Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

tivistica, il «senso» metafisico della vita, che poteva rimanere estetismo in arte, divenne politica nei quadri sociali intermedi a cui la distruzione bellica e rivoluzionaria delle gerarchie sociali tradizionali e l'avvento delle masse, la forza cieca delle piazze, destando insieme paure e speranze, aprivano tuttavia di nuovo la strada delle carriere fulminanti della rivoluzione francese. Questo intero itinerario fenomenologico ha avuto la sua interpretazione forse più interessante al suo declino: dalla posizione strategica di un Eric Weil, in grado, come la Arendt, di potersi permettere una comprensione immanente del senso della crisi generazionale della democrazia e della civiltà occidentale attraverso le due figure dell' Oeuvre e dell' Action della sua Logique de la Philosophie (1950) come esistenziali istanze di senso dell'individualità irrisolta nell' Absolu, nell'immanente e panteistica totalità hegeliana. Di esse l'Oeuvre (sotto la cui figura Weil comprende dichiaratamente Hitler) è il primo risultato della «rivolta» (un termine che Sorel utilizza largamente in riferimento alla «scissione» e che contraddistingue la «trahison des clercs»), del momento della pura liberazione dell'individualità nella sua volontà sostanzialmente vuota, che realizza il proprio «senso» ponendosi per la morte. Se la figura, o «attitude-catégorie», dell'Oeuvre risponde al contenuto della soreliana «legge dell'azione, quale ci è rivelata da tutti i grandi movimenti storici» (cit., p. 210), l'Action s'identifica quasi perfettamente con il concetto gramsciano di prassi. Sotto probabilmente l'influenza di Kojève, la figura presenta, su una base decisamente giovanemarxiana, evidenti accentuazioni leniniste; e perciò non mi sembra illecito vedere in Gramsci e in Lukacs due suoi esimi rappresentanti, come del resto furono i maggiori ideologi del comunismo. La loro continuità con il marxismo «classico», come per Lenin, è costituita dall'idea dell' attualità della rivoluzione; la discontinuità, per dirla con una espressione della Luxemburg della Critica alla rivoluzione 56

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