ad accumulare quel riscatto e a spogliare Cuzco, Jauja (Xauxa) e tutte le altre «terre» del Perù delle loro ricchezze: una fortuna formidabile, che pensano sia toccata a tutti loro in premio della vittoria. E poiché il premio, agli occhi di questi cristiani, si identifica nel diritto formale (e sacrosanto) di punire un ribelle, essi non possono vederlo come un'oscena prevaricazione. Il motivo non interrogato è nei testi: la prima anabasi (ascensione, emersione) dovrebbe avvenire nella scrittura delle relazioni. Se appena se ne scompone l'ordine e il ritmo, e si accostano e confrontano alcuni termini e alcuni dati, dovrebbe emergere il segreto di Atahualpa: noi abbiamo già riconosciuto la sfida e l'illusione che lo portano a morire; abbiamo come intravisto nella tortuosa condotta dell'Inca un disegno che potrebbe sconvolgere il sistema che il dotto e pratico umanista europeo Giovanni Battista Ramusio sta componendo sulla base di queste cronache. Nel Sommario della Terra ci è parso di scorgere un altro orizzonte, quello cui guarda - legando la propria persona e il proprio popolo all'ordine della natura e dei tempi passati - l'ultimo imperatore inca, che i cronisti chiamano con quel nome storpiato e ridicolo: Atabalipa. Forse nell'ordine dei tempi che si scomponeva Atahualpa avvertì anche un preannuncio della propria morte. Questa gli fu data quando quel gruppo di Spagnoli ebbe finito di accumulare in Cajamarca tutte le ricchezze che, in quelle circostanze, si potevano accumulare. L'Inca non si mostrò turbato quando lo condannarono al rogo per aver, attraverso le disposizioni inviate ai suoi cacicchi, fatto riunire segretamente molti uomini della provincia di Quito e di altre sue province, «gente di guerra» che era pronta ad «assaltare» Cajamarca per liberare il suo sovrano. L'accusa non aveva alcun fondamento - difatti in seguito non si trovò «nessun esercito appostato»32 -, ma Atahualpa non si difese: rispose solo: «Non mi dite queste burle», e chiese d'essere battezzato perché fosse cambiato_ 66
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