Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

e desueta che è la coscienza, e si sviluppa in solitudine. Veramente non cresce mai, è sempre un po' in ritardo e scrive sempre, non ha mai smesso di scrivere. E scrivere è sempre scrivere adesso. Lui, l'animale da tavolino, lo sa, e finge di andare oltre, di essere andato oltre, tentato dai limiti, tarantolato dalla scrittura. È la sua mente che si muove, più in fretta, più in fretta! Ma il mondo è quello che è, e la scrittura non si muove. Si muore, allora non gli resta che inventare. Non esistono né feste mancate né autobus perduti, nella memoria. Tutto ha più forza, durata e splendore di ciò che banalmente passa, o non passa, comunque presto si consuma. Ciò che non passa, si scioglie. Qui, nel recinto pazzo della scrittura, posso çadere e risorgere inseguendo le mie visioni. La tempesta? E sempre la stessa tempesta, quella che Shakespeare vide nella testa dell'idiota. Bisogna stare sullo scoglio, per avere una buona tempesta, con la testa girata a tre quarti... Qui non ho paura di morire. Scrivendo non mi accorgo che sto morendo. Fuori dalla foresta appuntita delle difese, il mare aperto, in tutta la sua estensione, un mare in marcia in tutto il suo chiarore. Se avessi un io solido e irrelato, se l'io fosse veramente così come appare alla mia ignoranza, e cioè autonomo e vividamente autoesistente avrei paura di fare l'onda, temerei d'infrangermi sullo scoglio, e di morire. Ma sono intessuto di solo colore e movimento, sono l'onda e sono il mare e colui che scrive «mare», perché aggrapparmi al legno della parola «legno»? Morta un'onda, se ne riforma un'altra. Siamo bolle e schiuma, un lampo, la rugiada specchiante del mattino, pioggia che cade sulla terra scura a primavera, e Lui mi ha detto: è nella Mia ombra che scriverai, se non t'imbarchi ti sommergerò con le onde, guardale infrangersi sugli scogli, guarda le tavole che galleggiano... La superficie del testo che mi mostrò era di una chiarezza sfolgorante, il suo fondo una tenebra inaccessibile. E tra luce e tenebra si muovevano grossi pesci neri di scrittura, pesci di cui Lui m'insegnò a diffidare... Vidi le parole galleggiare, gonfie, irriconoscibili. Da cancellare, da riscrivere, la sensazione d'essere un posseduto... e di dover parlare d'altro e subito, ricoprendo le parole come fatti indecenti... E quindi lavorare attorno alle barriere. E, talvolta, la paura a scrivere. Era l'immagine di un mare sconosciuto, il mare scintillante del linguaggio, della significazione. E ora è una montagna, una scalata di sesto grado superiore. E poi di nuovo un'onda, un'onda gigantesca, sospesa a mezz'aria: la testa di un cobra scintillante... Fu 189

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