Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

Quando, un altro viandante incontrandoti, dirà che tu hai un ventilabro sull'illustre spalla, allora, confitto a terra il maneggevole remo e offerti bei sacrifici a Poseidone signore, un ariete, un toro e un verro che monta le scrofe, torna a casa e sacrifica sacre ecatombi agli dei immortali che hanno il vasto cielo, a tutti con ordine. Per te la morte verrà fuori dal (tt) mare, così serenamente da coglierti consunto da splendente vecchiezza: intorno avrai popoli ricchi. Questo senza errore ti annunzio1 • Queste due ultime parti, più brevi e oscure della precedente, non avranno apparentemente compimento nel poema e saranno trattate più diffusamente in miti e in poemi paralleli, quali la Telegonia, che parla del figlio di Ulisse e Circe, fino ai racconti tardo antichi e medievali, come quello celeberrimo di Dante nel canto XXVI dell'Inferno. Questo lavoro nasce da una ricerca su queste due ultime profezie, con l'intento di dimostrare che già nel tredicesimo canto del poema omerico esiste se non un compimento, almeno un accenno di "soluzione" a questi due avvenimenti (il secondo viaggio e la morte di Ulisse), che si attuerebbe nel momento in cui l'eroe, portato dalla nave dei Feaci, arriva ad Itaca. La profezia della morte e il sonno di Ulisse Tutti coloro che si occupano del sonno nell'Odissea si soffermano su due momenti particolari e tragici iri cui Ulisse, proprio a causa del sonno, non riesce ad evitare esperienze catastrofiche, per sé e per i suoi compagni: il primo è nel canto IX, quando, dopo il dono dell'otre dei venti da parte di Eolo, l'eroe si addormenta stremato e i compagni invidiosi, già in vista di Itaca, aprono il sacco, sospettando un contenuto di tutt'altra natura, e vengono così riportati dalla tempesta sull'isola del dio dei venti2 . 10

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