Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

... la scoperta che non l'individuo ma la classe è protagonista della storia è solo il primo passo sulla via della scoperta - teorico-pratica - di un nuovo, più autentico modo di esistere dell'uomo, di cui per ora si intravvedono solo pochi, contrastanti barlumi1°. In realtà la crisi della testimonianza, intesa come nesso tra verità e persona, appare tuttora irrisolta sul piano filosofico, giacché il rimando alla nozione di classe si pone come alternativa del tutto parziale, che non sempre riesce a dare conto delle scelte individuali, pur costituendone la matrice e lo sfondo, mentre la posizione espressa da Lévinas, pur salvaguardando in qualche modo il valore della soggettività, si muove tuttavia in mezzo alle ambiguità della trascendenza, ponendosi come enigma e come paradosso, e appare solo in parte utilizzabile sul piano storico. Lévinas ha scritto anche che «soltanto andando incontro ad Altri sono presente a me stesso», sottolineando che è la responsabilità etica a fare emergere l'identità autentica, e a impedirci di vedere negli altri un'alterità assoluta. Ma in Lévinas, l'altro, il volto che parla, si presenta con l'altezza della Maiuscola e diventa l'Altro, ponendosi su un piano trascendente, inaccessibile, se non prestando ascolto all'idea di infinito che si trova dentro di noi. In questo modo, la filosofia di Lévinas resta essenzialmente una «fenomenologia della passività, una descrizione dell'alterazione del soggetto»11 . Il caso Levi, come vedremo, non fa che confermare le difficoltà entro cui si dibatte tuttora la nozione di testimonianza. Ma il caso Levi (e il richiamo a un altro famoso caso di testimone dei campi di morte nazisti, quello del padre Massimiliano Kolbe), ci permetterà anche di riprendere la discussione critica delle posizioni di Vattimo e di quelle di Lévinas, dal punto di vista di quella che Paul Ricoeur ha chiamato l'«ermeneutica della testimonianza». 196

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