Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

tempo. Mutazione singolare, molecolare, che intanto sta cambiando il nostro paesaggio umano. L'autoritratto, che sembra nascere da un'esperienza inaugurale di vuoto, di assenza di sé dello scrivente, di trance, per quanto si presenti a chi lo compie come «objet trouvé» della propria scrittura, viene di fatto modellato da una tradizione culturale - propriamente retorica - che sa per l'autore dove egli arriverà, fornendo le categorie al suo discorso, ai suoi ricordi, ai suoi fantasmi («E Lui mi ha detto: è nella Mia ombra che scriverai»). Si tratta, come nei riti di possessione, in cui la «naturale» predisposizione dell'organismo umano all'estasi è modellata da questa o quella cultura, di lavorare con estrema libertà emotiva, percettiva e cognitiva, pur agendo letterariamente. A Essauira, durante l'inchiesta condotta con Georges Lapassade presso i Gnaua, ho sempre sospettato che i posseduti, durante il rituale della lila («la notte» della possessione) fingessero. Era l'estate del 1975. Cinque anni dopo, in Nepal, a casa di una Kadoma in trance, una trance divinatoria preceduta da una crisi di possessione molto agitata, con tremori, singhiozzi e bava, e un perfetto arco isterico (mai più rivisto), stessa impressione: sta fingendo, recita... in fondo cadere in trance è la sua professione. Mi sbagliavo, ma non del tutto. La teatralità, infatti, sembra essere uno degli elementi costitutivi della trance, e in particolare della trance rituale modellata dalla cultura. Lapassade racconta che a Essauira il maalem Boubaker, un «maestro» gnaua, al quale domandava di descrivergli il comportamento dei posseduti durante la lila, rispose: «Temtil dauru» - che si può tradurre con: «Recitano il loro ruolo». La risposta implica una rappresentazione di tipo teatrale. È tuttavia evidente - come dimostra chiaramente il seguito del colloquio (La voix de son melk, 197

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