Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

te quest'appartenenza brindando champagne: «so we are Jew and not Jew. We are where we are. We are Polish when we are in Poland, and when in Holland we are Dutch, and now in France we are French, and one day we will go to America and be American» (p. 32). Katya e Moydia, come emigrate, imparano in fretta che la sopravvivenza richiede l'omologazione linguistica. Così, a Parigi Katya dimentica il russo, l'olandese, il polacco, che ricorda solo per frammenti poetici - tracce-rovine del passato. Lei, come le altre poliglotte, come Felix Volkbein che conosce sette lingue, sa che la città è lingua di cui bisogna capire il senso per non esserne completamente fuori, per non restare eterni meteci. C'è chi soccombe, chi esperisce la città, il mondo, come lingua inintelligibile - Gaya, Robin - e chi da vera poliglotta - come Katya, Moydia e in parte il dottor O'Connor - vivendo in più d'una comunità linguistica può sottrarre con abilità la lingua al significato univoco; come l'artista, come l'autrice di cui parlo, può creare sensi molteplici giocando sul polilinguismo. La città, di _notte, dice Peter Conrad, è tolta a coloro che pensano a farla funzionare di giorno e consegnata agli aborigeni amorali - gli affamati sessuali, gli ubriachi, i suicidi, tutti «agents of somnambulistic id»22. La città notturna dunque ha un linguaggio alternativo rispetto a quello diurno: v'è uno stravolgimento linguistico che, ad esempio, pone il monologo come discorso notturno perché i cittadini della notte, aiutati dalla notte, si narrano trastullandosi con la loro perdizione (in Nightwood esorbitanti sono i monologhi del dottore; nei due racconti, benché vi sia un interlocutore silente genericamente chiamato «madame», costei ha essenzialmente una funzione fatica, di tenuta e rilancio del discorso di Katya che è, in realtà, un monologo con un ascoltatore-lettore introiettato)23. • Secondo Kenneth Burke, l'accento stilistico dei vaga103

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