Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

L'alba. È l'ora in cui le anime di quelli che sono morti oggi 1 marzo 1992 - una giornata piena di sole, andata, andata nello scintillio del tempo... - si radunano da qualche parte, all'estremità del pianeta, sul punto di partire... Lasciano qui i loro sogni, gli affetti più cari, le loro storie incompiute, la loro speranza. Sento, scrivendo, una specie di dovere di speranza. Strano. Le ombre si tengono contro un muro del mio studio, come in attesa, con il fiato sospeso... Per piacere, per piacere! (agitando le mani davanti agli occhi). Creare un paradiso di parole, un luogo in cui le tante care ombre possano finalmente venire a riposare un poco in pace. Vedo il mio futuro fumo all'orizzonte, al culmine del mio stesso svanire - e sento le ombre che dicono, piano: sveglio dentro il tuo proprio sogno: non c'è altra terra per l'approdo. E i morti si svegliano, parlano una nuova lingua: una lingua che non sa più di domande o di risposte, di pane o di morte. Sogno una lingua angelica, che abbia più forza, durata e splendore di ciò che banalmente passa e presto si consuma. Una lingua nuova, che non ci faccia più sentire brutti, cattivi e depressi, come quando s'indossa un vecchio cappotto. E la scrittura di un sogno preserva anche la parte dei morti. Pur nell'annientamento del vivente, la letteratura ci fa risorgere, ci veste di luce ... Ho sognato O., morto in tempi recenti, di aids, un impercettibile virus, strana forma di vita che si era intrufolata nelle cellule di un'altra vita, come un agente di un altro mondo. Ora O. è senza corpo, vestito solo di stelle e luce... Eppure mi ricordo di noi come se fosse stato appena domenica scorsa che, dopo una colazione a casa mia, proprio dove sto seduto io adesso, eravamo saliti sulla sua Fiat Uno grigia e, acceso il motore, eravamo partiti in direzione del Marocco, io che accendevo una sigaretta e O. curvo sul volante, che teneva con entrambe le mani... Allora non sapevamo che siamo tutti nelle ossa gli uni degli altri, angeli e virus, e ignoravamo, o facevamo finta d'ignorare il nostro comune e brillante avvenire di scheletri. Proprio qui, dove sto seduto io adesso, c'era lui e c'ero io, c'era anche la Ftat Uno grigia, è rimasto solo il vento... Volo a riprenderlo? E come uno straccio nell'aria, povero O. Non di un lutto ho bisogno. Ma di una lingua che, ferita, parli la lingua delle creature ferite. Non ho cuore. Me lo ha strappato il più bello fra i Tiranni e mi ha fatto vuoto. Per sopportare meglio l'innumerevole esistere e le tante storie 193

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==