Angelo Brucculeri - Il problema della terra

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ANGELO BRUCCULERIS. J. IL PROBLEMA DE.LLATERRA SECONDA EDIZIONE Bibliotuc1 Gino Bianco ROMA CIVILTA' CATTOLICA Via Ripetta, 11-46

Roma - Ditta Armani di Mar,o Courrit>r. Biblioteca Gino Bianco

PREFAZIONE Fra le maggiori questioni della presente cr.si postbellica, quella del suolo si erge e sovrasta nell'ampiezza di un problema rwn solo economico, ma sociale ancora e morale. Quale la soluzione? Il collettivismo si è supersliziosa11iente aggrappato al feticcio della socializzazione; l' opportunismo demagogico, senza darsi pensiero dei titoli etici e giuridici, distriguisce con un gran gesto munifico la terra ai contadini; la. borghesia agraria nello statu quo presente 'trova una formula non inco 11wdadella divisione fon diaria. Noi invece propugna mo una soluzione che non inciarnpi nello scoglio dell'utopico o dell'ingiusto, nè si arresti nel conservatorismo borghese. Biblioteca Gino Bianco

CAPITOLO I. Una frase pericolosa. - Natura del problema. -- La socializzazione del suolo e le sue ragioni storiche. Non è un problema solo, ma una somma o, meglio, un viluppo di gravi e delicate questioni, che attraverso gli avvenimenti della guerra ·sovvertitrice, si sono violentemente rideste, domandando immediate soluzioni. E le soluzioni sono germogliate come funghi in ogni campo. È stata una pioggia, una grandinata di proposte, di riforme, di mozioni che il d1lettantismo econ.omico, il demagogismo temerario, il politicantismo interessato, salvo s'intende alcune lodevoli eccezioni, ci hanno reg!3-latodai congressi e dalle tribune parlame~tari. E il fenomeno - quasi diremmo comico - si è che la fioritura dei tanti disegni sulla questione t<:rriera, dai più audaci ai più temperati, dai più fatui e chimerici ai più ragionevoli e attuabili, si è presentata al gran pubblico plaudente sotto un'unica formula, che ristr~tta dapprima nella << terra ai combattenti » si ampliò di poi generosamente nell'altra, che gode oggi una grande ce-· lebrità : « la terra ai contadini ». B bi otecc1Gino Bianco

-6La fortuna della frase non può farci stupire. E un fenomeno che si rinnova nelle maggiori. crisi sociali, e che anche dai poco familiari con la psicologia delle moltitudini può agevolmente spiegarsi : un'espressione vaga, turgida, senza un contorno stabile, che lascia a tutti i cervelli piena libertà di insinuarvi ogni significazione; un'espressione sonora che schiude agli appetiti eternamente _insoddisfatti prospettive spettacolose, come può riuscire ingrata alle orecchie proletarie? (r). Perciò i governi, i partiti, le organizzazioni di classe, tutti gli speculatori sulle molt'itudini popolari, si sono fatti un dovere di gridare per ogni dove la magica frase. Gli uomini del potere se ne son fatto un parafulmine c◊-ntro le ire bieche . . . dei reduci della guerra, che gettano occhiate gelose sulle fortune improvvisate dei così detti pescicani; altri l'hanno esposta come la sintesi di un mirabolante programma di restaurazione postbellica; tutti l'hanno lanciata come esca appetitosa per fare proselitismo a buon mercato. Naturalmente, attorno alla formula, divenuta così improvvisamente celebre, si è formata una copiosa bibliografi.a, esercitazione, per lo più, declamatoria di Gracchi improvvisati, che conoscono (1) Il partito nazionale irlandese prese per suo motto: the land to the people (la terra al popolo), ma con ragione; perchè è notorio che gran parte del suolo d'Irlanda è stato ingiustamente confiscato da pochi invasori inglesi e di più protestanti, persecuto"ri accaniti del cattolicismo. B·bl oteca Gino Bianco

-7la terra. attraverso qualche esametro delle Georgiche virgiliane o qualche ristretto manuale di ' economia politica. Sebbene la più parte si sia sbracciata a farne le lodi, non mancarono tuttavia alcuni, come sempre avviene, che vi trovarono di che criticare largamente. Così, mentre per alcuni l'espressione « la terra ai contadini » è un'espressione simpatica (vedi, · p. es., il discorso dell'on. Mauri al secondo congresso nazionale del P. P. tenuto a Napoli), per altri è un'espressione vuota ed illusoria (1); per altri degna d'essere combattuta (2); per alcuni è addirittura criminosa (3). Noi non nutriamo tenerezze svenevoli, nè bi.,, liose astiosità contro la formula tanto decantata. Senza cadere ·nelle esagerazioni o degli ammiratori o dei detrattori, pensiamo èhe si può, si deve anzi qualificare come pericolosa, quando viene con leggerezza lanciata tra le folle così pronte alle. infatuazioni più deplorevoli. Un grido di questo genere, animato dalla facile eloquenza di un propagandista qualsiasi, ha un gran potere di suggestione malefica sul popolo, il quale nel suo semplicismo incaut<_>, è ben lontano (l) PRATO, Ln terra ai contadini o la terra agli impiegati? Treves, Milano 1919, p. 108. (2) L'on. Serrati al convegno di Firenze, 15 gennaio 1920: Combatto la tesi della ferrovia ai ferrovie,'i e della terra ai contadini. (3) MARCHI, Addio borghesia, in Volontà, 31 maggio 1919. Bibl oteca Gino Bianco

-8dal torcere l'elastica frase ad un significato plausibile. E la prova sperimentale si è avuta nelle invasioni delle tèrre, e non di quelle incolte o mal coltivate, ma con prderenza di quelle in cui la cultura non lasciava nulla a desiderare. Chi potrebbe non iscorgere in queste ingiustificate violenze del -numero contro il diritto di privati proprietari, la forza suggestiva del motto « la terra ai contadini », di cui si abusò nella propaganda elettorale delle precedenti elezioni' polii~iche? Ma se come un mito palingenetico, o come uno squillo di guerra non deve tollerarsi da chi tiene all'ordine ed all'equilibrio sociale, ciò non vieta ch'essa formula possa essere presa i_n esame e .proposta allo studio, per fissare se e quale interpretazione debba assumere, perchè dall'una parte non siano travalicati o abbattuti gli argini del diritto e della giustizia, e dall'altra sia dato all'assetto fondiario una maggiore consistenza di equità e di efficienza economico-sociale. Ciò solleva uno dei principali problemi della terra, che ·noi ci proponiamo di' studiare in queste pagine. *** È questo un problema di produzione o non piuttosto un problema di distribuzione? È un proble- - ma economico o un problema sociale? Per coloro che nello sfaldarsi e sgretolarsi della compagine sociale presentono qualche cosa· di più e di pegB.bl oteca Gino Bianco

-9g10 di una « bancarotta » economica, la « bancarotta » del sistema totale della nostra civiltà, il problema deve con la sua soluzione tendere a pacificare la classe tanto numerosa dei contadini, a sedare la fame (direbbe l'on. Mauri) ch'essi hanno della terra, per ottenere così uno strato ampio quanto saldo ed impervio alle infiltrazioni corro..: sive del massimalismo demolitore. Altri invece, premuti dal grave dissesto, a cui la guerra - soppressione mostruosa di tanta ricchezza demografi.ca ed economica - ci ha fatalmente condotto, ansiosi per le incertezze di un domani catastrofico, non vedono altro· scampo ai mali incombenti che l' aumentata produzionf, « ... Se non vogliamo errare,· scrive Vittorio Scialoja, dobbiamo proporci un unico fine : l'aumento della produzione. Se, invece di proporci questo fine economico, che è il vero fine dell' agricoltura, noi ci proponiamo soltanto fini di natura giuridica - come la divisione delle terre - o fini di natura sociale - come, per esempio, la distribuzione della terra ai contadini - il risultato, dal punto di vista della produzione, non sarà certo soddisfacente. Lo studio dei problemi deve essere essenzialmente tecnico ... Bisogna far fruttare la terra che meno produce e bisogna trarre qualche partito· anche da quella che pare infruttifera, fin dove si pu'ò... » ( r). · (1) J problemi dello Stato Italiano dopo la guen-a. Bo• logna., 1819, p. 159. B bi otecd Gino Bidnco

- IO - Considerare a questo modo il problema della terra, fino a restringerlo ad un problema tecnico, è uno sconoscere la interdipendenza e l'intima connessio.ne delle quistioni economico-sociali. Per noi i due problemi, benchè speculativamente distinti, praticamente si confondono insieme, giacchè il primo dipende dal secondo in modo che l'uno non può essere sciolto se non in ordi_ne all'altro. La terra, alma parens frugurn,, è la grande riserva economica, di cui Dio ha dotato ia farnj 1slia umana, perchè questa, usandone i frutti, potesse alimentare, protrarre, difendere, rallegrare la vita (1). Così lo scopo finale della terra, la precipua ragione di essere nelle attinenze con l'uomo, la sua propria e naturale « funzione >> è l' « utilizzazione » economica. Tutti i problemi, che in un modo o in un altro la riguardano, debbono subordinare le loro soluzioni alla sua funzione produttiva. Un ordinamento giuridico, un processo tecnico, un frazionamento del suolo che ne frustrasse il fine, che riuscisse ad impedire, a menomare, alterare quel rendimento che la società ha bisogno e diritto di chiedere, non può essere ragionevolmente consentito, ma deve piuttosto sostituirsi con altre disposizioni giuridiche, altri procedimenti tecnici, (1) Salmo CXIII, 16: • Terrn,n autem dedit filiis hominu,11 •. Cfr. Genesi I, 28 e 29: • Replete terram et subiicite ea111..• •• B bi oteca Gino Bianco

- II - assetti distributivi, i quali diano affidamento che la terra sia non un prato per isdraiarvisi gli oziosi, non una bandita per un piccolo numero di gaudenti, non un bosco destinato alla rapina, ma che sia quello che la PrQvvidenza volle : madre di spighe e di frutti, nutrice degli uomini, alma parens frugum. Come il legislatore, il sociologo, il filosofo che studiasse il coniugio, -e volesse regolarlo senza darsi pensiero, nè punto nè poco~ del fine primario di questo istituto, ossia della procreazione ed educazione della prole, costruirebbe nel vuoto, così lo studioso dei problemi ·agrari che non considerasse il fine primario della terra devierebbe verso fallaci soluzioni. Se egli vuole che le sue indagini e i suoi progetti abbiano valore, deve a questo primo scopo mirare e ad esso ispirarsi. E allora i due problemi proposti possono confl_uire in un unico quesito : Quale sistema di appropriazione guarentisce alla terra la sua « funzionalità economica »? Con quale distribuzione si ottiene una produzione maggiore? Si è risposto in varii modi a questo problema. Alcuni si affidano alla proprietà collettiva, al monopolio statale o comunale : 1° socializzazione delle terre; 2° altri alla grande. proprietà con la grande e perfezionata cultura odierna, in;dustrializzazion-g del suolo; 3° altri alla piccola e media proprietà, spezzamento del latlfondo; 4° non mancano di coB bi oteca Gino Bianco

- 12 - loro che preferiscono la soluzione che dà l'evoluzione spontanea e il libero giuoco degli interessi dentro l'ambito di un'azione statale, moderatrice e stimolatrice delle energie private. *** La socializzazione sia della terra, come in genere di tutti gli strumenti di produzione, è propugnata dai socfalisti in forza di principii che sono la negazione recisa di verità chiaramente insegnate dal diritto stesso di natura. La proprietà privata, al dire di costoro, non ha nessuna legittimazione morale; la terra non è d'individui privati, è del popolo : s'impone adunque una rivoluzione che restituisca il suolo alla società. - « La « terra, scrive il socialista Bauer, fu in antico pro- « prietà del popolo; ·con il rinforzarsi della po- « tenza dei principi, la proprietà del popolo• passò « ai principi, i quali la diedero in feudo agli uo- « mini del loro seguito, ai vescovi ed abati, obbli- « gandoli in compenso a servire in corte e nel- « l'esercito. Per secoli e secoli il feudalismo è stato « il fondamento dello Stato, finchè con la fine del « medioevo esso è caduto. La terra che i signori « avevano ricevuto soltanto come feudo diventò fi- « nalmente loro privata proprietà~ noti più gra- « vata dalle servitù feudali; ed essi l'ampliarono « annettendovi gli A.llcmf'nden, che erano ancora « proprietà collettiva delle comunità dei contadini ' « e vincolando i contadini al suolo. Così nacque Bibl oteca Gino Bianco

13 - « la grande proprietà, così l'antico possesso po- « polare del suolo trapassò nelle mani della no- << biltà e della Chiesa. Il riconquisto al popolo di <e ciò che è stato sua proprietà comune sarà il com- « pito più grande ed importante della rivoluzione << sociale » ( r). Questo « compito » · che per ii.l socialista Bauer è un augurio e un desiderio rion soddisfatto, per ì leninisti invece è una realtà che esalta e commuove le viscere dell'Avanti!. I Bolscevichi, persuasi, come ogni buon socialista, che ogni guaio dei mortali fa capo indiscutibilmente alla proprietà privata, hanno già decretat~ la nazionalizzazione delle terre 'dalla quale si attendevano (2), come ex opere operato, la felicità ineffabile della pace e della ricchezza. Ecco qualche brano delle (I) La socializzazione della grande proprietà, nella · Critica Sociale, 15 febbraio 1920, p. 37.' (2) Dopo tre anni sono ancora in attesa. Al 5° congresso generale dei lavoratori dei trasporti fluviali tenuto a Pietrogrado, Lenin diceva chiaramente: • Il paese è rovinato. Le calamità, la fame, il. freddo, i bisogni generali hanno raggiunto un tale grado da rendere la condizione insoffribile •· - In un altro discorso all'assemblea dei soviety di Mosca diceva: • L' inverno sta per finire, i bisogni del paese e la fame si acuiscono sempre più, come anche, in generale, tutto quanto è annesso al ripristinamento delle forze creatrici e, in particolare, la crisi dei trasporti•· Cfr. Corriere d'Italia 21 maggio 1920. - In un articolo del 19 aprile 1920, lo stesso Lenin scriveva: • Costruire una nuova disciplina del lavoro, trovare nuove forme dei rapporti sociali fra gli uomini, ·creare nuove forme e misure per richiamare gli uomini al lavoro, ecco un lavoro per molti anni e decenni. (Avanti! 1° giugno 1920). B bi oteca Gino Bianco

- 14leggi fondamentali della Rep·ubblica so~ialista federativa russa dei sovieti. « Mirando come a scopo primario alla soppressione di ogni sfruttamento dell'uomo per l'uomo, alla eliminazione della divisione delle classi sociali, all'esterminio senza pietà degli sfruttatori, allo stabilimento dell'organizzazione socialista délla società e alla vittoria del socialismo in tutti i paesi, il terzo congresso nazionale dei deputati operai, contadini e soldati dell'esercito rosso ordina: a) Al fine di attuare la soc·ializzazione delle terre, la pToprietà privata del suolo è abolita e tutte le terre sono considerate come appartenenti all'intera nazione e sono trasmesse ai lavoratori senza alcuna indennità sul fondamento dell'uguaglianza d'uso; b) Le foreste, le miniere e le acque che hanno un'importanza nazionale, così come i beni mobili ed immobili delle masserie modello e degli stabilimenti agricoli divengono proprietà nazionale » ( 1). Il concetto, tuttavia,' dei leninisti e dei socialisti odierni sulla socializzazione della proprietà terriera, non è certamente un concetto nuovo ed originale. Esso sta in fondo a tutti i sogni dei comunisti, che possono risalire fino a parecchi se,. (I) RAOUL LABRY, U11elégislation commun.iste. Recueit des lois, décrets, arretés principau."C du gouvernement bolcheviste. Paris, 1920, pagg. 2-3. B bi oteca Gino Bianco

-15coli av. C., fino a Platone (429), il quale nell'opera della Repubblica e nel trattato delle Leggi architettava, fra le nu~ole del suo idealismo, un ordinamento sociale in cui lo Stato è il signore esclusivo d'ogni proprietà ch'egli amministra, investe e distribuisce a suo talento. Lungo il corso della storia della Chiesa quel concetto riappare quale deviaz1one dell'idea della solidarietà cristiana per opera degli eretici : come degli Ebioniti nel primo secolo, degli Gnostici nel secondo, dei Manichei nel terzo, e più tardi dei I • Pelagiani, Albigesi, Wiclefiti, Ussiti e molti altri. Il concetto rinasce nei teorici e agitatori comunisti, che si succedono ininterrotti dal secolo XVIII al XIX, e culminano con l'Engels, col Lassalle, col :Marx, formulatore del socialismo scientifico. Ma tutti costoro, a dir vero, agitano una comunione universale di beni,. o almeno dei mezzi di produzione, fra i quali può annoverarsi la terra; ma altri anche senza ammettere in tutto le ideologie comuniste, pret~ndono che almeno il suolo sia sottratto agli abusi dèlla proprietà privata, trasformandosi in proprietà collettiva. I patrocinatori pi'ù noti di questo ristretto programma socialista sono il belga Emilio De Laveleye_ (r) e l'americano Enrico George (2), a cui consentono buon (1) De la pro/n·iété et ses Jormes primitives. (2) Progress a11d poverty. B bi otecd Ginc B1dnco

- 16numero di sociologi, fra i qual( spiccano lo Stuart Mill (r), Herbert Spencer (2), Achille Loriia (3), Flurscheim (4) ed altri. *·X·* lVIa su che cosa costoro si fondano per gridare contro l'avara siepe del mio e del tuo? Quali ragioni storiche, filosofiche, economiche suffragano l'abolizione della così detta schiavitù della terra? Il De Laveleye sostiene con un ampio apparato di erudizione storica, come un fatto fondamentale, universale e primordiale fra i popoli la forma indivisa della proprietà terriera. « Solo per una serie di successivi progressi, e ad un'epoca relativamente recente, si è costituita la proprietà individuale applicata alla terra. Finchè l'uomo primitivo vive di caccia, di pesca, di frutta selvatiche non pensa all'appropriazione· del suolo ... Sotto il regime pastorale la nozione della proprietà fondiaria comincia ad apparire; ma si applica solo a quello spazio che il gregge abitualmente percorre, e dei conflitti sorgono circa i limiti di questi pascoli. L'idea che un individuo isolato possa rivendicare una parte del suolo come esclusivamente propria non viene ancora in mente (1) Principles I. II, C. II, § 60:- (2) Social statics, C. IX. (3) Analisi aella proprietà capitalistica. (4) Auf friedlichem Wege. 1 B bi oteca Gino Bianco

ad alcuno. Le condizioni della vita pastorale v1 si oppongono assolutamente. « Ma a poco a ,poco una parte della terra è momentaneamente messa a cultura e si stabilisce il regime agricolo, ma il territorio che il clan o la tribù occupa, resta sua proprietà indivisa ... Più tardi, la terra coltivata è distribuita in lotti, ripartiti a sorte tra le famiglie; e così solo l'uso temporaneo è attribuito all'individuo. Il fondo continua a restare la proprietà colletti va del clan.:. « Per un nuovo progresso dell'individualizzazione, le parti restano in potere dei gruppi di famiglie patriarcali, che hanno la stessa dimora e lavorano assieme per l'associazione ... Finalmente appare la proprietà individuale ed ereditaria, ma essa è tU:ttora impigliata fra le reti di dirjtti sovrani, fidecommessi, ecc. Dopo un'ultima evoluzione, assai lunga per verità, essa si stabilisçe definitivamente» (r). Da questi fatti il sociologo belga pensa di poter concludere che la ·proprietà dei campi, a quel modo come oggi si concepisce, proprietà esclusiva, non di una tribù o di un comune o di un gruppo, ma dell'individuo, proprietà ch'egli chiama romana, o quiritaria (.perchè ne a~tribuisce ai Ro-· mani l'introduzione) non è istituzione della natura e del sano istinto dell'uomo, ma rappresenta piuttosto una deviazione dalle leggi naturali, una de- (1) De la propriété et de ses formes prùnitives. Paris, 1877 l PP• 4-5. 2 Bibl oteca Gino Bianco

- r8 - generazione dovuta alla frode, alla violenza, all'ill'ganno, all'egoismo; donde la necessità di ritornare al primitivo concetto della proprietà collettiva, se si vuole che le disuguaglianze, i disordini, le miserie degli uni e le ricchezze esorbitanti degli altri, cessino di scuotere e dissolvere l'umanità dolorante. « Il costume germanico e slavo, scrive egli, che assicurava a ciascuno l'uso di un fondo da cui poteva cavare la propria sussistenza è il solo conforme alla nozione razionale della proprietà. La teoria della proprietà generalmente ammessa deve del tutto rifarsi, perchè essa riposa su premesse che stanno in antitesi con i fatti della storia e con le stesse conclusioni a cui si vuole pervenire» (r). Lo studio del De Laveleye è uno fra gli esempi più _cospicui con cui una certa critica riesce sempre a piegar la storia in qualsivoglia direzione. Raccogliendo nell'ampia messe degli avvenimenti umani una serie di fatti, e allineandoli con cura sapiente sulla falsa riga di una tesi, lasciandone poi molti altri nell'ombra,. è chiaro che il giudizio viene incanalato verso le conclusioni desiderate. Ma queste non cessano però d'essere insussistenti, quantunque imbellettate dallo spolverìo dell' erudizione. L'autore rifà con cura minuziosa la storia della proprietà fondiaria tra i Russi, gl'Indian.i, gli Arabi, i Cinesi, gli Scozzesi, gli Spartani, i Ro- (1) DE LAVELEYE, op. c., prefazione p. XVIII. B bi otecd Gino Bidnco

-19mani, gli Svizzeri, i Turchi ed altri popoli piuttosto recenti, ma poi non si dà cura di ,studiare le forme di questa pro,prietà nei grandi popoli dell'antichità; quali furono gli Ebrei, gli Egiziani, gli Assiri, i Babilonesi ed altri, dei quali si hanno in copia documenti che dimostrano com'essi possedevano il concetto e, l'uso della proprietà privata, prima che i Romani si dessero il disturbo di andare da loro a predicarla ed imporla. _ La Bibblia, anche per coloro che non vogliono considerarla come ispirata, è senza dubbio un'opera fra le più antiche e di un gran valore storico . . E appunto nella Bibbia si danno indiscutibili prove, come fra gli antichissimi ebrei vigesse il regime della privata proprietà del suolo. Giacobbe compra, per cento agnelli, della terra, dove alza le sue tende e co~truisce un altare invocandovi « il Dio fortissimo d'Israele» (r). Efron vende per quattrocento sicli d'argento un suo campo ad Abramo, perchè questi vi seppellisca Sara (2). Il desiderio stesso del campo altrui, della casa, dell'asino, del bove costituisce un delitto viet~to dal decalogo (3). Anche fra i più antichi Egizi la proprietà individuale era -assai progredita. Essendo avvenuta una grande carestia che si protr:asse per sette anni, i sudditi di: Faraone si presentarono al suo inten- (1) Genesi XXXIII, 19 e 20. (2) Genesi XXIII. (3) Deut. V, 21. B bi otecd Gino Bidnco

- 20dente generale, Giuseppe, e gli offrirono sè stessi e le proprie terre, pur di ottenere di che allontanare lo spettro della fame. « E così Giuseppe comprò tutta la terra dell'Egitto (giacchè ciascuno premuto dalla carestia vendeva le proprie possessioni), e così l'acquistò Faraone, con tutti i popoli da un capo all'altro, eccetto la terra dei sacerdoti, ai quali si dava una determinata quantità di grano dai pubblici granai, onde non furono costretti a · vendere le proprie possessioni» (r). Alla Bibbia fa eco l'archeologia e la storia; e i maggiori egittologi come il Birch, il Lenormant, il Maspero, Ed. Meyer, hanno dimostrato la veracità della Genesi. Anche gli Assiri e i Babi1onesi, fino dai tempi più remoti, si adattarono al regime della proprietà individuale, come risulta dagli studi di Oppert, Sayce, Peiser, Giorgio Smith. Secondo questi eminenti archeologi i popoli orientali ben presto si diedero alla vita dell'agricoltura e fino dalle età più vetuste non solo si appropriarono degli oggetti mobili, ma anche del suolo che coltivavano (2). Fra i popoli Greci, come anche fra i Romani, la proprietà privata della terra è assai più manifesta. Le ricerche del Fustel de Coulan,ge e di (1) Genesi XL VII, 20, 21, 22. (2) V. PEscH, Lehrbuch der Nationaloekonomie. Freiburg, 1905, I, p. 183. CATHREIN, Das Privatgrundeio·enthum und seine Geg,,,,er, 4a ed. p. 61. GARRIGUEi, Régi:ne de la propriété. Paris, 1907, p. 47... B bi otecc1Gino Bidnco

- 21 - altri dànno una smentita alle affermazioni del De Laveleye (1). Gli stessi Mir della Russia e gli Zadruga dei Serbi, l' Allniende dei cantoni svizzeri ed altre forme di possessione collettiva sono ben altro che sopravvivenze di un antico comunismo agrario, come pensa il De Laveleye, ma piuttosto istituzioni di data relativamente recente. In generale può affermarsi che non vi è nessun popolo che abbia raggiunto un grado qualsiasi di civiltà in cui non si trovi la privata proprietà_ del suolo. E se s'incontra fra i popoli la proprietà collettiva, insieme con_questa trovasi quella individuale e privata. Insieme con l' ager popul.ti, o I'ager publicus, esiste l'ager privatus, l'herediuni (2). Che se storicamente sono infondate le conclusioni del De Laveleye, non sono meno false sotto ' il rispetto logico. Dato pure che la storia dell'agricoltura ci dimostrasse come un fatto comune fra i popoli primitivi, il collettivismo agrario, si potrebbe da questo fatto concludere per la ragionevolezza o per la necessità del ritorno a quel regime che la civiltà ha sorpassato, condannato e soppresso? Ma la schiavitù, il despotismo, la di- } visione delle caste, l'idolatria, che hanno fra gE (1) In Revue des qu.estiotts histo1,iques. Aprile, 1889. E nella sua opera La cité antique 3a edit., p. 335, dice: • Les populations de la Grèce et de l'ltalie, dès l'antiquité la plus haute, ont toujours connu et pratiqué la propriété privée •· (2) V. V ARRONE, De re rustica, I, 10, 2. B bi oteca Gino Bianco

-22 - antichi popoli un carattere di universalità assai più autentico di quella del comunismo agrario, dovrebbero rimettersi in vigore, per ritornare alle gioie di quella natura da cui' saremmo deviati? Se un insegnamento può legittimamente chiedersi alla storia dell'agricoltura, questo è che ._la proprietà collettiva può, tutt'al più, essere tollerata in uno stato di barbarie e di poca densità demografica; ma essa non è punto conforme al ' progresso dell'agricoltura, all'aumento della popolazione, alla divisione del lavoro, ad uno stato superiore di civiltà. Le ragioni storiche non legittimano dunque la socializzazione della terra ; ma tanto meno le ragioni filosofiche ed economiche. B bi oteca Gino Bianco

CAPI'fOLO II. La socializzazione del suolo e le sue ragioni filosofiche. La storia non si presta a giustificare la socializzazione del suolo; e perciò i fautori di questo nuovo ordinamento hanno tentato di rivolgersi alla filosofia del diritto per chiederle dei titoli che potessero costituire una legittimazione della loro utopia. E non è stato difficile trovarne. L'armamentario della sofistica non. è sempre aperto a tutte le tesi, a tutti gli equivoci, a tutti gli assurdi? Qual'è quella causa, per quanto disperata, che non trovi difensori' ed ingarbuglia tori in gran numero? La « socializzazione » ha così avuto i suoi avvocati, di cui è questa la principale difesa : - Tutti gli uomini sono uguali e godono dello stesso diritto all'esistenza. Chiunque viene chiamato ad assidersi alla mensa della vita, come tutti coloro che l'hanno preceduto, come tutti coloro che lo seguiranno, ha ugualmente diritto all'aria, all'acqua, alla luce, al calore e alla terra. Ecco, ad esempio, come si esprime Enrico George in una lettera aperta a Leone XIII, a proposito della Rerum N ovarum : Bibl·oteca Gino Bianco

- 2-j. - « Questo mondo è la creazione di Dio. Gli uomini che vi stanno per il breve periodo della loro vita terrestre, sono tutti ugualmente creature della sua bontà ed egualmente sottoposti alla sua provvidenza. Per la sua costituzione l'uomo dipende da bisogni fisici in modo che la loro soddisfazione è richiesta non solo per mantenere la vita fisica, ma anche per far progredire la vita intellettuale e morale. Dio ba voluto che la soddisfazione di questi bisogni dipendesse dall'attività stessa dell'uomo, dandogli il potere ed imponendogli l'obbligo di lavorare ... Dio non ha imposto all'uomo di far mattoni senza il fuoco: col bisogno e col potere di lavorare, Egli ha fornito ancora all'uomo il materiale per lavorare. Questo materiale è la terra - l'uomo essendo fisicamente un. animale terrestre, il quale non può vivere che sulla terra e della terra, nè fruire degli altri elementi, come l'aria, il calore, l'acqua senza far uso della terra. Essendo tutti egualmente creature di Dio, con uguale titolo a vivere sotto la sua provvidenza la loro vita, e a soddisfare ai loro bisogni, hanno tutti lo stesso diritto ad usare la terra, ed ogni ordinamen~o che negasse questa eguaglianza è moralmente ingiusto» (r). (1) HENRYGEORGE, The co11ditio11of labor. A11open letter to Pope Leo XIII. New York, 1891, p. 4. Tradotta in italiano da Luoov,co EusEB10. Torino, 1891. Cfr. Civiltà Cattolica, 16 genn. 1892, p. 194. Biblioteca Gino Bianco

- 25 « Caino ed Abele, quando erano soli sulla terra, potevano pure dividersela fra loro. E, data questa convenzione, ciascuno avrebbe potuto rivendica.re contro l' a.ltro il diritto esclusivo alla sua parte. Ma nessuno dei due poteva sostenere legittimamente una tale pretensione di fronte al primo uomo venuto dopo di loro al mondo. Perchè, non venendo alcuno sulla terra senza il volere di Dio, la sua presenza attesta il suo eguale diritto all'uso dei doni di Dio. Negargli adunque l'uso della terra fra loro divisa, sar:ebbe stato un assassinio» (r). Queste idee sono la ripetizione fedele di quelle ch'egli aveva espresso in un'opera, che ebbe il suo quarto d'ora di celebrità, e fu tradotta nelle principali lingue del mondo: Progress and Poverty. Anche qui l'autore giuoca sullo stesso equivoco con cui si scambia il diritto a.stratto col concreto diritto all'esistenza. Anche qui lo stesso a.crobatismo dialettico, col quale si vuole dedurre il diritto effettivo al suolo, dal diritto che si ha alla vita. « L'egual diritto di tutti glì uomini di usare della terra è cosa ianto evidente, come l'ugual diritto a respirare l'aria è un diritto proclamato dal fatto della loro esistenza ; giacchè noi non possiamo supporre che degli uomini abbiano diritto a stare in questo mondo, ed altri no. Se noi siamo qui per lo stesso volere del Creatore, non siamo tutti qui rivestiti di un pari titolo al godimento della sua (1) HENRY GEORGE, "P· c., p. 7. B·bl oteca Gino Bianco

-26liberalità, con un pari diritto a servirci di ciò che offre imparzialmente la natura? » (1). Certamente, nessuno vorrà contrastare il diritto che ha ogni uomo a vivere e a provvedere ai suoi bisogni coi prodotti del suolo, e questo diritto, fondato sulla natura specifica dell'uomo, è uguale in tutti gli esseri umani. Ma questo diritto astratto e generico è cosa ben. diversa dal diritto concreto, attuale, particolare. Il primo è unico, come è unica la natura specifica dell'uomo; l'altro è molteplice e variabile, perchè in balìa al flusso della realtà, così multiforme e complessa. Il diritto alla vita, discendendo dalla sommità ideale per farsi concreto e individuarsi nel fatto, assume rilievi, colori, atteggiamenti indefinitamente varii. Questi è un deficiente o un paralitico, vivrà della beneficenza pubblica o privata: quegli è sano e robusto, vivrà del lavoro delle sue braccia. Questi è fannullone ed abulico, otterrà minor copia di beni; quegE è laborioso, solerte, framettente, avrà una parte maggiore al comune benessere. Questi ha trovato alla sua culla una ,somma di onesti risparmi dei suoi genitori, potrà vivere agiatamente, amministrando la sua eredità ; quegli non ebbe altra eredità che i suoi muscoli, ed ai muscoli deve affidare le sue speranze. Così dal diritto astratto alla vita non sorge ne- (1) HENRY GEORGE, Progress and Poverty. New York, Jon. W. Lovell Company, p. 243. B bi oteca Gino Bianco

- 27 cessariamente il diritto concreto alla terra, nè ad una uguale porzione di essa, nè ad una uguale somma dei frutti, nè per ciascuno gli stessi vantaggi; ma solo che ogni uomo ha diritto, diritto personale e non reale, a procurarsi col suo lavoro - sia direttamente sulla terra, sia nelle industrie modificatrici dei prodotti terrestri, sia nel trasporto di questi stessi prodotti naturali o artificiali, sia con altre forme di operosità intellettuale, estetica, morale - i mezzi necessari ed utili alla vita. E per questo avrà bensì bisogno dei frutti del suolo, ma non degli uguali diritti del suolo medesimo. La terra può benissimo fornire a tutti• gli uomini gli alimenti e tutti i mezzi di sussistenza, ancorchè alcuni di loro non ne abbiano proprietà privata e nessuno il possesso collettivo. « La terra, dice Leone XIII, sebbene divisa fra i privati, resta nondimeno a servigio e benefizio di tutti, non- essendovi uomo al mondo, cht:: non riceva alimento da quella. Chi non ha beni proprii vi supplisce col lavoro, tantochè può affermarsi con verità, mezzo universale da provvedere alla vita dell'uomo essere il lavoro impiegato o nel coltivare un terteno proprio, o nell'esercitare un'arte, la cui mercede in ultimo si cava dai molteplici_ frutti della terra, e in essi viene commutata D (r). Nè si dica che chi ha diritto al lavoro deve, perchè quel diritto non sia illusorio,' godere del libero (1) Encicl. Rerum Novar1t1n. Bibl oteca Gino Bianco

uso di ciò che egli è necessario al lavoro, conseguentemente della terra (I). Il diritto al lavoro è, ripetiamo, diritto personale e non reale. Infatti sarebbe veramente strano che il macchinista, perchè ha diritto a lavorare, dovesse a suo talento adoperare la prima _macchina che trovi, e il lustrino potesse, in omaggio ai proprii diritti, fermare un qualsiasi cittadino per . lustrargli le scarpe. Il diritto al lavoro è una manifestazione particolare della libertà individuale; come questa, non è così illimitata ed assoluta, fino a degenerare nella negazione dei diritti altrui. Esso adunque richiede che non sia ingiustamente intralci~ta la libera operosità umana, e che sia così configurato l'ordinamento economico, che tutti possano trovarsi una qualche occupazione. *** Dall'uguale' diritto alla vita non può logicamente dedursi un ugual diritto alla terra e per conseguente una legittimazione del collettivismo agrario. Ma se una deduzione rigorosamente logica dovesse ottenersi, questa sarebbe contro gli stessi principii del George, che vorrebbero restringere la « socializzazione » soltanto al suolo. Infatti, se il diritto a vivere crea il comune diritto alla terra, perchè necessaria ed indispensa- (1) Cfr. HENRY GEORGE, Progress and Poverty, p. 242. Bibl oteca Gino Bianco

- 29 - bile alla vita, allora molti altri beni non sono immobili, ma anche mobili dovrebbero essere « socializzati » ; perchè non sono meno necessarii alle esigenze· della vita. Perchè non dovrebbero « socializzarsi », ad esempio, le abitazioni, le stoffe, gli animali, le varie produzioni della terra, se queste non sono meno necessarie per vivere? Con qual diritto si dovrebbe « soci'alizz,are » la proprietà fondiaria e lasciare poi sussistere la proprietà industriale? r Un comunismo dunque che si estendesse non solo a tutti i mezzi di produzione, -ma anche a tutti i generi di consumo, sarebbe, se non altro, assai più logico, perchè non si fermerebbe a mezza· strada nelle applicazioni delle sue premesse. Ma la terra, come l'aria, il sole, il vento, è una ricchezza naturale, un regalo gratuito della Provvidenza, un bene comune dell'eredità di tutta la specie (r). « Tutto l'insieme di questo ambiente naturale, che di per sè stesso non è un prodotto umano, ma è la base indispensabile di ogni prodotto, il mezzo imprescindibile, necessario per il mantenimento stesso della vita; è di per sè stesso un tesoro comune, sul quale ciascun uomo na·sçendo acquista un diritto imprescrittibile e sacro» (2). « A chi è dovuto, si domanda uno dei più ro- (1) STUART MILL 1 Principi·i di economia politica in Biblioteca dell'econ., 1a serie, voi. 12, p. 608. (2) GIOVANNI CARRLLO, La Cosmopolis condenda col riscatto della terra. Torino 1915, p. 2. B1bloteca Gino Bianco

- 30venti nemici della proprietà privata, l'affitto di un fondo? - Al produttore del fondo, senza dub-_ bio. - Ma chi ha prodotto la terra? - Dio. - ln questo caso, proprietario, ritirati. « Ma il creatore della terra non la vende, egli la dona, e donandola non fa accettazione di persona. Come dunque, fra tutti i suoi figliuoli, alcuni trovansi considerati come primogeniti ed altri come bastardi? Come mai se l'eguaglianza delle parti fu di diritto originale, l'ineguaglianza delle condizioni è di diritto postumo? » (1). Notiamo. dapprima che la parità della terra con altri beni naturali, su cui non va estesa la proprietà, come sarebbero l'atmosfera, gli oceani, la luce e simili, è del tutto ingiustificata. Se identica è l'origine, non è identica la loro natura. Mentre all'aria, ai venti, ai mari (2) non può applicarsi un titolo giustificativo di appropriazione, come l'occupazione e il lavoro, mentre tali beni possono offrire i loro servigi all'uomo, in modo che l'uomo può sfruttarne qualunque parte senza nuocere ad alcuno, giacchè sono pratica.- mente illimitati ed inesauribili; mentre, date siffatte condizioni, l'accesso comune e libero a cotali beni non può risolversi in un confusionismo ge- (1) PROUDHON, Qn'est-ce que la propriété. Paris, 1889, p. 22. (2) Bisognerebbe eccettuare i mari litorali, sui quali si potrebbe discutere se possano o no soggiacere all'appropriazione. Bibl oteca Gino Bianco

- 31 - neratore di violenze e disordini j la terra invece per la sua stabilità e consistenza può accogliere e manifestare i segni giustificativi dell'occupazione, può divenire il serbatoio di sforzi accumulati che accrescono a dismisura la sua fecondità, può dunque sottostare all'ordinamento della proprietà privata; deve anzi sottostarvi se l'interesse sociale, della produzione e della concorde convivenza degli uomini, così richiedono; lo deve, se questo è un postulato della civiltà. Ma il nodo principale della difficoltà, su cui 1 socializzatori della terra pensano di trovare una trincea inespugnabile, sta in quel policromo effato : <e La terra è un tesoro comune ». S. Tommaso ha già da tempo risposto a questa obbiezione, fissando nettamente il significato che deve essere attribuito alla voce comune. « La comunità delle cose si attribuisce al diritto naturale, non già perchè il diritto di natura detti che tutte le cose debbano possedersi in comune, e niente si abbia da possedere come proprio, ma perchè secondo il diritto di natura non vi è distinzione di possessione» (1). - Sìc-chè la terra è una ricchezza comune, prima (1) • Communitas rerum attribuitur iuri naturali, non quia ius naturae dictet omnia possideoda communiter et nihil esse quasi proprium possidendum, sed quia secundum ius naturae est distinctio possessionum • Summa Th., 2, 2, q. LXVI, a. 2 ad lum. Bibl oteca Gino Bianco

- 32 di tutto in un senso negativo, giacchè nessuno è stato determinatamente indicato dalla natura, perchè si abbia o no questa o quella parte del suolo : questa determinazione sorge da un fatto contingente. In secondo luogo ha un senso positivo, perchè dalla terra ·ogni uomo deve in un modo o in un altro, direttamente o indirettamente, ·attingere la propria alimentazione. E per questo evidentemente non è necessario il comune possesso . della terra. Non tanto con la proprietà fondiaria, ma col sudore della propria fronte deve ottenersi il pane. In sudore vullus tui vesceris pane (r). Nella Rerum Novarum, Leone XIII,· dietro le orme di S. Tommaso e di .tutto l'insegnamento tradizionale cattolico, così risponde a questa obbiezione: « L'aver dato Iddio la terra ad uso e godimento di tutto il genere umano, non si oppone punto al diritto della proprietà privata, poichè quel dono egli fece a tutti ; non già in quanto tutti ne dovessero avere un comune e promiscuo ' dominio, bensì in. quanto non assegnò veruna parte del suolo determinatamente ad alcuno, lasciando ciò all'industria degli uomini e al giure speciale dei popoli. La terra per altro, sebbene divisa fra i privati, resta nondimeno a servigio e benefizio di tutti, non. essendovi uomo al mondo che non riceva alimento da quella ». (1) Genesi, III, 19. B bi oteca Gino Bianco

- 33 -- *** Nla un'altra considerazione potrà ancora meglio dimostrarci la miseria logica del gran principio socialistico. La terra, si dice, è proprietà comune, appartiene al popolo. E sia. Nazionaiizziamo dunque tutte le terre, espropriamo gli espropriatori_. - Benissimo. - Ma a chi dovrà essere affidata questa proprietà? Allo Stato?, al Comune?, a,l sindacato?,- alla collettività insomma - qualunque essa sia. Qui sta il punto. Questa collettività dovrà certamente sfruttare i fondi con esclusione di altri comuni, di altre collettività. E _allora tutte le critiche, tutte le recriminazioni, tutte le difficoltà con cui si combatte la proprietà privata, si rovesciano contro la proprietà comunale o nazionale. Se un individuo non può di fronte ad un altro individuo vantare alcun diritto di proprietà fondiaria~ come lo .può un popolo di fronte ad un altro po.polo se la terra è il tesoro non di questo o di quell'altro popolo, ma di tutta la famiglia umana? Con qual diritto i Lombardi, ad esempio, coltiverebbero la vallata ubertosissima del Po, e ne escluderebbero i montanari della Svizzera confinante? E perch.è.-dei bacini carboniferi della Francia settentrionale non dovrebbero partecipare gli Svizzeri e gl'Italiani che ne sono del tutto sforniti? « La proprietà collettiva comunale, domanda P. Leroy-Beaulieu, sarà forse più giusta che la 3 B.bl oteca Gino Bianco

-34 - privata proprietà terriera? Non tutti i comum avrebbero la stessa estensione di territorio relativamente alla popolazione; non tutti avrebbero un suolo egualmente fertile... Gli uni allora, invocando l'occupazione, il lungo possesso, il lavoro, il tacito contratto, la legge, potrebbero mettersi al sicuro dalle rivendicazioni degli altri? Ma come l'occupazione, il lungo possesso, il lavoro, il tacito contratto o la legge, che non sono punto suffi- , cienti a giustificare la proprietà individuale, sarebbero •poi' valide giustificazioni per la proprietà collettiva di. un comune che il caso. ha posto in un suolo ricco, rispetto ad altri comuni che il caso ha collocato in un territorio povero? Se la privata proprietà fondiaria_ è un furto ed un'usurpazione, la proprietà fondiaria comunale non è meno una usurpazione ed un latrocinio; i ruvidi abitatori della montagna hanno il diritto di precipitarsi sugli abitanti della vallata o della pianura e strappare loro una parte del raccolto. I popoli poveri, come quelli clel centro o del nord dell'Europa, delle steppe o delle pianure centrali dell'Asia, harnno ancora lo stretto diritto d'imporre un tributo ai popoli che si trovano su territori più fertili: Si ritorna al caos, a11a' ssenza d'ogni diritto, eccetto quello della forza» (r). ' · Se si vuole essere coerente al principio della (1) Essai sur la répartition des richesses. Paris, Guillaumin, 1883, p. 67. .. Bibl oteca Gino Bianco

- 35 - comune proptietà della terra, bisogna non solo abolire la proprietà individuale ma anche la comunale, la nazionale e qualsivoglia altra proprietà, per mettere tutto nelle mani del genere umano se:nza distinzione di luoghi o di schiatte. Il collettivismo internazionale sarebbe così l'ultima parola che si dovrebbe necessariamente accettare. Ma di fronte ad una enormità 4i questa fatta, si spiega il perchè una gran parte dei sociali'sti prefe,. risca fare di meno della logica, anzichè spingersi ~d un'ultima conseguenza che mostra i caratteri dell'impossibilità pratica e della vacuità teorica. * * * Un'altra accusa mossa contro la proprietà fondi aria sta nell'assenza di un titolo valido a legittimarla. Il titolo filosofico, ossia il diritto innato nell'uomo di affermare il suo dominio sulle cose esteriori, diritto che germina dalla necessità della sua conservazione e dai · bisogni complessi imposti dalla conservazione sia individuale come familiare e sociale, è semplicemente un potere che non si trasforma in un effettivo esercizio senza un fatto che costituisca il fondamento giuridico della proprietà. Per i patrocinatori della nazionalizzazione della proprietà rurale, questo fatto sarebbe il lavoro. Ciò che è prodotto del lavoro, può essere oggetto di proprietà individuale, e poichè la terra non è una creazione del lavoro dell'uomo, non può esBiblioteca Gino B anca

-36sere sottoposta all'appropriazione .particolare degli individui. . . Il George fa di questo argomento i1 suo cavallo di battaglia. « Che cosa è che costituisce la base giuridica della proprietà? Chi è che dà all'uomo la facoltà di dire di una cosa : è mia? Donde pullula il sentimento che. gli riconosce il suo esclusivo diritto di fronte a tutti? Non deriva anzitutto da ciò che l'uomo ha diritto sri se stesso, e di potere esercitare le sue facoltà, e di godere del frutto del suo lavoro? ... Come l'uomo appartiene a se stesso, così il suo lavoro, fatto concreto, in qualche forma gli appartiene ... Non vi può essere nessun altro giusto titolo di appropriarsi qualche cosa che non sia derivato dal titolo di produttore» (1). « Questo diritto di proprietà, che ha la radice nel diritto dell'individuo su se stesso, è l'unico diritto pieno e completo di proprietà. Esso è inerente alle cose prodotte col lavoro, ma non a ciò che è creato da Dio. Così se un uomo prende un pesce dal mare, acquista un diritto di proprietà su quel pesce, il quale diritto esclusivo egli può per vendita o donazione trasferire ad altri. Ma egli non può acquistare un simile diritto di proprietà sul mare, in modo che possa venderlo o donarlo, o:·impedire che altri se ne giovi ... Oppure, se egli coltiva del ,grano, acquisterà un diritto di proprietà sul grano che il suo lavoro produce. Ma non potrà' acquistare un diritto di proprietà sul sole (1) Progress and Poverty, p. 240. B bi otecd Ginc 81dnco

- 37che lo· fece maturare,. nè sul suolo sul quale crebbe » (r). Secondo questa nozione della pr9prietà, che è del resto la nozione del Locke e del Rousseau, come ancora di un buòn numero degli economisti della scuola classica,. quali Riccardo, Carey, Bastiat, Portalis, ecc., bisogna dividere in due classi gli oggetti esteriori : alcuni sono i prodotti dell'uomo, altri sono doni gratuiti della natura. Solo i primi, che .possono considerarsi come manifestazioni esteriori dell'operosità umana, e quasi « incorporazioni del lavoro», debbono essere oggètti di appropriazione, .così, dice il George, come il pesce, frutto dell'azione della pesca, ma non il mare appartiene al pescatore; come il grano, frutto del lavoro agricolo, ma non il suolo apparti~ne al contadino. · Ma questo principio (inesatto, come vedremo) che solo il lavoro sia fondamento giuridico della proprietà, può essere facilmente capovolto e riuscire ad una direzione ben diversa da quella a cui mira il socialismo agrario. Il suolo produttivo ·non ha forse, a causa del lavoro, ricevute modificazioni così profonde da potersi considerare come un prodotto dello sforzo umano? Il diboscamento, la correzione dei fiumi, le costruzioni edilizie, la sistemazione stradale, gl'impianti idraulici, le colmate, il drenaggio, il dissodamento, tutte le opere (1) The condition of labor. An open letter to Pope Leo XIII. New York, 1891, p. 4. Biblioteca Gino Bianco

- 38 -- di bonifica, tutti i miglioramenti fissi ed inseparabili dalla terra medesima, che da nutrice di rovi e di sterpi ne fanno la madre di biade e di messi, non dànno il diritto di annoverarla fra i prodotti del lavoro? ( 1). Chi coltiva il suolo non produce s_oloil grano, ma ins~risce nella terra una potenzialità produttiva che essa non aveva dalla natura, e che come la messe è un prodotto dell'uomo. Un giardino, un vigneto, un orto, una risaia non sono una creazione del lavoro? (2). (1) • II campo dissodato dalla mano e dall'arte del coltivatore non è più quel di prima: da silvestre è divenuto fruttifero, da sterile ferace. Questi miglioramenti prendono siffattamente corpo in quel terreno, che la maggior parte ne sono inseparabili •• Così LEONE XIII, nella enciclica Rerum .Novarttm. , (2) Ecco come il P. TAPARELLI svolge da pari suo questo stesso concetto: • Ha l'uomo il natural diritto di proprietà sui mezzi di conservazione; ma questa proprietà si estende naturalmente anche ai fondi da cui questi mezzi si traggono? Per rispondere al quesito debbo ic, domandar prima: I frutti delle fatiche personali sono eglino proprietà di chi fatica? A tal quesito la risposta non è malagevole. Se in vista della sola umanità io non posso essere astretto al servizio altrui, .•. egli è chiaro che ciò che io opero è di mio diritto, essendo parte di me perchè mio effetto, e l'effetto è pa1'te della sua cagione, giacché è contenuto nella cagione e da lui dipendente. • Or se J;uomo ha diritto alle proprie opere, la proprietà estende naturalmente i suoi diritti sui fondi stabili, giacchè naturalmente essi abbisognano di coltura stabile per provvedere al genere umano nello stato di naturale propagazione. Coloro che col Mirabeau sostengono che al • momento che l'uomo ha raccolto il frutto, i terreni torna~o (secondo natura) al possedimento comune • o debbono supporre che B bi otecd Gino Bidnco

- 39Ce~tamente, l'uomo non crea ex mihilo; ha bisogno di una materia sulla quale la sua operosità paziente ed industriosa sommerà l'uno dopo l'altro. i suoi sforzi sapienti : l'uomo mesce, divide, ordina, trasferisce, modifica, crea, in una porola, delle forme, ma non: delle sostanze. Queste deve mutuarle dalla natura. E allora non vi è nessun prodotto in 'cui non si trovi un elemento, che l'intellinguenza può chiaramente distinguere, ma che è spesso praticamente inseparabile; elemento che non è prodotto dall'uomo. La casa è o.pera dell'uomo, ma le pietre l'arena e le altre materie, non sono un prodotto del lavoro : una macchina è un'opera dell'ingegno umano; ma il ferro, il vapore, il carbone non sono altro che doni della natura. Se dunque la proprietà fondiaria fosse illegittima, perchè contiene un elemento che non è frutto del lavoro, allor,a nemmeno la proprietà industriale potrebbe giustificarsi, nè a ngore qualsivoglia altra proprietà. *** Ma è poi il lavoro titolo primitivo ed esclusivo della pro:r,rietà? Che costituisca un mezzo valido i] terreno dissodato, i pozzi, i canali, le piantagioni, gl' in• nesti ecc., non sieno nell'ordine di natura nec.essari all'uman genere moltiplicato; o ·che non sieno opera dell'uomo; o che ]'uomo possa seco asportar1i colla vendemmia e col1e messi; e che altri ~bbia diritto sulle opere del primo coltivatore. Le prime tre asserzioni sono smentite dal fatto, l'ultima dal dritto di uaturale indipendenza per cui ciascuno lavora a sè solo •. Saggio teoretico di diritto naturale, nn. 406 e 407. Bibl oteca Gino Bianco

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