Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

STRIA CULTURALE - CHE, ATTRAVERSO IL LIBRO, LO INSERISCE NEL REALE - LO SCRITTORE SI SENTE UN INETTO. ALLORA SCRIVE, PER SCOPRIRE DA SOLO (E NELLO STESSO TEMPO RIVELARE AL LETTORE) CHI È REALMENTE. AMBIENTAZIONE: MILANO, MARZO 1992. MA L1AVVENTURA È NELLA TESTA. NEL TESTO). Alla fine dei più diversi cammini della scrittura, un ostacolo disperante: l'istituzione, l'industria culturale. Nel passaggio tra il lavoro mentale e l'industria culturale, l'attesa blocca come quella linea tracciata davanti alla gallina in trance. E sorgono i tipici fantasmi dell'insufficienza, il dubbio di avere ingannato se stesso e messo in imbarazzo parenti e amici. Occorre, ogni volta, se non si ha un agente, cercarsi le proprie occasioni editoriali. A chi è senza agente, senza padrini, senza mafia d'autore alle spalle, non resta che battere. I dettagli di una tale impresa sono ai limiti del penoso. Questo non fa che accrescere la sensazione d'indegnità e, dopo l'euforia scrittoria, accresce la depressione. Suppongo che ognuno abbia i suoi limiti di tolleranza. I miei sono di un paio di mesi, dopo i quali - nell'attesa che arrivi un parere in proposito al manoscritto fatto avere all'editore - incomincio a dare i numeri. I tardigradi non rispondono, per motivi a me ignoti: semplice trascuratezza? Bah. Ci si sente trascurati. Al passaggio fra lavoro mentale e burocrazia editoriale si forma come una sacca d'inanalizzabile. Un silenzio propizio, proprio per la sua quasi invisibilità, alle famose apparitions paranoi"aques. Inutile chiedere a gran voce una spiegazione ai fantasmi, ai propri spettri. Il potere è muto, il potere è invisibile, invivibile. Gli esami non finiscono mai e lo scrittore si sente regredire ai tempi del liceo, quando aspettava i risultati dell'esame e aveva i calzoni corti. Ancora un passo e si troverà in una culla, in una culla spettrale di neonato, nell'angoscia primaria dell'attesa; o si vedrà nella bara, morto da lontano... Pubblicato postumo, come il povero Morselli? Allucinante? Normale? Gli hanno detto un attimino, ed è passata una vita, passano molte vite. Attimino? Glielo ha detto un burocrate con il borsello, un funzionario rampante, e il mondo si è trasformato in sabbie mobili. Le stesse scale di polvere roteante, gli stessi uffici, le stesse scatole nelle scatole di una burocrazia editoriale che lo scrittore crede di conoscere un po', con gli scartafacci buttati da un tavolaccio all'altro, in stanzoni gelidi con ampie vetrate da cui filtra la solita luce giallo pallido di tutti i lunedì mattino del mondo, una luce simile al sole di gennaio, e gli impiegati, perfidi, con gli occhiali, verdi ramarri, che fanno aspettare, in fila. In fila interminata. Un attimino. 184

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