Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

ancora», visto che non si è, ma a torto, riconosciuta nel «socialismo reale», la sua dialettica obiettivazione. Ma se effettua questo riconoscimento, la figura deve abbandonare la sua prassi politica onnivora, la sua «prassi totale» (Axelos) mediata dal partito, e affidarsi al gioco incerto e sempre aperto degli interessi particolari, non esistendo o, se esistendo, non essendo rappresentabile né conoscibile un interesse generale. Deve cioè riconoscere che neppure la «società etica» (o il Partito) può porre «in nostro potere» la «condition» (Weil); deve resistere alla tentazione del «bene». Deve per ultimo far chiaro a se stessa che la figura è consistita nella ricerca del comunismo, quindi nel comunismo come Bewegung nel senso marxiano, non nel concetto stesso di comunismo al di fuori della «politica» come eguaglianza assoluta, o anche come «comunità» di lavoro in senso marxiano. La fine del comunismo è quindi il ritorno del politico nel senso in cui lo interpretava Thomas Mann dichiarandosi «apolitico», cioè in sostanza organicista, nella stessa valenza positiva con cui definiva apolitico nell'immediato primo dopoguerra il comunismo stesso. Ma tale politico (che in Weil si è manifestato come reintroduzione della morale kantiana pur mantenendo l'apertura dell' Action sulla politica universalistica) così - dopo tale figura e in conseguenza di tale figura - non potrà non tendere, come tende, a mantenere l'orizzonte storico-mondiale. E in ciò, a prescindere dalla persistente validità e fertilità della metodologia marxiana, sta certamente l'eredità positiva dei «grilli» marxiani e della figura del Partito. Il resto (la polverizzazione dello svuotato contenitore PCUS nell'agosto '91; e poi ancora Cuba, la stessa Cina, ecc.) non è che «storia». Luciano Amadio 67

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