Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

quell'argento, e distruggere la moschea (così, con voce occidentale, chiamano gli Spagnoli i templi inca: del resto per loro non si tratta che di oro e argento, e non è il caso di fare distinzione tra i luoghi da svuotare: potrebbero anche chiamarli mineras, e qualche volta lo fanno). Il racconto di questa spedizione, scritto dal capitano Miguel de Estete, è inserito nella Verdadera Relaci6n di Francisco de Xerez (v. FX, 766-781). Questi uomini attraversano una regione stupenda: percorrono strade costruite con straordinaria abilità, strade che «solcano il paese in tutte le direzioni» e s'inerpicano sulle montagne con gradini scavati nella pietra. Le descriverà attentamente uno storico romantico, il Prescott38, come descriverà «le gallerie di più leghe tagliate nella viva roccia» che questi uomini percorrono, e i ponti sospesi su fiumi e torrenti «a mezzo di enormi corde di maguey», ponti oscillanti, sui quali tuttavia passano anche i cavalli, e le «migliaia di stazioni piantate alla distanza di cinque miglia, che ospitano un esercito di agili corrieri» e formano una rete di comunicazioni estesa fino ai punti più remoti del paese. Gli Spagnoli passano tutte queste strade e gallerie e ponti, fanno sosta e dormono in queste stazioni; Miguel de Estete prende nota di ogni cosa, come se si trovasse anche in Spagna, senza una parola d'ammirazione, senza mai interrogarsi sull'organizzazione e la perizia del popolo che ha costruito tutto questo. Eppure viene da una nazione le cui città medioevali sono collegate (quando il terreno e le stagioni sono dementi) da viottoli angusti e polverosi, non da strade come queste, lastricate di grandi pietre dal taglio e dall'incastro perfetti; ma lui redige un diario o ruolino di marcia, il cui tono abituale si può esemplificare in pochi tratti: v'era una scesa di scalini fatta nel sasso stesso, assai difficile e pericolosa per i cavalli; nel mezzo del cammino è un gran fiume che furio70

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