Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

Prima di passare ad affrontare il caso Levi, è bene forse ricordare che fino a questo punto l'aspetto più discutibile di quella che si indica come crisi del soggetto e del concetto di testimonianza sembra essere stata la tendenza, manifestatasi espressamente in Germania, a confermare il tentativo di revisionismo storiografico che mirava a negare o in qualche modo a sminuire le responsabilità del popolo tedesco in quella che si suole chiamare come la tragedia dell'«Olocausto»12 . Come è noto, ci sono state reazioni piuttosto vivaci a questa tendenza revisionista13 • La caratteristica più evidente di queste reazioni è stata in gran parte la riproposizione del tradizionale ruolo del testimone, e della verità di cui egli è portatore in quanto vittima della violenza nazista. È in questo ambito che nascono iniziative come il film Shoah, di cui si è parlato a lungo. Meno famose, perché tutto sommato meno «spettacolari», sono le iniziative che sono maturate in Italia in questo settore. Voglio ricordare a questo proposito la recente raccolta delle storie di vita degli ex deportati dei Lager nazisti, intitolata Storia vissuta, promossa dall'Aned in Piemonte. Lo stesso Primo Levi ha dato il suo contributo a questa iniziativa, affermando tra l'altro, in quell'occasione, che ogni sopravvissuto ali' esperienza della deportazione nei campi di morte nazisti è un testimone, «che lo voglia o no»14 . Ma le riflessioni di Primo Levi sul tema della testimonianza vengono sviluppate in maniera approfondita e in parte inedita proprio ne I sommersi e i salvati. Voglio richiamare a questo punto una citazione che mi sembra cruciale: Lo ripeto, non siamo noi, i testimoni veri. È una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o 197

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