Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

grado di esprimere la realtà dell'«Olocausto» proprio in quanto si costituisce come assenza e radicale alterità rispetto ai modi tradizionali del discorso. In un certo senso si potrebbe dire che lo scrittore in questo modo viene a riaffermare il significato originario della parola «testimone», già in uso nel greco extrabiblico, diventato poi comune nel lingu�ggio ecclesiale. Il testimone nel greco antico è il martire, e nell'uso della chiesa antica la parola «testimone» venne ben presto ad indicare colui che suggella con la morte la serietà della sua testimonianza22 • Anche questo può essere uno dei motivi che spinge Primo Levi ad affermare che solo coloro che non sono tornati sono i veri testimoni dell'«Olocausto». La direzione che egli indica è quella di una testimonianza integrale di una vicenda che tuttavia, per le sue stesse caratteristiche, sembra non ammettere di essere compresa nell'ordine del discorso23 • Il punto di svolta che ha determinato questa nuova impostazione del problema della testimonianza non va cercato all'interno dell'«Olocausto» inteso come fatto compiuto, come insieme di vicende drammatiche da raccontare, ma all'interno dell'esistenza, una tragica realtà da scoprire giorno per giorno. Il vero punto di svolta per Levi è nel passaggio dall'illusione di poter descrivere l'«Olocausto» con le tradizionali tecniche narrative a disposizione dello scrittore, a una concezione della storia intesa come «Olocausto». Una tentazione di questo genere era già evidente nel romanzo che segue a distanza di sedici anni la pubblicazione di Se questo è un uomo (1947). Mi riferisco a La tregua (1963) che si chiude con una nota inaspettatamente grave. Nelle parole stesse di Levi: 200 Nel sogno, il Lager si dilata ad un significato universale, è divenuto il simbolo della condizione umana stessa («nulla era vero all'infuori del Lager»), e si identifica con la morte a cui nessuno si sot-

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