Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

plessiva chiamata letteratura che sembra rendersi possibile; lo smembramento di quelle situazioni diversissime che sono oggi fuse in un blocco apparentemente compatto» (E. Fachinelli). Esaminando se stessi in quanto scriventi, ed esaminandosi sulla base delle proprie enunciazioni, si traggono inferenze anche personali, troppo personali per essere scritte qui. Ed è proprio il timore di tali inferenze, mi pare, a persuadere gli scrittori a tirarsi indietro, per offrire all'interesse della critica (cioè di una letteratura d'intonazione neo-retorica, anche quando l'analisi testuale è arricchita dagli strumenti freudiani) solo il davanti: il testo letterario, senza lo scrivente. Dietro il testo, una trance. Lo spazio di una differenza, l'irruzione di un soggetto, il corpo con i suoi buchi, le sue perdite, le blessures che indicano la nudità animale, l'incompiutezza umana, troppo umana, e l'attrattiva torbida dell'insufficienza, con i suoi brancolamenti, le sue riscritture, il mormorio dell'estasi che sale a fior di labbra e che un vuoto taglia, elimina, censura, affinché non appaia la regalità del soggetto acefalo. Tacere, allora, la gioia eccessiva che c'è nel perdere piede e naufragare nel mare in marcia della significazione, un mare in marcia in tutto il suo chiarore, in tutta la sua estensione. Tacere la gioia, insomma, di perdere la testa: qui, nel vuoto delle proprie ferite. La scrittura, allora, come nascondiglio estremo della perdita. E culla spettrale di neonato, bara tra due pulsioni, covo saltellante dell'autonomo, reggia del soggetto acefalo, regalità dell'esperienza estatica. Infinito oltre la siepe, una siepe di parole? L'Infinito? Già, va' citrullo! È la letteratura a sbarazzarsi dello scrivente e, in fondo, di tutti coloro che scrivono. Questi, tuttavia, non sono quei puri spiriti che sembrano, ma corpi resistenti, talvolta estatici, materia vivente attraversata, «posseduta», dai flussi contraddittori del linguaggio e di ciò che, fuori linguaggio, ispira al corpo di aprirsi, di comunicare e di resistere, facendo per così dire senso oltre il senso comune. 176

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