Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

Il . piccolo Hans rivista di analisi materialistica 72 inverno 1991-1992 Virginia Fini.i Ghisi 5 Il rombo verde di Virginia Woolf Ai nonimo Giele 8 Frammento sui colori (con una nota di Paolo Bollini) Virginia Pinzi Ghisi 19 Il soggetto che brucia fuori dalla superficie fondamentale: Claudio Parmiggiani Luciano Amadio 40 Socialismo dall'utopia al mito. Lukacs e Gramsci quali rappresentanti dell' Action weiliana Gabriele Frasca 71 La scimmia di Dio Marcello Walter Bruno 105 Architettura e regia Virginia Woolf 115 Dal "Diario" degli anni di guerra Rossana Bonadei 177 Sopravvivere alla vita Sergio Pinzi 183 Il trauma riscopre la verginità del mondo Paul Virilio 185 Il grande black-out Massimo Lollini 193 Il caso Primo Levi e il problema della testimonianza fan Baetens 211 "Droit de regards" o la foto-sequenza Mario Spinel/,a 231 Il ventaglio dell'Eros 249 INDICE 1991

Il picco l o Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Pinzi comitato di redazione: Sergio Pinzi, Virginia Pinzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola a questo numero hanno collaborato: Luciano Amodio, Giovanni Anceschi, Anonimo Giele, Jan Baetens, Paolo Bollini, Rossana Bonadei, Marcello Walter Bruno, Sergio Pinzi, Virginia Pinzi Ghisi, Gabriele Frasca, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Massimo Lollini, Mario Spinella, Italo Viola, Paul Virilio, Virginia Woolf. redazione: Via Borgospesso 8, 20121 Milano, tel. (02) 794515 editore: Moretti & Vitali editori, Viale Vittorio Emanuele 67 24100 Bergamo, tel. (035) 239104 abbonamento annuo 1991 (4 fascicoli): lire 50.000, estero lire 75.000, e.e. postale 11196243 o assegno bancario intestato a: Moretti & Vitali, Viale Vittorio Emanuele 67, 24100 Bergamo registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano coordinamento editoriale: Rodolfo Montuoro fotocomposizione e stampa: Grafita!, Via Borghetto 13, 24020 Torre Boldone (BG)

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Il rombo verde di Virginia Woolf Tra le giornate che pubblichiamo di Virginia, tra il 16 agosto e il 29 dicembre 1940, ne scelgo due. Lunedì 19 agosto. Ieri, Domenica 18, un rombo tremendo. Erano esattamente sopra di noi. Guardai l'aeroplano come un pesciolino guarda lo squalo inferocito. Ci furono dei bagliori, 3 mi sembra. Verde oliva. Questa volta il rombo non è in differita come quello che appare nei sogni dei «nevrotici di guerra in tempo di pace», nei figli, o nipoti, di qualcuno che la guerra l'ha vissuta, ma di cui rimane, residuo nelle generazioni successive, un trauma per forza di cose sconosciuto. Quale può essere il trauma, quando il soggetto è un altro e ci precede? E tuttavia un trauma è questo: la memoria di qualcosa che, per sé, non c'è stato. Ciò che resta, del trauma, nelle vite degli adulti e appare nei loro sogni e affiora nelle loro analisi, è estraneo, sconosciuto, irraggiungibile. Non perché l'inconscio è insondabile, ma perché il trauma è sempre, in qualche modo, esterno al soggetto. Se il trauma è interno, nel bambino si sviluppa l'autismo: un'attenzione rivolta dalla pelle in dentro, una manipolazione degli organi nascosti. Ma in genere il trauma è ester5

no. E lo rappresenta bene il disegno della bambina di cui ho parlato parlando recentemente di Klee: un rombo che la piccola disegna dopo tre anni di silenzio in· analisi, un rombo sul foglio bianco, e tre segnetti rossi sul tavolo, all'esterno. Il trauma è un rombo silenzioso e lunedì 19 agosto 1940, sotto le bombe, Virginia Woolfci ribadisce che, come il trauma per il nevrotico di guerra in tempo di pace precede di una generazione o due il soggetto, così sotto le bombe, ancora il «rombo tremendo» si accompagna al silenzio: chi guarda l'aeroplano è un pesciolino. Un pesciolino silenzioso è la figurazione dell'aeroplano e il rombo ne è la stilizzazione geometrica. Anche sotto le bombe il rombo è senza suono. Pesce, aeroplano, rombo sono generati dalla stessa matrice, e questo è il trauma. Anche sotto le bombe, il trauma è una rappresentazione. La rappresentazione spostata della generazione, nella guerra. Il godimento del padre, che riprende l'antico numero 3, ha un colore, sul campo di battaglia su cui un bambino non perverso immagina i genitori: il joyciano colore verdastro. Quello che appare nei sogni, il fondo in cui si mescolano i colori fondamentali dell'azzurro e del giallo, il mare dell'Ulisse, il magma seminale degli antichi. Ci furono dei bagliori, 3 mi sembra. Verde oliva. Giovedì 24 dicembre 1940. Noto con qualche sgomento che mi si sta paralizzando lamano. Il perchénon so dire. Posso ancora tracciare delle linee diritte? . . . Più tardi. Sera. della Vigilia, e non volevo tirare le tende, con Leonard e Virginia che si stagliavano neri contro il cielo... Com'era tutto incantevole. Le dune che rompevano le onde e formavano pallide cave; e tutti i fienili e i pagliai di un rosa spento o di verde cangiante. Ecco, qui le bombe tacciono, tutto è incantevole nella sera della Vigilia, la vigilia di una nascita. Il pesce-rombo silenzioso lascia il posto a un'altra figurazione. Due silhouettes si stagliano nere contro il cielo. Le silhouettes sono un disegno di pace, gli sciatori del sogno su un campo nevoso, 6

rappresentano l'attesa, è un po' che non ho il mio mal di testa, nell'adolescenza sono l'avviso. L'attesa e l'incanto possono coincidere con la minaccia, come il sonno con la morte. Ciò che li distingue e separa è il sogno. Il sogno che li allontana con le gradazioni, di intensità della luce, quella che cala, la sera, che rende pallidi i colori accesi del fuoco solare. Il rosso paterno si degrada nel segno di Virginia in rosa spento, il verde può mutare. Il segno non sostituisce il lavoro del sogno, ma il sogno, che conosciamo, rivela la natura del segno. Il verde cangiante può mutare la natura dello sperma e sottoporlo a lavorazione. Ma con qualche sgomento Virginia si accorge che ora la mano si sta paralizzando. È possibile ancora tracciare linee diritte? Non è la mano, quello con cui si scrive. Il verde cangiante muta le righe in curve, le strisce in onde e pallide cave, infine in palle, fienili e pagliai, in cui il pulviscolo disseminato che lo psicotico teme con l'esplosione del godimento del padre, si contiene nella forma sferica che è sì ancora il sole ma, nel primo disegno del bambino, si può mutare in cefalòpodo, il cerchio con gli arti, il soggetto-pesce che prende a camminare in un mondo che domina in quanto vi riconosce la propria struttura. Virginia Pinzi Ghisi 7

La luce mescolata Il "Frammento sui colori" dell'Anonimo Giele Erano passate inosservate alle precedenti ricognizioni (Coxe e Powicke) le Quaestiones de anima che Maurice Giele scoprì nel manoscritto Merton College 275, a Oxford, e delle quali approntò l'edizione, poi portata a termine nel volume Giele M.­ Van Steenberghen F.-Bazan B., Trois commentaires anonymes sur le Traité de l'ame d'Aristote, Louvain-Paris, Publications _Universitaires-Béatrice Nauwelaerts, coli. Philosophes Médiévaux, tomo XI, 1971. L'interesse storico filosofico dell'edizione è stato più volte sottolineato e discusso, specialmente per la personalità dell'autore, come risulta dall'impostazione filosofica, «all"'estrema sinistra" dell'averroismo latino, più "a sinistra" perfino del Sigieri di Brabante dell'epoca precedente l'intervento di Tommaso d'Aquino» (Z. Kuksewicz), e per: la complessa situazione intellettuale che si agitava intorno al 1275 sulla questione capitale dell'autonomia dell'attività del pensiero. La nota editoriale, che attribuisce con riserva questa opera a Boezio di Dacia, segnala in questo testo le tracce della vivacità di quella battaglia delle idee e quelle della "presa diretta" dell'insegnamento oxfordiano, e ne rileva perfino le discontinuità e le riprese caratteristiche della reportatio universitaria, in particolare evidenti nell'ultimo brano, cioè il presente Fragmentum de coloribus, che non è peraltro inserito nello schema di una quaestio né di un commento. È questo aspetto, in particolare, che può essere sottolineato qui: quel tratto di stile «nervoso e tagliente in certi brani, in8

sieme ad altri che sono assai prolissi» (Giele), l'incompiutezza e la clausola sintetica, la sistematicità e la banale giustapposizione, la regola sperimentale che va insieme al falso sillogismo, la contraddittorietà del dato che si vuole scientifico e il gusto di raccontare l'episodio, la ripetizione che va insieme alla fretta di passare ad altro argomento («Huius autem ratio determinabitur forte post», dovuto alla preoccupazione del magister di far entrare un altro argomento nel corso di cui era imminente il termine), la pedanteria insieme all'urgenza, il radicalismo filosofico insieme alla distensione del discorso divulgativo, l'esperienza "bassa" dell'avvertire di lontano uno che abbia bevuto e l'altezza delle concezioni della metafisica della luce. Più precisamente il carattere di viscosità che il pensiero stesso assume, come nello sforzo di essere una mimesi dell'argomento: il colore visto come un mescolamento continuo, sostanziale, da dipanare fisicamente, prima che intellettualmente. Oggi siamo abituati a trattare il colore come una qualità superficiale, decorativa o indifferente; è sempre più raro che nel nostro mondo un oggetto appaia esclusivamente col "suo" colore, e sempre più sono gli oggetti dal colore intercambiabile, "opzionale": automobili, succhi di frutta, abiti, cancelleria, telefoni, accessori - le immagini stesse: tutto è rigorosamente tibicizzato, come si direbbe con espressione da montaggio rvm. E questo avviene sempre più, man mano che la realtà è sempre meno costituita di oggetti e sempre più da merci. Al contrario, questo testo vede il colore come un'azione che avviene nella sostanza stessa in quanto tale; certo è la luce (prima fra le sostanze) a mettere in moto la macchina dei colori, ma già essa è distinta nelle sue tradizionali quattro funzioni (lux, lumen, radius, splendor), che ruotano una dentro l'altra, implicandosi e trascinandosi coi vari stili delle cause. La luce mette contemporaneamente in moto anche la macchina dell'intelligibilità: il pensiero nasce innestato nel fenomeno luminoso, porta già il suo colore, segue esso stesso le curve semantiche dei verbi usati per descrivere la produzione e la trasformazione dei colori - i frequentissimi verbi «inficio», «intendo», «contingo», «retineo», «remitto». In questa mutua-implicazione fortemente segnata da un ambito semantico abitato in comune, il pensiero assume anch'esso le forme di un "mescolarsi" e di un "versarsi", e imita "da dentro" le forme vive che caratterizzano l'oggetto, il bicchiere di vino semivuoto o pieno, il frammento di vetrata gotica, il 9

fiore, il mare, la rosa e la scodella, il vino bevuto; fino a inseguirlo dentro il caso della «columna denarialis» del finale, che appare in una certa evidenza allucinatoria, data dall'azione contemporanea della riflessione e della rifrazione - che rappresenta visivamente un corrispettivo del pensiero preso fra la passione per l'oggetto e la necessità di una distanza razionale: come se per pensarlo non volesse cedere al ricatto di doversene distaccare. Al punto di vista della psicoanalisi per il quale le macchie e i colori, lungi dall'essere delle "opzioni" convenzionali, sono invece segni che rivelano l'esistenza di un trauma - confermato a maggior ragione dall'indifferenza dell'interscambiabilità con la quale si tende ad addomesticare i colori; a questo tipo di sguardo non può sfuggire la tesi iniziale dell'autore del Frammento sui colori, e che si presenta come il punto iniziale della successiva serie vorticosa delle manifestazioni dei colori - quasi fosse una teoria universale della generazione -, cioè che i colori si vedono «per violentiam... quod est principium coloris». Paolo Bollini 10

Frammento sui colori (dalle "Quaestiones de anima") Poiché tutti gli elementi sono diafani, cioè privi di colore, la terra non è altro che mancanza di colori, e quindi nessun elemento può vedersi di per sé. Se però si vede il misto, questo non avviene in virtù sua, ma attraverso una violenza. In ogni corpo misto, quindi, il colore c'è grazie a una violenza che è in questo, e che è principio del colore. Così, se un elemento - il quale è peraltro del tutto diafano-, quando si trovi in un ambiente innaturale, può essere visto grazie a un colore ricevuto attraverso la violenza, come nel caso di quel rosso che si produce nell'aria gelida, e di quel biancore dell'aria condensata o congelata in acqua, come avviene nella schiuma; ebbene, in una schiuma o in un'ampolla è evidente che gli elementi sono stati mischiati con violenza, e che possono così esser visti colo- - rati: il colore infatti deriva da una violenza. E così è evidente che ogni colore si produce attraverso una violenza, mediante condensazione di ciò ch'è diafano - ciò ch'è principio di tutti i colori che si trovano in un luogo non proprio. Affermo inoltre che il fondamento dei colori è la luce; e se si lasciasse che questa investisse completamente un corpo qualsiasi, essa non si smorzerebbe fino a quando il 11

colore di quel corpo non apparisse come pura luce. Per questo vediamo che il sole è molto debole di luce quando è sottoposto all'eclissi - quando tutto ciò ch'è bianco appare addirittura pallido. Quindi, dal fatto che tutti i colori appaiono indeboliti a causa dell'indebolimento della luce, discende che la luce che arriva a un qualsiasi oggetto colorato - e che è ricettiva rispetto alle cose dalle quali viene riflessa - si muta nell'essenza dei colori di questo. Una prova di questo è che quando un fascio di luce penetra nel vetro, e vi incontra i riflessi dei diversi colori, provocati durante la sua penetrazione, non viene riflesso, di fronte all'ostacolo, secondo il proprio aspetto luminoso, ma con un aspetto di pittura - cioè con l'impronta che il fascio di luce assume da ciò che incontra nel vetro. Per questo succede anche che, se nel fondo di un bicchiere c'è poco vino rosso, apparirà bianco; mentre se ve n'è stato messo molto, apparirà rosso. Questo avviene perché, quando l'intensità del fascio di luce insiste su poco vino, lo fa apparire bianco, o di colore molto simile a questo; mentre se incontra molto vino nel bicchiere, non è così facile che possa penetrare in profondità, e allora si indebolisce: per questo, ciò che prima appariva bianco ora appare scuro e tinto di rosso. Ma avviene sorprendentemente questo, che se c'è un vetro dipinto e un fascio di luce che vi penetra, tale vetro, riflettendo se stesso, non appare secondo l'aspetto del vero fascio luminoso, ma secondo l'aspetto del colore che gli è stato assimilato mediante la pittura. E ciò accade infatti anche quando nel vino rosso vediamo il cielo per un riflesso colorato in uno specchio: vi vediamo il cielo del proprio colore, e non di quello del vino rosso. Il motivo di questo è che, quando il colore viene riflesso presso il rosso, solo se il rosso è molto rosso, l'immagine del cielo si muterà secondo il colore che incontra nel vetro, ma debolmente; e che, quando un vetro viene penetrato dalla luce, vi ha luogo una sorta di processo di mescolamento; quando invece la luce vi è riflessa, anche la rifles12

sione del colore con aggiunto il colore del vino risulta più debole. È anche sorprendente che non si trovi del verde nei fiori, ma solamente nelle foglie; questo avviene perché il fiore è un grumo fatto di quella materia dalla quale deve essere generato il frutto, e, a sua volta, il frutto è un grumo fatto di quella materia dalla quale vengono generate le foglie. Per questo motivo anche Aristotele, nel libro De Vegetabilibus [In realtà, come informa una nota, nello scritto pseudo-aristotelico De plantis, II,7,827 a 17-38], afferma che le foglie derivano dal vapore umido e denso, e il frutto invece deriva dall'untume, cioè da materia sottile e untuosa; e che il colore attivo nella materia umida e compatta dà sempre luogo alla colorazione verde; per questo, dato che il mare è molto umido, il calore che è attivo in esso dà luogo a una colorazione verde. Così avviene anche in tutte le erbe, poiché in esse abbonda una grande umidità, anche nei rami, che possiedono scarso calore e molta umidità. Per questo, inoltre, la loro vita è piuttosto precaria, perché possiedono calore in proporzione insufficiente rispetto alla loro umidità. Al contrario, il fiore, mancando di questo tipo di umidità densa, manca anche della colorazione verde. Negli alberi da frutto accade che, in particolare, alcuni fiori siano bianchi, e altri rossi, poiché negli alberi da frutto il grumo della gemma, che spunta intorno al frutto, trattiene nella propria viscosità il proprio calore; e questo calore, attivo in ambiente acquoso sottile ed umido, dà luogo al rosso. Infatti il calore darebbe sempre spontaneamente luogo al bianco se fosse lasciato svilupparsi da sé, mentre se vi si aggiunge dell'acqua lo si induce a dar luogo al rosso. Per questo, siccome il rosso è composto di bianco e di nero, qualcuno potrà pensare che l'acqua sia nera; ma io rispondo che, se c'è qualche colorazione nera, questa è peraltro debolissima: altrimenti sarebbe impossibile che accadesse che, riempito d'acqua un bicchiere rotondo e bianco; si potesse accendere della stoppa - 13

secondo quanto si dirà in seguito - quando lo si fosse disposto di fronte ai raggi solari; mentre invece questo non accadrebbe mai se si ponesse nel bicchiere del vino rosso. La dimostrazione di questo fenomeno verrà probabilmente fornita più avanti. Quando un fiore è bianco, diventa tale per un'esalazione calda che proviene da esso, come vediamo; mentre, al contrario, una rosa, che è rossa, se messa in contatto con fumo sulfureo, diventa bianca, e se vogliamo provocare di nuovo il rosso nella rosa che si trova in ·un roveto, dovremmo metterla sopra ad una scodella piena d'acqua esposta al sole: a questo punto l'umidità, arrivando fino al fiore della rosa, risveglierebbe il calore latente in questa stessa rosa; allora il calore provocato esce alla superficie della rosa, e poiché vi trova l'acqua, dà luogo a una colorazione rossa superficiale. Ma vediamo ora se l'aria già illuminata dalla luce possa ricevere luce da qualcos'altro; questo non sivede assolutamente come possa avvenire. È il caso della virtù olfattiva, che, quando viene assorbita da qualche odore, e poiché è impegnata da questo, non può essere assorbita da un altro odore simile: come accade quando chi non beve vino sente immediatamente anche da lontano uno che ne abbia bevuto. Questo accade, evidentemente, perché chi non è effettivamente impegnato da una forma viene assorbito proprio da questa. Per questo appare allora evidente perché un oggetto che sia esposto alla luce, fin che trattiene quella luce, non possa essere assorbito da un'altra luce, a meno che questa non aumenti la luce dell'oggetto. Altrettanto evidente è il contrario: come in una casa che sia esposta alla luce di una candela si vede che la luce aumenta se si aggiunge un'altra candela. A questo proposito faccio notare che la luce appartiene a quel genere di sostanze che non hanno contrari, per .cui non può essere indotta né diminuita. Affermo perciò che questo avviene in generale, e cioè che un oggetto che trattiene qualcosa di im14

perfetto non viene assorbito da niente che sia simile: lo vediamo nel caso che l'aria venga assorbita da un muro bianco per tutta la sua estensione. Nel caso dell'olfatto i fumi emanati dal vino in colui che ha bevuto ostruiscono le carnosità delle narici, in modo che queste non possono distinguere ali'olfatto il vino, se qualcun altro ne ha bevuto. E così bisogna anche notare che ci sono certi corpi che possono solamente venire riflessi, come l'aria, mentre certi altri riflettono e sono riflessi, come l'acqua. Alla natura di quest'ultima è attribuibile il seguente fenomeno: se una moneta sta nel fondo di un bicchiere pieno d'acqua, a seconda delle diverse distanze di colui che rivolge lo sguardo su questa moneta, essa apparirà ora sul fondo, ora a una profondità media, ora in superficie. Proprio perché l'acqua insieme riflette ed è riflessa, si genera, a partire dalla posizione della moneta, e fino alla superficie dell'acqua, come una colonna di monete; e quando lo sguardo si frange su di essa, e insieme ne viene riflesso verso chi guarda, la moneta appare ora più in alto, ora più in basso, ora nel mezzo; infatti, quando lo sguardo si frange presso la parte più profonda della colonna di monete, la moneta viene vista dove si trova; se invece si frange nella parte mediana, la moneta viene vista in mezzo; e quando invece si frange in superficie, anche quella viene vista in superficie. Anonimo Giele Fragmentum de coloribus Cum omnia elementa sint diaphana, idest colore privata, terra nihil aliud est quam colorum privatio, nullum ergo elemento15

rum per se videtur. Si ergo mixtum videtur, hoc non est per se, sed per violentiam. Color ergo in omni corpore mixto erit per violentiam eius quod est principium coloris. Item, si elementum, quod est pure diaphanum, cum est in circumstante innaturali, videtur per colorem habitum per violentiam, sicut in rubore stante in aere congelato et in albedine aeris condensati vel congelati in aqua, ut patet in spuma, in spuma vel in ampulla manifestum est quod commixta sunt per violentiam et videntur per colorem: color enim per violentiam; et ita manifestum est quod omnis color est per violentiam per condensationem diaphani quod est principium omnium colorum in loco non suo. Dico autem lucem esse hypostasim colorum; et si relinqueretur sibi veniens ad unumquodque corpus, non quiesceret quousque color illius corporis appareret pure lux. Unde videmus solem patientem eclipsim in luce esse remissum, imo omne album apparet pallidum; et tunc, cum secundum remissionem lucis appareant omnes colores remissi, oportet quod lux veniens ad unumquodque coloratum, accipiens a rebus a quibus reflectitur, transit in essentiam suorum colorum. Et indicium huius rei est quod splendor penetrans vitrum inveniens ibi diversorum colorum in sua penetratione reflexus, ad obstaculum non reflectitur in specie splendoris sed in specie picturae, et hoc est signum quod splendorem accepit ab eo quod invenit in vitro. Et hinc est quod, minimo vino rubro existente in fondo vasis, apparebit album; idem autem appositum in magna quantitate apparebit rubeum. Et hoc est quia, cum intentio splendoris est in parvulo vino, facit illud apparere album et in colore qui multum est ei affinis; sed inveniens magnum vinum in vase, non est ita de facili penetrans in profundum, et tunc debilitatur: quare quod prius apparebat album, iam apparet obscurum et in rubore. Sed mirum est de hoc quod, vitro depicto et splendore penetrante, tale vitrum in sui reflexione non apparet in specie I splendoris veri, sed in specie coloris assimilati per picturam; tamen, cum videmus in vino rubeo caelum ex reflectione coloris in speculo, non videmus caelum in colore vini rubei, sed in colore proprio. Et dico ad hoc quoniam, quando color reflectitur ad rubeum, si rubeum fuerit multum rubeum, dico quoniam mutabitur idea caeli secundum colorem quem invenit in vitro, sed debiliter; et quia, cum penetratur vitrum a luce, ibi est quasi quaedam mixtio, cum autem reflectitur, debilior est coloris reflexio cum colore vini coniuncto. 16

Mirum autem est quoniam viriditas non invenitur in floribus, sed in foliis tantum, et hoc est quoniam omnis flos est adeps illius materiae a qua materia debet generati fructus, fructus autem adeps est illius materiae ex qua materia generantur folia. Unde etiam Aru:sTOTELES in libro De vegetabilibus dicit quod folia sunt ex vapore humido et grosso, fructus autem est ex unctuositate, id est ex materia subtili et unctuosa; color autem agens in materiam humidam et compactam semper inducit virorem; unde, quia mare est multum humidum, calor agens in illud virorem inducit. Sic autem est in omnibus herbis quoniam in eis abundat multum humidum et in ramis, quia debilem habent calorem et multum humidi. Unde etiam sunt debilis vitae quia non habent calidum proportionale ad humidum. Sed quoniam flos caret huiusmodi grosso humido, caret etiam et in viriditate. Quod inter flores alii flores sint albi, alii rubei, hoc accidit in arboribus ferentibus fructus, dico quoniam hoc est quia in arboribus ferentibus < fructus > adeps stipitis, exiens circa fructu:,, retinet sui calorem in sui viscositate; qui calor, agens in subtili et humido aquoso, inducit rubeum: semper enim calor induceret album si relinqueretur sibi, sed aqua adiuncta ei facit ipsum inducere rubeum. Unde, quia rubor est ex albo et nigro, ab aliquo putabitur quod aqua est nigra. Sed dico quoniam, si habet nigredinem, debilissimam habet illam: aliter enim impossibile esset evenire illud quod accidit in vase vitreo rotundo et albo, quoniam, impleto illo aqua, accendetur stupa, prout dicetur inferius, illo, dico, posito contra radium solis. Si autem poneretur in vas vinum rubeum, nequaquam. Huius autem ratio determinabitur forte post. Quando autem flos est albus, per exhalationem calidi ab ipso, sicut videmus, hoc fit; quod autem rosa guae est rubea, per fumum sulfuris fit alba, si velimus iterum provocare rubeum in rosa, cum rosa sit in spineto, superponamus scutellam plenam aqua contra solem et humiditate de scutella elevata ad florem rosae excitabit calorem latentem in ipsa rosa; igitur calor excitatus exit ad superficiem rosae et inveniens ibi aquam inducit rubeum colorem in superficie. Sed videmus quoniam aer illuminatus a luce, iterum accipit lucem ex alio; hoc autem nullo modo videtur quod possit esse: ut virtus odorativa, cum inficitur ab odore aliquo, retinens illam infectionem non inficitur a simili: unde etiam non potantes vinum statim sentiunt a remotis illum qui potavit vinum; et hoc est, ut videtur, quia nihil habens unam formam in effec17

tu accipit infectionem ab eodem. Et hoc tunc videtur quoniam nihil positum in luciditate, dum retinet illam luciditatem, potest infici ab alia luciditate, nisi augetur eius luciditas. Tamen videtur esse contrarium: sicut in domo, quae est disposita luce per unam candelam, est videre quod alia candela allata augetur lux. Et dico ad hoc quoniam lux est de genere eorum quae contrarium non habent: et ita non potest intendi nec potest remitti. Et dico quoniam I illud est generale, quoniam subiectum retinens aliquid imperfectum non inficitur a consimili: videmus enim quoniam aer inficitur a pariete albo secundum se totum. In odoratu autem dico quoniam fumositates resolutae a vino in eo qui potavit oppilant carniculas narium ne possint discernere et odorare vinum potatum ab alio. Item notandum quod quaedam sunt corpora quae reflectuntur tantum, ut aer, quaedam reflectunt et reflectuntur, ut aqua. Ex cuius natura contingit quod denarius iacens in fondo vasis aqua pleni, secundum diversas distantias proicientis visum suum in ipsum denarium, nunc videtur in fondo, nunc in medio aquae, nunc in superficie: ex eo enim quod reflectit et reflectitur aqua, generatur a loco denarii usque ad superficiem aquae tamquam quaedam columna denarialis ad quam, cum frangitur visus et reflectitur ad aspicientem, nunc apparet superius, nunc inferius, nunc in medio; nam, cum frangitur visus ad partem profondiorem columnae denarialis, videtur denarius ubi est; cum autem in medio frangitur, videtur in medio denarius; cum autem in superficie frangitur, et in superficie videtur. 18

Il soggetto che brucia fuori dalla superficie fondamentale: Claudio Parmiggiani Se accostiamo due Autoritratti di Paul Klee, uno del 1919 e l'altro del 1933 � r< �lf�.F·;-- --- ��· I . 'ì� \ �·--­ \1�1 1.. ;:;�- ' ·� \ii - -" ··:�b..., -, , .. , :Il· -:, .. . (: . ...,_ ,. -��- � �---�-. ----� .- ------�- 19

ci colpisce del primo l'essere chiusi degli occhi, la stessa rappresentazione che Klee definirà la forma naturalistica del rombo: è il ritratto di un pittore i cui occhi non vedono. Ma la pittura nasce in rapporto non a ciò che lo sguardo fissa, ma a una struttura capace di accogliere una figurazione complessa. Nasce cioè per Klee, come, per un soggetto, nasce il pensiero. La forma fondamentale che accoglie e rappresenta le domande teoriche e le risposte di un bambino di quattro anni è un quadrilatero con scansioni, "astratto" dalla natura, ma che ne accoglie figure viventi: l'animale, l'albero, su una mappa che ho definito prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico. Il quadrilatero, lo stesso in cui si colloca la "forma naturalistica del 20

rombo", accoglie le distinzioni tra vivente e non vivente, stabilisce i limiti all'espandersi disordinato del godimento paterno da cui si nasce, e ospita le prime invenzioni del soggetto, teorie sessuali infantili e romanzo familiare, che spostano altrove che dall'innesto organico, dalla funzione d'organo, i rapporti tra origine e creatività. Il titolo di questo primo Autoritratto è Profonda meditazione. Il secondo del 1933, l'anno in cui Klee sembra anticipare nella sua pittura e nella sua teoria caratteristiche della propria struttura corporea che si evidenzierà due anni dopo con l'apparire della sclerodermia diffusa, è un uovo, posto, senza collo, in bilico su un semicerchio scuro. Come l'uovo stia in equilibrio appartiene forse a quel segreto che si usa chiamare l"'uovo di Colombo" e che in una nota a margine di un manoscritto del 1922 Klee collegava al pesce che è poi la figura vivente del rombo, «Premetto che nessuno ha ancora scoperto il pesce di Colombo»: pesce era la soluzione di un tema, «L'intimo amalgama di individuo e struttura». La sclerodermia diffusa fisserà ciò che prima era movimento, congelerà la mimica in uno spesso strato sottocutaneo, mentre la pelle diverrà sottile come carta. L'uovo, rispetto al pesce, sposta l'accento dal movimento e dal rombo silenzioso che iniziano il soggetto alla capacità di rappresentare, dalla prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico, quella che ho chiamato «luogo della fobia», a una struttura interna nascosta, la cui vita è mantenuta dalle tensioni invisibili della superficie, e questo è il segreto, l'origine della figurazione. La pittura appare fissa, rispetto ad altri mezzi come il cinema, o la musica. Ma la sua sfida è proprio questa. Come il cinema muto conteneva il sonoro, come nel film in bianco e nero scaturiva dal bianco e nero la scala cromatica del colore, la pittura proprio nella sua apparente fissità è in grado di rappresentare insieme il suono, il rombo, e il quadro, che in uno studio di Klee appare come l'acqua21

rio che contiene il pesce, -l_�-------�. ,. "--.�. i -> . - y--· \ -f.;-'�:2� :.-::J.,,--_._ I " . -- - ·· � -- OJC>/Q I - insieme una forma, a più dimensioni, e una superficie, quella superficie fondamentale in grado di accogliere la figurazione. Il quadro collega il pesce e l'uovo, se nel primo mette in evidenza il movimento, il farsi del pensiero e del soggetto, Profondameditazione, nel secondo è già presente una struttura, il suo segreto si è sedimentato e stratificato: il titolo del secondo autoritratto, quello a uovo del 1933 è Sapiente e riguarda quindi una compiutezza ma in fieri, che per Klee coincide con il destino dell'uomo che nella morte trova quel passo in più, alla compiutezza in fieri, che la morte svela. Dell'Autoritratto, Klee scrive: «Se io dovessi dipingere un autoritratto assolutamente vero, si vedrebbe uno stra22

no guscio, e dentro, bisognerebbe spiegarlo a tutti, me ne sto io come il gheriglio in un mallo. Allegoria dell'incrostazione, si potrebbe anche intitolare quest'opera». Dinanzi alle verdi sfere della notte le dita arcobaleno cercano nei segni il disegno del sogno. Seduto tra nere uova il collezionista di teschi raccoglie diafane tele. Questa poesia dipinta, la seconda di sette, di Claudio Parmiggiani, pubblicate nel 1981 con una stampa tipografica a 7 colori, è la superficie fondamentale della serie di istanze che si è presentata sin qui. Le dita sono insieme lo strumento e l'oggetto del fare, ma sono dita arcobaleno, il pennello e la gradazione cromatica, per una lavorazione che, anche nella psiche, si lega alla tecnica manuale, che ha per oggetto il soggetto stesso, una manipolazione che riguarda la punta massima del rapporto alla rappresentazione: il nome del padre. La lavorazione che il soggetto compie sul nome del padre, che è il suono e la forma del suo godimento, quello da cui il soggetto ha origine, ma un'origine che non può essere diretta, solo il soggetto psicotico è figlio che si riconosce come figlio del godimento del padre, questa lavorazione che tende a contenere una diffusione puntiforme, in una rete, in una palla, è nel contempo una gradazione sul colore, capace di degradarlo e di lenire, di curare il trauma, e qui entra in campo il suono, che il rombo tacendo rappresenta. La palla, oggetto della lavorazione, cui Sergio Finzi ha dedicato il suo libro Nevrosi di guerra in tempo di pace, è questo oggetto nero dell'origine, l'uovo nero del collezionista di teschi, che unisce la vita e la morte, sul bianco, di una diafana tela. Tela, tessitura, trama, lavorazione, tela quadro, superficie fondamentale per la rappresentazione, dalla quale non si può prescindere, per un risultato che è un "non composto nel23

lo spazio''. La pittura di Claudio Parmiggiani rappresenta lo scacco del cinema sonoro a colori. Ciò che il cinema ha fatto, dopo il muto, dopo il bianco e nero, è una sintesi riuscita di immagine, di movimento, di suono, di parola, di musica, e di colore, i cui contorni coincidono come la funzione all'organo. E per questo forse è impossibile, no' nostante tutti i suoi sforzi di rappresentazione e di concettualizzazione, con cui ha �nche cercato di passare dal primo al secondo autoritratto di Klee, dallo stadio di un movimento in atto a una riflessione su di sé, un uovo "sapiente", è forse impossibile a questo cinema essere arte. Proprio nella "realtà" che sembra offrire la rappresentazione della natura stessa, che sembra portare nell'orecchio dello spettatore il suono degli zoccoli dei cavalli, che fonde oggetti e colori, parole e movimenti, scompare la scansione in cui tutti questi elementi possono collocarsi. Scompare innanzi tutto lo schermo, la superficie fondamentale è sfondata da una realtà indifferenziata e dirompente che non ha più alcun riferimento con la realtà che si costruisce in modo analogo nel soggetto umano, nella natura e nell'arte. Scompaiono i limiti predisposti della tela preparata, e dell'apparato psichico. Scompaiono le differenze teoriche, come quelle che si pongono al bambino tra vivente e non vivente. Scompare il rapporto tra un uomo e una sedia che struttura insieme il soggetto umano e un quadro di Van Gogh e un romanzo di Vietar Hugo, il suo nome stesso, l'H, acca maiuscolo, intagliato nella e rappresentato dalla, forma della spalliera della seggiola. Scompaiono in questa sintesi "riuscita" altre composizioni problematiche. Come può per esempio un rombo essere silenzioso, un trauma essere inavvertito, poteva essere rappresentato dal piccolo Film di Beckett con Buster Keaton, altra "faccia di pietra", ma non dal colorato cinema sonoro. Il sonoro distrugge il silenzio che era la superficie fon24

damentale del cinema muto. I colori "realistici" coprono la funzione del colore nella realtà e occultano la sua nascita dal bianco e nero. La pittura di Parmiggiani ci dà allora un colore che è vicino alla figura umana a ricordarle la sua origine, ma che non è il colore della figura umana, e non coincide con i suoi contorni. È un colore, può essere il giallo del sole paterno con cui essa tenta una regolazione, o la gradazione più intensa del1'arancione, o il filo del rosso incandescente che la conduce al confronto con il godimento del padre in una Notte d'amore (1962): 25

Allora la figura umana è il rosso della figura che brucia sopra un cavallo, del 1980, ma il rosso è sopra di lei, brucia di un ardore non suo I Il suono degli zoccoli del cavallo è il rosso, lo stesso che brucia il soggetto: la rappresentazione dell'animale nel luogo della fobia è insieme il rumore dello zoccolo che terrorizza il piccolo Hans, e la sua origine dal godimento del padre. Spostato, il colore è macchia e la macchia appartie26

ne alla reversione con cui nell'animale riappare il capostipite. Spostato, il colore è la discendenza dell'uomo dalla ferocia del padre primordiale. Spostato, il colore scuote la figurazione kleeiana in cui bastano due linee a rappresentare ascendenza e discendenza. Il rosso è ancora l'onda che sventola i capelli della figura che è nera (L'onda, 1983): 27

Ma il suono è un rigo musicale ·senza note su cui i' azzurro è la testa (Senza titolo, 1982): .:.� La geografia non accoglie l'uomo che ne precipita fuori: Figura che fugge via, del 1978. 28

Il soggetto, da una stanza divisa in quadri e rombi insieme entra, ed è nero su giallo, è orizzontale ed è verdeazzurro, esce nel nero, ed è rosso (Senza titolo, 1983). 29

Il soggetto umano orizzontale di Klee in Non composto nello spazio, diviene la geografia di un soggetto "mutante", 1969, \ . /,. 30 -r;:-,.-: ' ;. jJ·i� � , . r · � . '.)� - • :. � - _\ l ( i :

che è ancora la tela davanti alla quale un uomo brucia, del 1975: 31

Se la tela, la geografia, lo spazio, per Klee era capace di contenere movimenti opposti, direzioni diverse, prospettive incompatibili, per Parmiggiani il soggetto esce dalla stanza a quadri e rombi delle prospettive kleeiane. Se Klee aveva negato che l'io pittore che si ponesse dinanzi a una tela potesse dipingere davvero, per Parmiggiani davanti alla tela il soggetto brucia. Il soggetto di Parmiggiani esce dall'uovo, che ancora Parmiggiani sospende ( 1967), azzurro in una stanza kleeiana "'- / '· _______ , • I ' e colleziona uova nere. 32 ""',

L'orecchio è scisso dal suono come l'occhio di Klee dalla vista, come i cavalli sono separati dal sonoro (1984, Senza titolo) J 33

e si lega al movimento, come l'occhio al suono (Vieste, 1984), o al colore (Senza titolo, 1983), ma anche il soggetto è un soggetto diviso dalla superficie fondamentale che lo struttura. Sono due momenti diversi del soggetto. Quello di Klee è il soggetto che nasce dal luogo della fobia, il bambino dopo i cinque anni, il soggetto che appartiene alla struttura che segue la prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico. Per Parmiggiani il soggetto è colto nel momento drammatico in cui non si sa ancora se la rappresentazione sarà possibile. In cui brucia il fuoco del godimento del padre. In cui l'angoscia si è affacciata nei sogni di un bambino di quattro anni, e non ha ancora trovato la sua teorizzazione. Il soggetto di Klee, come Klee diceva, 34

"vigila", anche dall'interno di un guscio. Il soggetto di Parmiggiani rabbrividisce al sogno del fuoco. Una figura raccoglie un fiore dentro un vaso. Il vaso contiene fiori e la figura umana si immerge a coglierne uno. Ma il soggetto-struttura uovo è fuori del vaso (Figura che raccoglie un fiore dentro un vaso, 1984): 35

Il soggetto espulso dalla geografia guarda la palla oscura che può stare in alto o in basso (Senza titolo, 1984). 36

Se è in alto forse è la luna e lui è sulla terra, ma se è in basso è il mondo, in cui ancora non è entrato, come il piccolo Hans di Freud rispetto alla rappresentazione della pianta del Dazio, e che è la palla rilevata da Pinzi nei sogni degli analizzanti, il bolo da affrontare, da inghiottire o da lavorare con le mani, e che rimanda, proprio con la tinta verdastra che Parmiggiani cola su un soggetto che si specchia (Malanngan, 1971), al magma seminale. E tuttavia, già i colori appartengono al pensiero, il magma si scompone nel rosso, giallo e azzurro dei colori fondamentali (Senza titolo, 1979) 37

e «nelle verdi sfere della notte» viene ricercato «nei segni il disegno del sogno». Il sogno non è il terreno di vaghi mostri, né il sogno è surreale, né è il fantasioso, l" 'onirico". Rappresenta nei segni un disegno. Se righe bianche e nere sono i segni che nella psiche rimangono di un mantello animale, come le macchie sono ocelli o i segni di un cane pezzato, se le righe colorate segnano la gradazione di ritorno al confronto con il padre, che è ancora il terribile padre primordiale, il disegno del sogno è ancora prossimo all'arte in questo, nel dirci che per il soggetto la rappresentazione lo comprende sia che vi si collochi, sia che la guardi dall'esterno, in una diversità rispetto alla prima rappresentazione esterna dell'appa38

rato psichico che va da una possibile "normalità", che è quella dell'artista che sa della rappresentazione, alla nevrosi che subisce la ripetizione di una rappresentazione meccanica, alla psicosi che pone all'esterno della superficie fondamentale che consente la lavorazione, la figura di un soggetto che brucia. I due poli estremi sono assai vicini, lo psicotico non manca di una sua teoria, il nevrotico è il più lontano dall'arte, inceppato e imprigionato, ma per lui si configura, al di fuori del pathos scartato da Klee, la possibilità del «nostos», il ritorno, quella categoria della nostalgia che ho affidato al nevrotico per il proprio "fondamento psicotico", che coincide poi con il tempo dei primi disegni dei bambini, del cerchio del sole e del cefalopodo. Questa nostalgia può diventare creativa. Funziona da velo e da condotto come quelle che Freud chiama «potenze psichiche», vergogna, pudore, rispetto, compassione, ma porta in senso contrario: la velatura può essere riconosciuta come tecnica, e la direzione è·opposta a quella della "giusta prospettiva", di nuovo verso la tela della rappresentazione. Di fronte all'eroismo di Klee che incarna, tutto il corpo del pittore è strumento della sua arte, nella propria morte la propria teoria dell'arte con una figurazione ''fredda'', la funzione del colore nel sogno come segno "caldo" sulla figura o a proposito della figura, è la via di una cura che accetta una distanza tra arte e strumento, per risalirla e riproporre una scelta possibile. Virginia Pinzi Ghisi 39

Socialismo dall'utopia al mito Lukacs e Gramsci quali rappresentanti dell 'Action weiliana Dal punto di vista ideale la risoluzione di una determinata forma di coscienza era sufficiente ad uccidere [toten] una intera epoca. Nella realtà, questo limite della coscienza corrisponde a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali e perciò della ricchezza ( Grundrisse nella versione di Marx-Engels, Opere, XIX, Roma, Ed. Riuniti, 1986, p. 474). Se un termine si addice agli avvenimenti di significato universale prodottisi nel 1989 (e 1990)1, avvenimenti che possono essere letti anche come la conclusione e la chiusura epocali della «rivoluzione» per antonomasia2 iniziatasi simbolicamente con la presa della Bastiglia del 1789, e giunta alla sua meta e in un certo senso al suo concetto3 , con la caduta del muro di Berlino, questo è il «totem> della citazione marxiana, ma ancor meglio il «dileguarsi» che felicemente traduce nella versione di De Negri della Fenomenologia il «verschwinden» hegeliano. Il «dileguarsi» del sistema comunista, o meglio del «socialismo reale», che dell'idea comunista rappresentava la verità. Perché è ovvio come nella storia ogni idea si realizzi in forma di40

versa da se stessa, dato che l'esistenza è razionale, ovvero ha le sue condizioni di possibilità (che appartengono propriamente al «conoscere»). Il «socialismo reale» è stato la verifica di tali possibilità, e ha trovato nello stalinismo e nella lunga stagnazione della sua eredità l'unica possibilità della sua realizzazione. Parafrasando il Marx sopra citato, il comunismo è stato una forma di coscienza, ovvero una figura dello spirito che si è dissolta parallelamente (o in seguito) a un superamento di un determinato grado di sviluppo delle forze produttive e delle sue conseguenze politico-sociali. Nulla di più dialettico - l'ultima «avventura della dialettica» merleau-pontyana - di questa relazione tra forze produttive, forma di coscienza e sistema politico-sociale; e nulla di più dialettico di questo «dileguarsi» istantaneo; e nulla di più marxiano della direzione, del senso di tale «dileguarsi», il trionfo solare e sostanzialmente incruento del tipo di economia più avanzato, maggiormente produttore di ricchezza. Il testo di Marx prosegue: A dire il vero ci fu uno sviluppo non solo sulla vecchia base, ma uno sviluppo di questa base stessa (il fiore in cui essa si trasforma; si tratta pur sempre di questa base, di questa pianta che fiorisce; ed è per questo che appassisce dopo aver fiorito e in conseguenza della fioritura): è il punto in cui essa si è elaborata nella forma in cui è compatibile con il massimo sviluppo delle forze produttive, e perciò anche con il più ricco sviluppo degli individui. Non appena questo punto è stato raggiunto, l'ulteriore sviluppo si presenta come decadenza, e il nuovo sviluppo comincia da una nuova base. Se anche il passo è riferito esplicitamente alla fine della comunità antica, la sua enunciazione metodologica vale non 41

meno per il «socialismo reale»4 , in quanto il comunismo nella sua effettualità (non casuale, come ha mostrato la sua ripetitività di attuazione) è rimasto al di sotto del capitalismo sviluppato, dando ragione a chi vi aveva visto soltanto una forma primitiva e accelerata di accumulazione5 in un mondo che si poneva e si voleva separato («in un paese solo») nel fallimento della vagheggiata rivoluzione mondiale. Né la diversione puramente idealistica, che pure si richiamava all'ottobre 1917, ma nel suo astratto significato di rottura, del '68 occidentale, poteva controbilanciare il '68 orientale che, con la sua conversione dall'alto verso il basso della stessa dirigenza comunista, avvertiva della fragilità interna del sistema, della sua nudità ideologica, dell'incapacità di realizzarsi perfino di una vera «nuova classe» con i valori che ciò comporta. Poiché la prova del budino è mangiarlo, non si può negare che un settantennio di regime attuato fino alle estreme conseguenze (perfino «platoniche» con un Pol Pot, cioè la distruzione delle vecchie generazioni e l'edificazione del comunismo a partire dall'infanzia), tenuto in rigida clausura propagandistica6 , strettamente sorvegliato da un sistema poliziesco spesso biecamente ricattatorio, e dipendente dal potere fin negli aspetti più strettamente vitali, non si può credo pretendere che un periodo cosl lungo e un regime di cosl stretta clausura non debbano rappresentare un esame sufficiente per un'ideologia e un sistema, anche se esso non si è realizzato in esclusività. Del resto, la richiesta di universalità all'origine aveva un senso piuttosto internazionalistico che protezionistico. Anche se è doveroso ricordare che nell'Engels dell' Antiduhring il sistema sembra già a rischio, a livello di baratto dei buonilavoro, per la dinamicità demoniaca che il principio di scambio presenta. Ma nel complesso credo sia difficile non concordare con Bobbio che il comunismo rappresenti ormai una esperienza storica il cui esito non può essere posto in 42

oblio, ma solo hegelianamente «aufgehoben». Ma cosa è il comunismo che ha fallito (non il Dio, che sottolineava un valore ideale troppo alto e astratto - qui si tratta di un fallimento immanente, di incapacità di esistere, non di essere perfetti)? Esso è piuttosto il marxismo-leninismo che il marxismo stesso; soprattutto piuttosto che il marxismo «scientifico». Ma è legittima questa distinzione? Anzitutto è legittimo negare che il leninismo abbia mai rappresentato l'ortodossia marxista, ortodossia caso mai usurpata per via del successo e degli interessi ad esso connessi, anzitutto perché è sempre ridicolo parlare di ortodossia, e poi perché è difficile parlare di ortodossia quando Marx stesso ha posto in luce l'ambiguità della propria posizione. In una lettera da Londra del 7 dicembre 1867 Marx propone ad Engels una recensione del Capitale appena pubblicato, e secondo la caratteristica dei suoi rapporti con l'amico ne traccia naturalmente anticipatamente le linee (che questo rispetterà fedelmente in un articolo non firmato del 27 dicembre). La recensione doveva uscire e uscì sul «Beobachter», un quotidiano svevo di Stoccarda, di tendenze liberali, alla cui redazione doveva quindi riuscire gradito. Ecco il brano della lettera che si riferisce a tale affare: Circa il giornaletto svevo, sarebbe un colpo divertente quello di gabbare il Mayer svevo, l'amico di Vogt. La cosa sarebbe da mettere in atto semplicemente così. D'abord cominciando con ciò, che qualunque cosa si possa pensare delle tendenze del libro, esso tuttavia farà onore «allo spirito tedesco», e che anche per questo è stato scritto da un prussiano in esilio e non in Prussia. La Prussia ha cessato da lungo tempo d'essere il paese in cui o era possibile o si attuava qualsiasi iniziativa scientifica, specie nel campo politico, storico e sociale. Essa rappresenta adesso lo spirito russo, non quello tedesco. Per quanto poi concerne il libro stesso, si 43

44 debbono distinguere due cose, gli sviluppi positivi («solidi» suona il secondo aggettivo), dati dall'autore, e le conclusioni tendenziali che egli trae. I primi, essendo trattati i rapporti economici effettivi secondo un metodo materialista (questa parola piace a «Mayer» per via di Vogt) del tutto nuovo, sono diretti arricchimenti della scienza. Esempio: 1) la formazione del denaro, 2) come la cooperazione, la divisione del lavoro, la lavorazione meccanica e le corrispondenti combinazioni e rapporti sociali si sviluppino «secondo leggi naturali». Per quanto ora riguarda la tendenza dell'autore, si deve procedere a nuove distinzioni. Se egli dimostra che la società odierna, considerata dal punto di vista economico, è pregna di una nuova forma superiore, egli non fa che dimostrare socialmente lo stesso graduale processo di evoluzione che Darwin ha dimostrato dal punto di vista della storia naturale. La teoria liberale del «progresso» (c' est Mayer tout pur) comprende questo, ed è un suo merito, che egli stesso indichi un progresso celato laddove i moderni rapporti economici sono accompagnati da scoraggianti conseguenze immediate. Mediante questa sua concezione critica l'autore ha ad un tempo, forse malgré lui!, posto fine ad ogni socialismo da tavolino, vale a dire ad ogni utopismo. Al contrario la tendenza soggettiva dell'autore - egli era legato ed obbligato ad essa forse dalla sua posizione di partito e dal suo passato7 -vale a dire la maniera con cui presenta a sé o agli altri il risultato finale dell'odierno movimento, dell'odierno processo sociale, non ha nulla affatto a che vedere col suo sviluppo effettivo. Se lo spazio permettesse d'addentrarci di più nell'argomento, potrebbe forse venire dimostrato che il suo sviluppo «obiettivo» confuta le sue proprie fantasie [Grillen] «soggettive». Se il signor Lassalle ingiuriava i capitalisti e adu-

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