Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

sumo: noia e frustrazione. Un titolo come Taxi Driver, nel momento stesso in cui ci dà come protagonista un normale lavoratore dello spazio pubblico indifferenziato, lascia presagire l'esplosione di un dramma. La città pubblica è pericolosa: solo a questo titolo può essere avventurosa, interessante. Ha senso cenare a Chinatown solo in quanto si rischia la pelle (L'anno del Dragone). Il marciapiede è per definizione il luogo della prostituzione: una passeggiata non è più riprendibile (non più di quanto fosse scrivibile, ai tempi di Brecht, una poesia d'amore). La strada è il luogo della percorrenza, fra pendolarismo e attesa (luogo del rimuginamento, o del dialogo in automobile, campo/controcampo): solo l'inseguimento può farne un campo d'intensità che la equipari all'autostrada. L'inseguimento velocizza la strada mettendo fuorilegge la segnaletica, il codice: l'inseguimento, più che la sparatoria, "westernizza" la città. Con uno strano ribaltamento di valori: se nella poetica dei «grandi spazi» è paradossalmente la fuga ad essere impossibile, per cui l'eroe è generalmente l'inseguito (Ombre Rosse), nel labirinto metropolitano tutto si occulta nella massa (nell'ammasso), per cui l'eroe è generalmente l'inseguitore (The French Connection). Il luogo non comune Il cinema non documenta la città: la inventa. La inventa e la reinventa non solo quando la costruisce o ricostruisce (in studio, come fa Fellini, o en plein air come succedeva per i western), ma anche quando la filma dal vero. La scenografia è sempre un luogo mentale: paesaggio, contesto, sfondo - l'ambiente è già un dispositivo narrativo. Il nome stesso della città è una macchina connotativa. È per questo che Chaplin poté girare in Inghilterra Un re a New York. È per questo che Brazil è un film atopico (astorico). 108

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