Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

nuando a scrivere, riprenderla a volontà; ma questa ansia che mi fa scrivere e questo formicolio nelle dita e il torpore di poco fa, la stessa luce del pomeriggio che ora/tempo fa invade la stanza e sembra rischiararla d'irrealtà, non sono forse il segno che sono posseduto da qualcosa che in qualche modo mi è "esterno"? Qui c'è come una «contestazione» del possibile, forse una resistenza da vincere, o perlomeno da aggirare. Un rito d'approccio, appunto. Scegliere l'esperienza doppia, inoltre, tutta una serie di bisogni rispondenti al lavoro scientifico. È una scelta che Bataille definirebbe «sovrana» e che tuttavia - al pari dell'estasi, dell'ebrezza, dell'effusione erotica, del riso, del sacrificio e della poesia - urta contro il nuovo limite, lo scoglio del corpo insorgente nel momento stesso in cui scrive. Il corpo scrive... «Devo scrivere», ho detto poco fa: e quel «devo» la dice lunga, mi pare, sull'impulso talvolta tiranno che presiede all'operazione scrittoria. All'inizio c'è come una vaga inquietudine. Groddeck ha, mi sembra, visto molto bene questa origine della creazione artistica o anche della scoperta scientifica. Lo esprime in un passaggio de La maladie, l'art et le symbole, in cui interpreta una poesia di Goethe, der Fischer: «... l'opera artistica, nel suo contenuto essenziale, è... originata dall'inconscio; ... i simboli sono nel poeta e lo costringono a una creazione perfettamente determinata alla quale, finalmente, egli non dà che la forma». E più avanti: «non a caso ho parlato d'inconscio della poesia e non d'inconscio del poeta. Voglio dire con questo che l'opera d'arte come forse ogni azione, possiede la sua vita propria, la sua propria anima». Si tratta evidentemente di entità esterne al soggetto. Siamo già nel campo degli Stati Modificati di Coscienza, il cui versante patologico potrebbero essere le «idee os173

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