, passim. 6 Cfr. Od. VI 2; V 154 e 155. 7 Cfr. Od. X 31 e V 388-9. 8 Cfr. Od. XII 333-337 e X 337-344. 9 Cfr. Od. XIII 67-69. 10 Cfr. Od. XIII 96-186. 1 1 Cfr. Od. X 275-309. 12 Cfr. Od. XXIV 275ss. 13 Cfr. Od. XI 27. 14 Cfr. Il. XXIII 254. 15 Cfr. Il. XXIII 127s. e XXIV 210. 16 Il. XXIII 92 e Od. XXIV 74. 17 Cfr. Plat. Crit. 113a - 116e. 18 Cfr. ibid. 108e. 19 Ibid. 113e. Traci. C. Giarratano, Bari, 1971. 20 Porfirio, De antro nympharum 34. 21 Cfr. A. Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Milano, 1978. 22 cfr. Od. IX 28-31 e I 1-9. 23 Cfr. la traduzione di Rosa Calzecchi Onesti (Torino, 1963) p. 298. 24 Cfr. Apollodoro, Epitome, VII 36; Licofrone, Alexandra 796; Proclo, Chrestomathia 19. 25 Cfr. Esiodo, Theogonia 1011-1022. 26 Cfr. Od. XII 36-141. 20

:Combra della Città del sole l . Il principio della speranza In Atheismus im Christentum Bloch sottolinea la radicale novità rappresentata dalla Bibbia in rapporto al processo di liberazione umana. Il filo rosso (der rote Faden) della Bibbia è rappresentato dall'ontologia des NochNich-Seins (non essere ancora) raccolto in particolare dalle eresie cristiane. È solo nella Bibbia e in particolare nel: la resurrezione di Cristo che si delinea la trasformazione del mondo in una realtà totalmente altra e non presente, quella dell'utopia di un trascendere senza trascendenza, non più vincolato al Dio Signore della teocrazia. Nella sua interpretazione dell'Antico Testamento, Bloch sottolinea la progressiva eliminazione del Dio-Signore-Provvidenza, cui si accompagna una parallela tendenza all'introduzione dell'umano nel divino. Tutta l'esegesi biblica di Bloch è caratterizzata dalla contrapposizione dei due tipi di tradizione che si possono rinvenire nelle Scritture e cioè la tradizione popolare espressfone di un autentico bisogno di libertà e quella sacerdotale, tutta tesa a un uso politico dalla religione allo scopo di dominio. La liberazione dalla teocrazia testimone dell'ingiustizia mondana 21

e della debolezza umana incarnata dalla tradizione sacerdotale, si traduce così nell'attesa del Dio-uomo, il Figlio dell'uomo, che incarna invece la speranza di un futuro migliore, in cui domini la giustizia. L'analisi dei Vangeli e l'esegesi critica, che spesso coincidono con le interpretazioni eretiche, spingono poi Bloch a vedere in Gesù precisamente l'uomo che si insedia al posto di Jahvé, al centro del mistero divino che viene così liberato dalla condizione di statica ipostasi. A Gesù spetta il titolo di Figlio dell'uomo, cioè figlio dell'Adamo celeste che per Bloch assume il ruolo che era stato dell'antidio Prometeo, che si precisa ora nella liberazione delle energie rivoluzionarie insite nell'ateismo escatologico. In questo contesto, come avveniva nelle concezioni religiose e nell'esperienza rivoluzionaria del monaco agostiniano Thomas Miintzer, grande ispiratore di Ernst Bloch, la liberazione dell'umanità si realizzerà in un futuro demitizzato e privato della sovranità divina1 • Pur muovendosi in una prospettiva atea, che come si è visto ha comunque la sua origine nell'interpretazione dei testi biblici e in una particolare lettura della figura di Cristo, Ernst Bloch arriva a indicare nella religione l'impulso originario e fondamentale della tensione verso il superamento della miseria e debolezza umana, verso la ricerca di senso in essa implicita. Da questo punto di vista egli indica nella Città di Dio di Agostino una delle fonti principali delle idee utopiche. In quest'opera infatti Agostino polemizza con la concezione ciclica del tempo propria del mondo pagano e svolge una serrata critica non solo della mitologia, ma anche della filosofia classica2 • Al sapiente pagano viene rimproverata proprio la mancanza della speranza che viene ora presentata da Agostino come virtù cristiana3 • In particolare Ernst Bloch si è concentrato sul momento conclusivo dell'opera, in cui Agostino parla delle età del mondo e della visione della beatitudine eterna. Dopo la sesta età, scrive Agostino, Dio si riposerà come in 22

un settimo giorno e in questo settimo giorno noi saremo noi stessi: «Dies septimus nos ipsi erimus», scrive a sua volta Bloch, secondo cui siamo qui di fronte ad un'affermazione centrale nella storia dell'utopia4 • Il settimo giorno della creazione rimane aperto all'intervento dell'uomo, aprendo la possibilità del contatto tra l'altro mondo, quello della trascendenza divina, e la terra, patria dell'uomo. Del resto nella visione di Agostino le due città, quella dell'uomo e quella di Dio sono permixtae, mescolate fin dagli inizi e solo alla fine della storia, in una prospettiva escatologica dunque, si avrà la rivelazione, e la finale separazione della città di Dio da quella dell'uomo. Il tipo di trascendenza che si instaura sulla terra grazie alla città di Dio che riunisce in un corpo mistico i fedeli, al di là delle stesse intenzioni di Agostino, determina nell'uomo il desiderio di aver creato egli stesso il varco. Il regno di Dio sulla terra diviene così la formula magica del radicalismo rivoluzionario medievale e moderno5 • D'altro canto se è vero che nell'opera di Agostino maturano gli elementi essenziali della dimensione utopica, è anche vero che in questa stessa opera possiamo riconoscere l'emergere di quelle contraddizioni che saranno al1'origine delle aporie dell'utopia nei secoli futuri. Mi riferisco al momento in cui Agostino, interpretando l'Apocalisse, afferma che il millennium non va inteso in senso letterale, ma come allegoria della vita della Chiesa sulla terra 6. Con una sospensione dell'attesa escatologica la Chiesa viene così presentata come «regno di Cristo e regno dei cieli», aprendo la strada agli esiti clericali che si tradurranno nelle pretese di dominio temporale della Chiesa medievale, presenti anche nella Città del sole di Tommaso Campanella, che fin nel titolo riprende la prospettiva universalistica indicata da Agostino nella sua Città di Dio. Questo aspetto è evidente soprattutto nel momento in cui i solari rendono grazie a Dio cantando le gesta degli eroi 23

cristiani, ebrei e gentili, di tutte le nazioni, senza distinzione. Ma in realtà la religione naturale dei solari viene fatta coincidere con la religione cristiana, e nell'opera di Campanella non ci sono le stesse preoccupazioni per la tolleranza religiosa che si trovano nell'utopia di Thomas More7 • Ai solari mancano la rivelazione e i sacramenti, ma per il resto il fatto che una religione naturale sia così simile a quella cristiana, permette a Campanella di dichiarare che quest'ultima sia l'unica vera religione e che quindi diventerà «signora del mondo». Il fatto è che tra l'Utopia di More e quella di Campanella si inserisce la rottura rappresentata dalla Riforma di Lutero e dalla Controriforma cattolica. Questi due eventi fondamentali del mondo moderno determinano una sensibile alterazione nell'orologio dell'utopia. La Riforma e la Controriforma agiscono infatti congiuntamente nel determinare un irrigidimento delle posizioni dogmatiche e un arresto dei tentativi di autentico universalismo religioso che avevano caratterizzato l'umanesimo del Quattrocento. Di questo fenomeno involutivo rimane traccia anche nella New Atlantis composta da Francis Bacon. Infatti, gli abitanti dell'isola di Bensalem, il popolo mitico cui Bacon consegna la sua utopia, grazie a un miracolo divino sono diventati cristiani. Dio infatti ha mandato sull'isola tutti i libri canonici del Vecchio e del Nuovo Testamento quando ancora non erano conosciuti nel mondo civile e ha fatto in modo che tutti gli abitanti dell'isola, Ebrei, Persiani o Indiani, oltre agli indigeni, riuscissero a comprendere i testi sacri che l'azione evangelizzatrice di S. Bartolomeo contribuì a diffondere. In questa maniera la religione cristiana viene ad essere l'unica ammessa sull'isola utopica, se si esclude la presenza di una piccola comunità ebraica che tuttavia, come viene precisato, può praticare la propria religione perché i suoi membri sono diversi dagli ebrei che vivono nelle altre parti del mondo in quanto riconoscono al Cristo la funzione di Salvatore e amano al massimo grado la loro nazione8 • 24

Il fenomeno involutivo legato all'irrigidirsi delle tendenze dogmatiche nel mondo cristiano ha lasciato un segno vasto e profondo nell'utopia di Campanella, che appare caratterizzata dalla ricerca dell'ordine sociale, piuttosto che di un'effettiva liberazione umana9 • Il frate domenicano cerca di mantenere in vita l'attitudine messianico-rivoluzionaria che era stata propria del Cristianesimo, ma in lui questa tendenza, nonostante i tentativi di realizzazione concreta operati in Calabria, viene a confondersi con un'attitudine utopico-ecclesiale che finisce per limitarsi a una costruzione astratta intemporale e totalitaria. Si tratta di un'utopia autoritaria e burocratica, secondo le parole di Ernst Bloch che usa toni durissimi rivolgendosi alla Città del sole da lui intesa come la più estrema antitesi all'utopia della libertà la quale avrebbe poi trovato uno sviluppo coerente nel socialismo centralizzato di Saint Simon; mentre a suo giudizio l'utopia di Thomas More si trova all'origine di una tendenza opposta del socialismo, quella liberale e federativa che ha trovato poi espressione nell'utopia di Robert Owen10 • 2. Utopie e miti Bloch inserisce Campanella nella tradizione dell'immaginazione prometeica del Rinascimento11 ; ma è lo stesso filosofo e poeta di Stilo a identificarsi con la figura di Prometeo nel Proemio della sua raccolta poetica e nel Sonetto nel Caucaso dove istituisce un parallelo tra Prometeo imprigionato nel Caucaso dopo aver rubato il fuoco agli dei, e se stesso imprigionato a S. Elmo in Napoli tra il 1604 e il 160812 . In realtà l'identificazione con Prometeo si accompagna alla contemporanea denuncia della mitologia pagana. In una famosa canzone Campanella si lamenta di coloro che «attendono a poetar con le favole greche» e esalta la figura del nuovo eroe dei tempi nuovi, Cristoforo Colombo, che con la sua impresa ha ironizzato 25

e contraddetto la mitologia, la scienza antica, nonché la stessa teologia cristiana che con Lattanzio e Agostino non aveva saputo riconoscere e prevedere l'esistenza del Nuovo Mondo. L'impr�sa di Colombo e le conquiste degli Spagnoli tendono ad unificare il mondo per uno scopo puramente economico, ma nella prospettiva celeste annunciata da Campanella l'unificazione del mondo prelude all'affermarsi della città di Dio sulla terra13 • Egli identifica la città di Dio con l'affermarsi della monarchia universale spagnola prima, e poi, in seguito al declino politico spagnolo, con la monarchia assoluta francese di Luigi XIV e Richelieu. In realtà nella sua visione l'affermazione della monarchia universale non è che lo strumento che consentirà alle «chiavi di S. Pietro in Roma», cioè alla Chiesa di diventare padrona del mondo celeste, dopo esserlo stata di quello terreno. In Campanella troviamo dunque la stessa ambiguità che abbiamo visto essere presente almeno in parte nella Città di Dio di Agostino, e cioè la prospettiva clericale di un'identificazione del regno celeste con la Chiesa. Ma al di là di questo importa sottolineare la presenza nel pensiero di Campanella di quella che appare una caratteristica imprescindibile della dimensione utopica e cioè l'ideologia prometeica e tecnicista, che confida nella possibilità di trasformare la natura ai fini della felicità umana. Siamo agli antipodi dell'immaginario proprio del mito che appariva caratterizzato dal prevalere della natura sulla cultura, dal disordine e dal caso frutto spontaneo del politeismo pagano, piuttosto che dall'ordine istituzionale prodotto dalla rigida gerarchia celeste ed ecclesiastica introdotta dal Cristianesimo. Inoltre l'immaginazione utopica, al contrario di quella mitica, appare caratterizzata dall'ottimismo del progresso, piuttosto che dal fatalismo del tempo regolato da immutabili ritmi naturali. Non a casq Campanella scriverà un'apologia di Galileo e della scienza moderna in cui riconosce il principio unico 26

della verità e distingue nettamente la scienza sperimentale dalla scienza teologica. L'astronomia non è ancora giunta a perfezione e Dio ha abbandonato il mondo all'indagine dell'uomo, per questo gli scienziati che abbracciano dottrine che sembrano in contrasto con la Scrittura per amore di verità devono essere lasciati indagare liberamente. Sotto questo riguardo è legittimo affermare che Galileo e Cartesio sono responsabili dell'universo omogeneo e tecnicistico in cui sorgono le utopie moderne allo stesso modo di Tommaso Moro e di Campanella 14 • Ma da questo punto di vista l'utopia di Campanella appare in qualche modo più vicina allo spirito di quella di Bacon piuttosto che alle concezioni umanistiche di Tommaso Moro. Il passaggio dall'Utopia di More a quella di Bacon manifesta soprattutto una differenza di scopi e di interessi. More rappresenta l'umanista che crede nella ragione sociale nel mondo, attraverso l'abolizione delle classi. Bacon non è più interessato alla giustizia sociale, ma al potere: non tanto al potere politico, quanto piuttosto a quello dell'uomo sulla natura attraverso la scienza e la conoscenza delle leggi naturali. Infatti, sull'isola di Bensalem nella cosiddetta Casa di Salomone un collegio di scienziati operano in strettà collaborazione per realizzare il «Regno dell'uomo» attraverso un sapere che non si limita a completare la natura, imitandola con i mezzi tecnici, ma la asserve ai suoi progetti e la trasforma secondo i suoi fini 15 . A sua volta Campanella, in opere come il De Gentilismo non retinendo e in Atheismus triumphatus, sviluppa ancora più chiaramente di Cartesio il tema della superiorità della scienza dei moderni su quella degli antichi, a causa delle migliori fondazioni. Per Campanella gli errori degli antichi non fanno che confermare la superiorità della ragione cristiana, la quale è pervenuta a una più alta comprensione dell'universo essendo meglio illuminata dalla Ragione universale ed essendo dotata dell'idea di 27

Essere illimitato, mentre la scienza antica con Epicuro rimane prigioniera della natura sensibile. Ma vediamo ora quelle che abbiamo indicato come caratteristiche dell'immaginazione utopica all'opera nella Città del sole. Si tratta di un «dialogo poetico», come dice il sottotitolo: in questo modo il lettore viene introdotto ai due diversi aspetti presenti nell'opera, vale a dire il suo carattere letterario e immaginario da una parte, e la sua dimensione filosofica dall'altra, suggerita dalla parola «dialogo» che rimanda appunto alla tradizione filosofica16 . Campanella realizza così una strategia retorica tipica della letteratura utopistica che consiste precisamente nel tentativo di evitare gli interventi censori affermando qualcosa in profondo contrasto con la realtà storica in una maniera che non è mai direttamente e concretamente pericolosa per i poteri religiosi e politici dominanti. Da questo punto di vista occorre sottolineare che nell'opera di Campanella l'aspetto narrativo e di finzione finisce per imporsi sulla ricerca e sulla tensione intellettuale. Il dialogo è del tutto apparente, infatti le voci sono due, ma il corpo del discorso è un monologo, quello del Genovese (nocchiero di Colombo) che racconta all'Ospitalario dei suoi viaggi intorno al mondo e della sua visita all'isola di Taprobana (Ceylon) alla Città del Sole. A differenza di quanto avveniva nel mito in cui si assisteva all'elaborazione di una spazialità aperta al cielo, alla terra e all'intero universo, la dimensione spaziale dell'utopia è invece un luogo chiuso, in genere un'isola, come avviene anche nel caso dell'utopia di Tommaso Moro e di Francis Bacon. L'utopia si caratterizza infatti come una pratica testuale che dà luogo a una rappresentazione ambigua, a un'immagine equivoca di una possibile sintesi che restituisca la complessità dell'esistenza sociale come situazione ideale da realizzare in un futuro lontano e in uno spazio immaginario localizzato17. L'Ospitalario con le sue domande orienta il dialogo, ma 28

per lo più si limita ad esprimere perplessità, senza poter contribuire in maniera più pregnante alla costruzione dell'opera. Come lettori siamo invitati a identificarci con l'Ospitalario, in quanto destinatari del racconto del viaggiatore, e quindi a partecipare in maniera del tutto passiva alla produzione del significato dentro il testo. La contrapposizione tra il mondo utopico e il mondo storico si realizza attraverso la presentazione delle opinioni della popolazione immaginaria della Città del Sole, oppure nelle parole stesse del Genovese che denuncia l'ingiustizia del mondo. In questo modo il prevalere della dimensione narrativa e di finzione finisce per conferire un carattere fiacco al dialogo, che anche da un punto di vista stilistico risulta discorsivo e piano, privo del calore e della tensione intellettuale che Campanella esprime nelle Lettere e nelle Poesie. Qui prevale invece un tono in certo modo didascalico e morale, in perfetta sintonia con l'elaborazione teorica che Campanella ha consegnato nella sua Poetica18 • Queste caratteristiche del dialogo appaiono essere in relazione anche al fatto che La città del sole, costituisce un'opera post factum. Infatti viene scritta da Campanella in carcere, dopo la rivolta calabrese che si era ispirata alle sue idee, non tanto quindi come programma politico, o messaggio in una bottiglia, quanto piuttosto come difesa e illustrazione del proprio pensiero di fronte alle falsificazioni a cui era andato incontro proprio da parte dei protagonisti della rivolta calabrese19 . L'attività più importante nella città del Sole è l'educazione che coinvolge tutti i cittadini e i fanciulli sulla base di contenuti egualitari, che puntano a sviluppare le diverse inclinazioni. Il lavoro, pur essendo fortemente nobilitato, viene limitato a quattro ore al giorno, per consentire a tutti i cittadini di passare il resto del tempo a studiare e ad imparare attraverso giochi, discussioni, letture, e così via. In ogni caso occorre sottolineare come, al di là di queste concezioni della pedagogia e del lavoro che appaiono 29

ereditate dall'umanesimo, nello stato utopico la dimensione politica viene esaurita nell'approccio morale e filosofico ai problemi, e in questo modo finisce per tradursi in una riproposizione di quel mito che si intendeva abolire. La sopravvivenza di una tendenza mitologica nell'utopia moderna di Campanella oltre che dalla stessa riproposizione della simbologia solare, risulta evidente per il ricorso all'immagine paradisiaca20 . Infatti, nell'opera intitolata Monarchia Messiae egli sostiene che la monarchia universale retta da un sovrano cristiano si pone nell'orizzonte ultimo della storia e finirà per restaurare la perfezione originaria dell'umanità paradisiaca. Si tratta come si vede di un ragionamento circolare che fa coincidere la dimensione del futuro con quella delle origini. Del resto nel libro ventisettesimo della sua Theologia Campanella identifica la visione retrospettiva dei «Saturnia regna» con la narrazione biblica del Paradiso terrestre. Il sole di cui parla Campanella non è dunque quello stesso di cui parla Galileo, ma rimane un simbolo poetico di una nuova era che si ritiene avviata dalle scoperte geografiche e dall'affermarsi di una nuova verità scientifica. È proprio questo aspetto poetico che trasforma il progetto di Campanella in un prodotto spurio, in cui l'immaginazione si intreccia e si confonde con una tendenza normativa rivolta al reale, senza tuttavia approdare a una meditata proposta politica21 • Non è un caso che per i contemporanei la Città del sole fosse soprattutto un'opera d'immaginazione lontana dai testi che entravano nel vivo dei problemi e dei dibattiti del tempo. L'opera ebbe un grande successo, ma veniva letta soprattutto per il diletto letterario, non tanto per l'interesse filosofico e pratico. 3. I fili dell'immaginazione D'altro canto rimane vero che tutto il «dialogo poetico», in maniera contraddittoria, appare fortemente con30

dizionato dall'ideologia della Controriforma. Intanto va subito detto che l'affermazione della libertà e dell'egualitarismo entra in profondo contrasto con la parallela affermazione del potere gerarchico fondato sulla scienza e sulla sapienza del suo capo. La città utopica di Campanella è infatti guidata da un Principe Sacerdote che si chiama Metafisico, che prima di tutto è un teologo che deve conoscere a fondo tutti i principi delle scienze e delle arti. A lui si affiancano nella scala gerarchica tre principi collaterali, o primi ministri: Pon, Sin e Mor, che si occupano rispettivamente della Potestà, della Sapienza e dell'Amore22. Il governo della città oltre che sulla gerarchia delle scienze che vede al primo posto la Metafisica, sembra modellarsi sulla base del culto religioso dei solari, che infatti adorano Dio in forma di-Trinità, da essi intesa come somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, mentre da entrambi questi principi nasce il sommo Amore. La pianta della città del sole viene poi modellata sulla base dell'ordine geometrico ed astronomico. La città appare infatti circondata da sette cerchie concentriche di mura che corrispondono ai sette pianeti. Si può parlare a questo proposito di una vera e propria «dittatura delle stelle» . che corrisponde alla mente ordinatrice dell'utopista. Allo stato clericale retto fondamentalmente da sacerdoti corrisponde l'uso della confessione come strumento di governo. Tutti i cittadini sono obbligati a confessare le loro azioni e i loro pensieri, e vengono incoraggiati alla vera e propria delazione dei peccati altrui nel caso in cui siano gravi. A raccogliere queste confessioni e delazioni sono gli alti dignitari che a loro volta si confessano ai tre primi ministri ai quali non resta che confessarsi direttamente al Metafisico. In questa pratica è facile riconoscere come l'organizzazione gerarchica della Città del sole si caratterizzi come un tentativo di laicizzazione della vita monastica, che si affianca alla volontà di razionalizzare il dogma attraverso il ricorso a un certo naturalismo che era 31

presente nel pensiero di Campanella fin dalla sua gioventu, 23 . Ma nella città del Sole non mancano le ombre e le tendenze repressive, tanto che gli individui difficilmente vi possono esprimere la propria personalità. Il fatto è che l'utopia egualitaria non lascia spazio autonomo all'individuo, le cui libertà vengono subordinate all'interesse collettivo. Si consideri per esempio il programma eugenetico che deve creare i cittadini ideali attraverso un programma di accoppiamenti guidati e programmati24 . Quello che colpisce la nostra sensibilità, al di là del principio della comunità delle donne, è il fatto che nella città del Sole non è consentito l'amore tra coppie che siano eugeneticamente incompatibili. Questo programma ha una sorta di effetto spersonalizzante che ricorda i programmi eugenetici della Germania nazista. D'altro canto Campanella, pur affermando che nella città del Sole non ci sono schiavi, scrive poi che i prigionieri di guerra sono costretti a svolgere compiti faticosi fuori della città25 . Se poi si guarda al sistema legale della città del Sole ci si accorge subito di come il programma utopico di Campanella sia effettivamente intriso di elementi repressivi di carattere violento. La lista di crudeli punizioni ci induce a pensare che il crimine sia di casa nella città di Campanella. Gli anziani hanno l'autorità di bastonare chiunque sia negligente o disobbediente. Nell'esercito chiunque commetta atto vile viene fustigato, mentre chi disobbedisce agli ordini «si mette a morire dentro un palco di bestie»26 . Nella vita civile si trova la legge del taglione «occhio per occhio dente per dente». Nella città del Sole viene poi applicata la pena di morte per punire non solo l'omicidio ma anche, per esempio, la persistente sodomia. La condanna a morte viene eseguita per flagellazione da tutta la comunità perché non si vuole ammettere che qualcuno all'interno della società svolga la funzione di boia27 . Le ombre che oscurano lo splendore dei Solari del Cam32

panella inducono a concludere che l'opera del filosofo di Stilo appare irrimediabilmente segnata dai condizionamenti storici e culturali, e a questo proposito occorre ricordare anche che il Campanella, non a caso, incorporava La città del Sole in tutto l'insieme della sua Philosophia rationalis28. Evidentemente l'immaginazione, anche quando recita un ruolo di primo piano all'interno di un'opera filosofica, politica e letteraria, deve fare i conti con la ragione storica in cui si incarna il potere, anche quando si contrappone a quel potere, sia pure in termini asistematici e fantastici che apparentemente hanno poco a che fare con la teoria e il discorso politico tradizionali. Rimane vero tuttavia che la dimensione utopica del discorso di Campanella, a differenza di tante opere politiche della Controriforma, va ben al di là della semplice tematizzazione della «ragion di Stato», e proprio per questo finisce per mettere in atto la positiva scoperta dell'aporia presente in ogni pretesa di fare della politica una scienza fondata sul ragionamento di tipo dimostrativo. L'utopia, che si presenta come il più ardito dei progetti di costituzione politica, finisce infatti per dichiarare lo scacco della progettualità politica svelandone non tanto l'astrattezza, quanto piuttosto il legame profondo con quella realtà e quella cultura che si vorrebbero modificare in maniera radicale. L'immaginario utopico non esprime insomma un semplice inventario di immagini fantastiche, ma rimanda anche una precisa relazione dell'uomo al mondo. Per questo non può essere ridotto a puro fantasma da contrapporre alla ragione e al discorso politico tradizionali. Ecco allora che il presupposto «scientifico», su cui si fonda la renovatio dei solari, unitamente ai suoi corollari magico-religiosi legati all'annuncio di una fatale combinazione astrologica nell'economia dei cicli cosmici che la renderebbe possibile29 , viene a essere ridimensionato proprio da quelle che abbiamo definito le ombre della città del Sole. Queste ombre non possono essere eliminate sot33

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