Il piccolo Hans - anno XX - n. 77 - primavera 1993

Cosa scrivevo? Del vento sulla fronte, del corpo che scrive e, scrivendo e lavorando, si accalora come una fabbrica di dei e di dèmoni, delle parole che mi facevano festa e scintillavano e m'inondavano del loro latte, del loro seme, era una festa che si levava finalmente dietro il sole. Crepitavano lingue di terra, di fuoco, d'acqua e di vento. Il vento della vallata immensa soffiava nei polmoni ed io non sapevo per chi erano questi serpenti che soffiano sulle vostre teste. Parlavo tutte le lingue, quelle dei padri, delle madri, e anche quelle dei morti, parlavo le lingue morte, tutte risorte. Ma ho cancellato il delirio e il godimento, non ho detto che per scrivere ho bisogno di sentirmi libero e non ostacolato da alcunché, come per il sesso, le nuotate in mare aperto, i bagni o l'amore. Era una babele di sensazioni. Era un grande disordine chiaro. Passava la vita in tutto il suo chiarore, passava la morte con tutte le sue ombre iridiscenti. Passava un messaggio inatteso, ma l'ho cancellato, temendo, come Baudelaire, che passasse nient'altro che la grande ala dell'imbecillità sulla mia faccia. L'ho cancellato, il messaggio inatteso, obbedendo a un'altra logica, quella della difesa. Accadde una sera, fra terra e mare. Al tramonto ci colse l'annuncio che la via dell'estasi era interrotta. Per ben tre volte una voce, la voce tagliente della difesa, ingiunse al pilota di un veliero greco di gridare ad ogni approdo: IL GRANDE PAN È MORTO. Continueremo a scrivere, e a vivere, nell'intervallo di questo stupore chi ci ha reso fin troppo vigili da perlomeno duemila anni? È il tempo passato, questo intervallo. Fu quando la voce non aveva finito di dirlo, che «subito - come racconta Plutarco - si levò un grande gemito, non di una persona sola, ma di tante, pieno di stupore». Riprendo. Rileggo quello che ho scritto poco fa, in trance. La parte dionisiaca dell'anima, quella che assicura il contatto liberatorio con un dio per mezzo dell'estasi, non 182

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