estrema crudeltà, vedesse in quegli strani invasori degli esseri divini, e in Cortés lo stesso dio ritornato a mettere ordine e giustizia nel regno. Del resto, Cortés ha già stretto alleanza con i Tlaxcaltechi, il popolo più oppresso e umiliato. Moctezuma si consegna in ostaggio a Cortés e è disposto anche a cedergli il regno, non per codardia, ma perché nel suo arrivo vede compiersi il ciclo prestabilito e tutti i presagi e le profezie. Gli dei ritornano, Moctezuma restituisce loro tutto il suo potere, dicendo: «Questo colpo ci viene da noi stessi!... Che fare? Non c'è più nulla da fare»24. Cortés, che è perfettamente informato, gli lascia credere di essere il dio che gli Aztechi attendevano. Ma perché poi il conquistatore, così abile nel servirsi del linguaggio e dei segni per la «manipolazione altrui»25, permette che i suoi uomini si scatenino nella distruzione dei templi di Città del Messico? Questo non è scritto nell'ordine dei tempi da cui gli Aztechi fanno dipendere l'interpretazione del presente: così gli dei muoiono, e gli Spagnoli si rivelano per quello che sono: uomini stranieri che amano solo l'oro, popolacas, barbari. Dopo la morte di Moctezuma, avvengono tra Spagnoli e Indios scontri terribili, la città diventa teatro di una lunga battaglia notturna: il corpo di spedizione di Cortés ne esce decimato. S'è consumata la Noche triste, della quale gli scampati, con altri uomini di rincalzo, si vendicheranno con massacri e devastazioni interminabili. Ma anche la vendetta è un pretesto: l'unica cosa che conta per quegli uomini è l'oro. Scovare e ammucchiare oro: la veloce distruzione della nazione azteca e della sua civiltà non ha altra ragione. È quasi certo che Atahualpa, diversamente da Moctezuma, non pensasse che gli Spagnoli erano dei. Però c'era la profezia che Viracocha sarebbe tornato al tempo del dodicesimo imperatore, e lui era appunto il dodicesimo. Inoltre non era innocente: aveva fatto guerra al fratellastro Huascar (Cusco o Cuzco giovane, in quasi tutti i do56
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