them to other humans, turning them, eventually, into forgeries of themselves. So we wind up with fake humans inventing fake realities and then peddling them to other fake humans. It is just a very large version of Disneyland16 . Ma se le fake realities della società mediale conducono inevitabilmente a Disneyland, cioè al mondo delle apparenze verosimili, ne consegue in qualche modo che le fake realities disvelanti, quali quelle in azione negli ordigni allegorici di The Man in the High Castle o di The Third Reich'n'Roll, si situano tutte all'opposto di Disneyland, vale a dire nel disvelamento del simulacro? È quindi al falso che si dichiara falso che viene affidato il disvelamento del falso che si dichiara vero? Il lettore perdonerà, spero, queste ripetute domande sostanziate di cattiva infinità, qui utilizzata solo, per così dire, come figura retorica. In realtà questi continui disvelamenti, questo rimbalzo costante e apparentemente inarrestabile della taccia di inautenticità nella strutturazione dei mondi alternati che abbiamo descritto, ci occorrono per imboccare finalmente la dirittura d'arrivo17 . Tornando a The Man in the High Castle, dovremo allora tener conto di altre due sostanzialissime intrusioni che sbilanciano definitivamente l'oscillazione nella quale fino ad ora ci siamo acconciati: la prima, relativa al «mondo zero» che esplode prepotentemente nelle pagine che si avviano alla conclusione del libro; la seconda, basata invece su un ulteriore mondo alternativo, un «mondo possibile due» al quale sarà assegnato il significato estremo dell'opera. In realtà entrambe queste intrusioni agiscono nel reale messo in essere dall'opera come autentiche lacerazioni, vale a dire come immissioni di vuoto attraverso cui far slittare il tempo e figurare quel futuro che abbiamo precedentemente considerato bandito dal romanzo. Nella prima di queste intrusioni riaffiora prepotentemente quella dialettica fra «falso» e «autentico» che si sviluppa intorno agli 91
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==