Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

turni traggono la loro desolazione dal non conoscere la loro vera natura, dalla loro distanza dall'umano, dal loro essere fra due mondi- corruzione e innocenza, umano e bestiale, maschile e femminile, lingua e silenzio- dall'essere, come Robin «who lives in two worlds-meet of child and desperado»: sonnambuli che si risvegliano per scoprire che i sogni «happened in a house without an address, in a street in no town, citizened with people with no names with which to deny them. Their very lack of identity makes them ourselves» (p. 128)36 • È questo il punto: la città del sogno è la città senza nome i cui abitanti, proprio perché non hanno nome, indirizzo, casa, identità, sono noi stessi. «Nella notte senza luce», dice Alide Cagidemetrio, «gli ospiti si vestono delle contraddizioni e dei paradossi di un sé che trascende i limiti di spazio e tempo per affermare il valore della coscienza, nella vitale confusione che nasce dall'esplorare senza riserve il bosco sconosciuto». La città del sogno è abitata da mostri e spettri e all'essere abitato dalla notte non resta scelta: o si fa invadere dagli spettri dei sogni o va per la città notturna i cui viandanti somigliano agli spettri della città del sogno perché chi abita una volta la notte non potrà mai più vivere la vita del giorno37 , perché nel viaggio verso la tomba, dice Dante O'Connor facendo eco a Donne, «men sleep all the way» (p. 140). Si vaga dalla notte di una città a quella di un'altra perché una volta entrati nella notte, nell'universo senza sole, nel lutto perpetuo per la perdita dell'ombra (l'io scisso che di notte si chiama «the Squatting Beast», p. 230) non si cammina che verso la fine. E ora la fine, dice quel fool ubriacone poeta perverso e tenebroso di O' Connor: «now nothing, but wrath and weeping» (p. 233). Paola Zaccaria 110

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