Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

lava i nobilucci prussiani, il signor Marx dimostra al contrario la «necessità» storica della produzione capitalistica e sferza lo junkerismo aristocratico che è soltanto consumatore. Quanto poco condivida le idee del suo scolaro Lassalle, da lui staccatosi, circa la missione di Bismarck di iniziare un nuovo millennio economico, egli l'ha dimostrato non soltanto prima nelle sue proteste contro il «socialismo rea/­ prussiano», bensì lo esprime di nuovo apertamente a pp. 762, 763, dove dice che il sistema adesso dominante in Francia ed in Prussia infliggerebbe il regime dello knut russo a tutto il continente europeo, se a tempo non lo si fermasse. Questo è a mio modo di vedere la maniera di prendere in trappola il Mayer svevo (che ha già stampato anche la mia prefazione), e per quanto piccolo sia il suo giornalucolo, costituisce però l'oracolo popolare di tutti i federalisti germanici e vien letto anche all'estero (Marx-Engels, Opere, XLII, ed. cit., pp. 442-44). Nell'epistolario Marx-Engels non mancano altri esempi di «trappole» del genere per i loro avversari, e l'invio di testi ambigui. Ma l'ambiguità non è a senso unico: che dire dell'atteggiamento di Marx verso quello che è stato per un secolo un avvenimento simbolo della storia del movimento operaio, la Comune di Parigi? Ma qui lo scritto è forse anche allo stesso tempo un caso lukacsiano di «trionfo del realismo»; ancor meglio l'espressione di una vera e propria autocoscienza critica. In sostanza Marx distingue nettamente nella propria opera una parte che ritiene assolutamente scientifica, nonché una seconda correttamente interpretativa; e infine una terza composta dei propri «grilli» soggettivi, «pratica», per dirla alla Croce. È una distinzione a cui i «marxisti», quelli per i quali Marx si dirà non-marxista, hanno spesso volentieri rifiutato, in nome del principio dell'unità di teoria e prassi, in tal modo com45

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