coscienza: se l'oggetto è intangibile e l'essere è della sua apparenza, il simulacro che la società multimediale pone al di là del fenomeno offre, in effigie, la tangibilità del1'oggetto stesso. Il simulacro è il «cliché accettato senza discutere» sottratto al fenomenico e ispessito fino a darsi come oggetto, è la noumenizzazione del fenomeno. Strappato al suo silenzio deteriorante (perché l'«in sé» di ogni oggetto è il suo deteriorarsi), l'oggetto che il simulacro vorrebbe fare apparire non conosce, o tende a non conoscere, il divenire; l'uomo-oggetto, rivestito del suo simulacro, il consumatore mediale, sente odore di eternità (di qui l'instupidita felicità collettiva che le società occidentali mostrano in questi anni). Ogni simulacro simula il possesso dell'oggetto in sé. La soggettività del fenomeno percettivo viene decantata nel simulacro in una falsa oggettività: il «cliché accettato senza discutere» si fa cosa, dato oggettivo, perentoriamente. Integralmente sostenuto da un fascio di percezioni, il simulacro ottiene facilmente l'essere; in questo fascio di percezioni virtualmente ripetibili, sicuramente intersoggettive, il simulacro si pone, nel presente, al di là del presente, consegnandosi al tropo col quale l'uomo ha sempre simulato l'eternità: la ciclicità. D'altra parte, il simulacro non agisce come metastasi riconoscibile del fenomenico: esso sta piuttosto in luogo del fenomenico. Ciò vuol dire che il percepiente, il soggetto della conoscenza, non può farsi solo spettatore o non può illudersi di esserlo. Il simulacro, il «cliché accettato senza discutere» e ispessito fino a darsi come oggetto, come oggetto interamente posseduto, nel suo «in sé», nella sua deperibilità (e possedere la deperibilità delle cose vuol dire negarla), risucchia il percepiente nella sua simulazione, e ne fa simulacro. Scriveva lo stesso Philip K. Dick in uno dei suoi rari, ma puntuali, interventi teorici: 90 Fake realities will create fake humans. Or, fake humans will generate fake realities and then sell
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