Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

Rileggo ciò che ho appena scritto. Correggo qualche frase, aggiungo qualche virgola dopo averci pensato un po' su. Intimitàproduttiva con la propria scrittura, simile all'intimità degli escrementi, cioè di una produzione sempre diversa perché sempre scandalosa, in quanto - con Bataille - vince violentemente e denuda l'orgoglio di sé, e la comunicazione è il contatto con le ferite, con le aperture animali dei corpi, l'incompiutezza nel gioco del senso e la continua catastrofe del senso. Sottili, patetiche risorse di quei demoni e di quelle muse, oggi ridotti a inconscio, a fantasmi, quasi fossero dei botoli innocui e non forze del "di fuori". Le muse. Le intruse, coronate di alloro. Chi tira i fili dietro chi scrive? «Noi che sappiamo di tante fila? - s'interroga Rilke - È questo il frutto di un'opera lenta di schiavi a noi che restiamo i signori?/ O sono loro i padroni: chi giace alle radici e a noi manda in silenzio un suo superfluo vigore di baci?» Questi versi sembrano corrispondere all'esperienza di un sapere inizialmente muto, comunque mai inerte che accede finalmente al linguaggio, durante l'occasione serittoria. La sensazione di un tumulto ancora muto, la cui urgenza, talvolta tirannica, stimola l'impulso scrittorio, assomiglia forse non a caso all'accenno che Freud fa di Thanatos in Al di là del principio di piacere, come di una «forza muta all'interno dell'organismo». Così, ad esempio, il poeta Dylan Thomas: «La forza che nella verde miccia spinge il fiore I Spinge i miei verdi anni: quella che fa scoppiare le radici degli alberi/ È la mia distruttrice./ E sono muto a dire alla rosa contorta/ Che curva la mia giovinezza la stessa febbre invernale». Ciò che invisibilmente nasce dentro, urgendo alla forma, viene percepito durante l'atto solitario dello scrivere come un tumulto più intenso del silenzio. È un'affermazione possibile solo sulla base delle enunciazioni di colui 177

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