Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Gaeta1'zoSalve1ni1zi Seritti vari (1900-1957) a cttra di Giorgio Agosti r"eAlessandro Gaie,11teGarrone Feltrinelli

Gaetano Salvemini Seri tti vari {1900-1957) La raccolta degli Scritti vari di Gaetano Salvemini contiene un'ampia scelta di quelle pagine che, per la loro natura, mal si adattavano a entrare nei molti volumi precedenti: non un ammasso incoerente di pagine racimolate tra quelle finora escluse, bensf una scelta ragionata e coordinata in sette distinte parti, ognuna delle quali concorre a darci il compiuto ritratto dell'uomo Salvemini. Nella prima parte, Maestri e compagni, accanto alla famosa prolusione del 16 novembre 1949, pronunciata da Salvemini nel risalire sulla cattedra dell'ateneo fiorentino, compaiono i profili e i ricordi dei suoi maestri di studi e di vita e compagni di lotte politiche, da Pasquale Villari a Piero Gobetti. La seconda parte, Scritti metodologici, unisce alla prolusione messinese del 1901 il corso di lezioni tenuto all'università di Chicago nel 1938, e tradotto in Italia nel 1948, oltre al saggio postumo "Empirici e teologi,,. Nella terza parte, Fra storia e politica, sono raccolte varie polemiche e recensioni, nell'arco di quasi un sessantennio. In esse la passione del politico si salda con la vivacità e il rigore dello storico. La quarta parte raccoglie gli _ articoli piu significativi dell'Unità ( 19121920), esclusi naturalmente tutti quelli già apparsi nei volumi precedenti. Ne esce meglio illuminata la posizione di Salvemini di fronte ai problemi e agli aspetti della vita politica italiana in anni decisivi per la nostra storia. Nella quinta parte appaiono le Memorie di un fuoruscito, seguite da alcuni testi poco noti, mentre la sesta è interamente dedicata a Carlo e Nello Rosselli. Nella settima parte, Italia scombinata, è compresa una larga scelta degli articoli politici del secondo dopoguerra, dal 1947 al 1956, seguita dai Frammenti di vita italiana, brevi e pungenti commenti a fatti e fatterelli della cronaca di quegli anni. In Appendice sono riportate le ultime parole di Salvemini morente, un passo del suo inedito testamento e, quasi a suggello di tutta l'edizione delle Opere, lo stupendo scritto di Ernesto Rossi per la morte del Maestro. BibliotecaGino Bianco

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Opere di Gaetano Salvemini Bibloteca Gino Bianco

1. Scritti di storia medfovale vol. I Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295 a cura di Ernesto Sestan vol. II La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze e altri scritti a cura di Ernesto Sestan 2. Scritti di storia moderna e contemporanea vol. I La Rivoluzione francese (1788-1792) a cura di Franco Venturi vol. II Scritti sul Risorgimento a cura di Piero Pieri e Carlo Pischedda vol. III Stato e Chiesa in Italia a cura di Elio Conti 3. Scritti di politica estera vol. I "Come siamo andati m Libia," e altri scritti dal 1900 al 1915 a cura di Augusto Torre vol. II Dalla guerra mondiale alla dittatura ( 1916-1925) a cura di Carlo Pischedda vol. III Preludio alla seconda guerra mondiale a cura di Augusto Torre vol. IV La politica estera italiana dal 1871 al 1914 a cura di Augusto Torre 4. Il Mezzogiorno e la democrazia italiana vol. I "Il ministro della mala vita," e altri scritti sull'Italia giolittiana a cura di Elio Apih vol. II Movimento socialista e questione meridionale a cura di Gaetano Arf é 5. Scritti sulla scuola a cura di Lamberto Borghi e Beniamino Finocchiaro 6. Scritti sul fascismo vol. I a cura di Roberto Vivarelli vol. II a cura di Nino Valeri e Alberto Merola vol. III a cura di Roberto Vivarelli 7. L'Italia vista dall'America voli. I e II a cura di Enzo Tagliacozzo 8. Scritti vari a cura di Giorgio Agosti e Alessandro Galante Garrone 9. Carteggi vol. I (1895-1911) a cura di E. Gencarelli vol. II (1911-1925)* a cura di Enzo Tagliacozzo * Volumi di prossima pubblicazione. BiblotecaGino Bianco

Bibloteca Gino Bianco VIII Scritti vari

Prima edizione nelle Opere di Gaetano Salvemini: ottobre 1978 Copyright by Bibloteca Gino Bianco © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

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M~n~ta della lettera di dimissioni da professore univ ersitario che Salvemznz: ,ne~ n?vembre del 19 25, spediva da Londra al Rettore dell'Universzta dz Firenze. BiblotecaGino Bianco

Gaetano Salvemini Scritti vari (1900-1957) a cura di Giorgio Agosti e AJ,essandroGalante Garrone Feltrinelli Editore Milano Bibloteca Gino Bianco

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Prefazione Se facciamo astrazione dai due particolari volumi che ancora restano da pubblicare (il secondo volume dei Carteggi, dal 1911 al 1925, e la Bibliografia seguita dagli indici generali), possiamo dire che, con questa raccolta degli Scritti vari, gi'unge a compt'mento l'edizione delle Opere di Gaetano Salvemini. Il presente volume contiene in/ atti un' ampi'a scelta di quelle pagi'ne che, per la loro natura, mal si adattavano a entrare nei molti volumi precedenti', ognuno dei quali era dedicato a un settore ben circoscritto di argomenti, e aveva qui'ndi' una sua precisa fisionomia. Questo era stato, fin dall'ini'zio, concepito da Ernesto Rossi come una raccolta di' "saggi metodologici e ricordi' biografici." Dopo la scomparsa di Rossi, gli attuali curatori si sono trovati di fronte• al compito non facile di sostituirsi all' indimenticabi'le ami'èo per dare, come egli' avrebbe voluto e si proponeva di fare, una coerente sistemazi'one a tante pagine che, pur nella loro grande eterogeneità, sembrano tutte concorrere a mettere in luce, oltre i singoli e multiformi impegni· dello studioso e del politico, l'uomo Salvemini, nella sua ricchezza e complessità. Non, dunque, un incoerente centone di sparsi lacerti, di resi'dui racimolati' un po' a caso fra le pagine escluse dai precedenti volumi; ma una scelta ragi'onata. Il materi'ale a disposi'zione era vastissimo. Molte pagi'ne, anche belle, si sono dovute sacrificare per ragioni di spazi·o. Altre pagi'ne (inedite), nate dall'insegnamento uni·versitario o da mi'nute ri'cerche di storia risorgimentale, saranno, per la loro natura particolare, pubblt'cate altrove. Forse qualche lettore si· dorrà delle mutilazi'oni e delle scelte a cui, per non appesantire troppo il volume, ci siamo dovuti· rassegnare. Ma quel lettore si rassicuri: abbi'amo voluto lasdare intatta e intera la figura di Salvemini, anche con le sue focose i'ntemperanze e ingiustizi·e, i suoi pt'u discutibili giudizi, i suoi - com'egli stesso li chi'amava -. "spropositi." Nulla di essenzi'ale, di tt'picamente suo, ci' sembra di' aver tralasciato. La piu lieve "censura" da parte nostra sarebbe stata un'offesa alla sua memori·a, e anche a quella di Ernesto Rossi·. 9 BiblotecaGino Bianco

Prefazione Ed ecco, per maggior comodità di chi prenderà i·n mano questo libro, alcuni chi'arimenti sulle varie parti' di' cui esso si· compone. I. Maestri e compagni. - Il volume si· apre con la bellissima e ormai famosa prolusi·one che Salvemini tenne i'l 16 novembre 1949 all'u'!li'versità di Firenze, nel risalz're sulla cattedra di storia moderna che aveva dovuto abbandonare nel 1925. Apparsa sul Ponte del gennaio 1950 col titolo Una pagina di storia antica, essa fu ripubblz"catadall'autore qualche anno dopo, nel volumetto Che cosa è la coltura, col titolo I miei maestri. Fu quella la scuola che fece _di'lui· un uomo. E anche noi oggi, sulle orme di Eugenio Garin, che a quella scuola dedicò pagine di esatta rz'evocazione storica, possiamo ben comprendere l'ammù·azione di' Salvemi'ni, venata di nostalgi'a e di gratitudine. Altro che il "ne opiagnonism o," di cui parlava con troppa degnazione Gz'ovanni Genti'le, o il provincialismo ironizzato, con altezzoso compatimento, dall'ultz'mo biografo! Malfatti, Trezza, Vz'llari, Vitelli, Paoli, Coen, Tocco: i vecchi insegnanti del fiorenti'no Istz'tuto di' studi· superiori e di perfezi'onamento lasciarono z'n lui un'i'mpronta i'ndelebi'le. Di' valore dùeguale, furono tutti esempz'o di probùà scientz'fica. Ma non di questa soltanto; perché la loro prima lezi·one di metodo era di natura morale. Avevano lo scrupolo assoluto della verità, e il coraggz'o di dz'rla sempre, senza i'nfingz'menti. Insegnavano ad essere storz'ci, e non "diplomatz'cz'." Erano, in una parola, galantuomi'ni, nella vita prima che negli' studi'. Per loro, "i'l bianco era bi'anco e i'l nero era nero. Il bene era bene, e il male era male." Una regola molto semplice, ma non, come a qualcuno è parso, semplz'cùta: pensare chz'aro, e poi dz're altrettanto chiaro. Al di là della cultura positivùta allora e colà imperante, e dei suoi limiti', questo apprese da loro Salvemi'ni. E fu un retaggio essenzz'ale, non solo di metodo e di stile. Pùt di tutti gli altri·, fu a lui maestro di vita Pasquale Vz'llari. Ce lo attesta, ancor piu della prolusi·one, l'artz'colo che egli scrisse, subito dopo la sua morte, per la Nuova Rivista Storica, tra la fine del 1917 e il principio del 1918. In questo scritto troviamo i'nfatti pagine che scomparz'ranno dalla prolusione, destinata a n'evocare tutto il mondo universitario fiorentino: mentre qui appare, z·n pieno ed esclusz·vo rùalto, lo storico e il maestro di metodo storico ( ne dz'remo qualcosa piu avanti); l'i'nsegnante vero, che sa infondere negli' scolari il meglio di' sé, e quando poi li ritrova dopo tanti anni, andati ben oltre il vecchz'o maestro, ne gioùce, cosf dz'ceva Villarz·, come di "un trionfo morale sopra noi medesimi"; l'uomo buono e generoso, anche e soprattutto con chi', a causa delle sue idee, lo preoccupava "come il pulàno che sfugge alla chioccia." ("Quando, nel terzo anno degli' studi, mi ammalai, per troppo lavoro e per via di quella certa abitudi'ne a vivere di' nz'ente, che si assume quando scarseggz'anoi rifornimenti, egli mi raccomandò ad una famiglia a lui· amz'ca, mi fece andare z'n campagna, e mi az'utò cosf a rz·avermi e a tornare al lavoro.") E piu di tutto il politico. Ma non l'uomo di' azi'one politz'ca, l'uomo di partito. Per questa forma di attivùà, fosse il realùmo geniale e spregiudicato, e magari percorso da 10 Bibloteca Gino Bianco

Prefazione "una vena di irrazionale fanatismo mazziniano, 11 che era di uomini come Cavour, oppure la deterù>re scaltrezza dei "politicanti," Vi/lari non era tagliato. Ma egli era, agli' occhi di Sa/vernini, un grande, nobilissimo "scrittore politico. 11 E le pagine di lui che l'antico discepolo metteva in primo piano erano quelle, veramente bellissime, sulla questione meri'dùmale _e sul problema sociale. In lui gli pareva di ascoltare "la voce della no,stra coscienza morale, severa, sincera, importuna. Questo cavaliere dell'Annunziata ha cQ:ntinuatola propaganda sociale di' Mazzini, e la sua parola è riuscita spesso cruda e squillante come quella di un rivoluzionario. 11 Quando S. scriveva queste parole, al principio del 1918, aveva lasciato da alcuni anni i·z partito socialista; ma non aveva rinnegato l'antica fede. E sentiva che gli scritti del maestro potevano servz're da stimolo potente per gli uomini di fede socialista, ben piu che agire da "aculeo alla inerzia plumbea dei partiti del cosi detto ordine." Contrariamente a quel che taluno ha detto, Sa/vernini era andato, sul terreno politico, ben al di là del maestro; sentiva tutta la distanza che da lui realmente lo separava. Ma ne ammirava la forza morale, che gli anni· non avevano sbiadito; e la chiaroveggenza dei giudizi·. A di'fferenza di Sa/vernini ( che qualche mese prima di Sarajevo era ancora convi'nto che lo sviluppo internazz·onale delle grandi imprese capitalistz"cheavesse reso ormai del tutto z'mprobabile una conflagrazione europea) Vi/lari aveva, nel giugno del 1914, notato i prodromi della tragedia imminente. Aveva poi·, a 87 anni, gz·udicato l'intervento dell'Italia una necessità storica; e piu tardi, proprz·o alla vz'gilia della morte, sofferto l'angoscia del disastro di' Caporetto. Forse, z·n quell'estremo momento, se si era posta la domanda di' chi fosse la colpa, la sua risposta era stata, ad avviso di Salveminz·, quella stessa di cinquant'anni prima, all'indomani di Custoza e di Lissa: "Vi' è in Italia un gran colpevole; e quest'uno, sz·amo tutti noi." Nel 1918 l'interventista Salvemz'ni faceva suo l'amaro giudizio del maestro, e si domandava: che cosa abbiamo fatto per rendere partecipe il popolo italiano "di quella lt'bertà, di quella civiltà, per cui· oggi gli ingiungz'amo di morz're?" Una fedeltà di fondo, dunque, unz·va lo scolaro al maestro; neppure scalfita dai dissensi politt'ci', che qualche volta indussero il bollente gz'ovane a qualehe aspro gz'udizio, ri·velatoet'dal/'epistolario. Un altro maestro, Achille Coen. Nel necrologio che gli dedicò nel/' Archivio Storico Italiano del 1921, Sa/vernini disse non molto, ma qualcosa di piu di quanto avrebbe poi detto nella prolusione del 1949. E accanto ai maestri, i compagni di gi·ovi·nezza, di· studio, di lotta politz'ca, di esilio, da un decennio ali'altro. Assai bello il profilo di Cesare Battisti scritto sul/' Unità a un anno dalla morte: con vibrazioni di una vena parti'colarmente commossa, e perfino qualche impennata, di solito in lui cosi rara, di stile infiammato, quasi retorz·co;ma di una taglt'ente lucidità nell'esame della situazione politt'ca del Trenti'no, e di una sincerità tanto cruda da suscitare polemiche, i·n campo liberale e cleri·cale.Di qui, qualche mese dopo, la messa a punto, che ribadi·va con nettezza z· giudizi· precedenti. Emerge, da queste pagine, un Battisti sottratto all'apologz·a,al mito, alle speculazi'oni Il BiblotecaGino Bianco

Prefazione nazionalt'sti'che:necessaria premessa di quella impostazione storiografica che in questi tempi' è culminata nel limpido saggz:odi Claus Gatterer. Accanto a Battz'sti, abbiamo collocato la figura del socz'alùta austriaco Wilhelm Ellenbogen, esule politz"coanche lui negli Stati Uniti. Maestro e i'nsi·eme compagno fu, per Salvemini, Antom·o De Viti De Marco, incontrato per la prima volta nel 1904. Pugliese anche lui, aveva qui"ndicz'anni piu di Salvemi·m·; e, non meno del suo pù,, giovane amico, era uomo di calde passioni, di forte carattere. "Il suo spirito era un vulcano sotto i'l ghi"accio "'; mentre Salveminz", che cosi lo aveva felicemente definito, Salveminz', "anima di fuoco" anche lui, di ghiaccio ne aveva assai poco, come tutti" sanno. Fu la questione meridionale ad avvicinarli e, in relazione ad essa, la battaglia antiprotezionista, nella quale il pt'u anzi'ano pugliese fu maestro al secondo; e la collaborazione e, per qualche tempo, la condz"rezione dell'Unità; e la campagna contro la dalmatomanz·a e la slavofobi·a.Ma li univa anche qualcosa d'altro: il "ri'fuggire dalla retorica, dalla letteratura e dalle nuvolaglie filosofiche"; l'ammirazione per Cattaneo; l'imperterrito antifascismo. Infine, i piu giovani compagni della lotta anti"af scista e del/'esilio: Si"lvio Trentt"n, Giuseppe Donati, Camilla Berneri. Nessuno di loro - dirà pi"u tardi' il vecchio Salvemini, con una frase che spesso ri"corresotto la sua penna - gi·unse a vedere l'alba del nuovo giorno. Di qui il tono di accorata mestizi·a che avvolge questi' profili. Ch1.'udiamo la prima sezione col breve ri·cordo di Pi"ero Gobetti che egli scrisse poco prima di' morire: un ricordo non disgiunto dalla preoccupazione per l'Italia degli" anni Cinquanta, e i"ntriso di pessimismo, come tanti dei suoi ultimi scritti. Ma non senza una vena di speranza. "Gobetti": non tutto è andato perduto." 2. Scritti metodologici. - Anche per le pagine che ri"petutamente Salvemini dedi'cò, e talvolta con intervalli di molti· anni, alla metodologia delle scienze storiche, dobbi'amo rifarci, pri'ma e piu che ad altri, a Pasquale Vi"llari.Non già che egli" ammirasse i"n modo superlativo le teorie storiografiche dell'amato maestro. Fi"n dal 1918 aveva scritto: "Che le sue fossero profJri·olezioni· di metodo storico, non si può dire''; e lo ripeté, quasi con le stesse parole, nella prolusione fiorentina di tanti anni dopo. Ma Vi"llari gli aveva ri·velato qualcosa che rimase sempre al centro della sua visi"onedi ciò che fosse, o dovesse essere, il lavoro dello storico: l'entusi·asmo per le grandi si'ntesi·,per le i"deegenerali, "mastice necessario" per tenere insi"eme i· fatti indivi'duali, che senza quelle si ri"durrebberoa "polvere inutile"; i"l rigore della ri'cerca scienti'fica pi·u minuziosa, non disgiunto dal gusto delle letture pi·u disparate, da Agosti.no a Bossuet e a Tocqueville; e, infine, il rapporto fra la storia e la sociologia, e fra queste "scienze umane" e le scienze naturali, secondo i dettami allora imperanti· della cultura positz"vistica,di cui, come è noto, Villari era stato uno dei· primi· rappresentanti, se non addirittura, come voleva Ardi'gò, un precursore. Salvemini aveva respirato questa cultura fin dagli anni· universitari·; 12 BiblotecaGino Bianco

Prefazione conosceva lo scritto di Villari La storia è una scienza?, apparso a puntate sulla Nuova Antologia del 1891, e ristampato nel volume di Scritti vari del 1894 (e lo avrebbe citato a conclusione della prolusione del 1901, di cui ora diremo). Era, per la verità, uno scritto teor,:camente piuttosto debole. Benedetto Croce, che nel 1893 lo aveva semplt'cemente menzionato senza criticarlo, l'anno dopo, nel replt'care a chi lo aveva rimproverato di non averne tenuto i·l debito conto, lo defini·va "una filastrocca senza capo né coda. 11 Salvemini non approfond[ mai, nella sua essenza filosofica (pi·uttosto povera), quella cultura. Era uno storico - e uno storico di razza -, non un filoso/o; e la sua attività di storico, come ha ben detto il Galasso, si· levò costantemente al di sopra delle sue premesse metodologiche o· concettuali'. E quando fuggevolmente si· dmentò con problemi filosofici - come erano quelli, tra i pù,. ardui, della metodologia della conoscenza storica - fu quasi· sempre di' un "disarmante candore. 11 Ma in Vi·llari, egli soprattutto ammirava l'ampi·ezza degli orizzonti, l'impegno e il fervore dello storico; e prima ancora, il maestro di vi·ta, l'uomo. Questo ci' spi·ega perché mai', vinto il concorso a una cattedra universitaria, egli scegliesse, per la prolusione messinese del 1901, proprio questo tema: La storia considerata come scienza. La cosa ha stupito qualche studioso. Ma la ragione ci sembra chiara. Quel dùcorso, che inaugurava la sua carriera d'insegnante universitario, voleva essere, prima di tutto, un omaggio a Villari, e, attraverso lui, alla scuola fiorentina che lo aveva formato (cosi come sarebbe stata un omaggi·o a quella scuola, venato di uno struggente rimpi·anto, l'altra prolusione di' quasi mezzo secolo dopo). E c'era forse anche un'altra ragi'one. Salvemini, all'aprirsi del secolo, stava per gettarsi alle spalle gli studi di storia medi'evale (che pure lo avevano splendidamente ri·velato e lo avevano portato i·n cattedra), e si senti.va sempre pù, attratto da studi vidni' alla sua passione politica, su Cattaneo, Mazzini, la Rivoluzi·one francese, il Risorgi·mento: come ci attesta la sua corrispondenza di quegli anni· con Villari. In un momento di transizione, d'incertezza, di svolta, la scelta di quell'argomento non aveva nulla di sorprendente: era come una riflessione critt'ca sulla natura e sui modi· del lavoro storico che aveva fatto sino allora, e che soprattutto intendeva fare per l'avvenire; o, se voglt'amo, un esame di coscienza, una professione di fede, quale che dovesse poi essere il suo futuro it,:nerario di' studio-so. I limiti di questo saggi·o sono fin troppo evidenti, come fragile è l'impalcatura positi·vùtica che lo sorregge e caratterizza. Piuttosto scontate le considerazioni· sui compiti della storia, sui suoi rapporti con la sociologia, sulle sue peculiari:diffi'coltà, e le sue analogie con le scienze naturali";e addirittura banali quelle sulla natura e gli scopi dell'arte e sulle teori·e estetiche di Tolstoi·, o l't"ncautapolemica con Croce, che fin dal 1893 aveva pubblicato la memoria dell'Accademia pontaniana La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte, nella quale memoria si affrontava di petto il dilemma in quegli anni· dibattuto dagli storici specialmente tedeschi·, e piu autorevolmente fra tutti da Droysen, se la stori·afosse scienza o arte; e che ancora 13 Bibloteca Gino Bianco

Prefazione negli anni seguenti aveva ripreso e approfondito z·l tema. E ben si comprende che Croce, chiamato in causa e confutato in modo piuttosto maldestro, subito glz· rispondesse sulla stessa rz·vista, e con· un articolo di egual titolo, e con pungente sarcasmo per z·lprofessore "pieno anche lui di fanatismo scientifico e intellettualistt'co," e per la sua "superstizione verso le scienze natu1·ali." Senonché, messo z·n chiaro tutto questo, occorre pur dire che lo stesso Croce, col passare degli anni, avrebbe man mano riveduto e alla fine rinnegato la sua originaria immedesimaz1:one di storia e arte, teorizzata nel 1893; e, piu ancora, che la sua ironia sz· appuntava contro un aspetto piuttosto marginale dello scritto salveminiano, mentre non veniva affatto discussa quella che era la parte prz·ncipale della prolusz·one: il che, se era perfettamente legittimo az·fini della polemica in sede filosofica, non deve indurci a trascurare quel che di serz·oe di· vivo c'era pur sempre nel saggio di Salveminz. Questo, per l'appunto, ci preme mettere in luce: al di là della sua scarsa consistenza filosofica, la prolusione del 1901 ci appare come una preziosa confessione sul modo con cui i·l suo autore concepiva e soprattutto praticava la storia. Salvemi·nz· sapeva benùsz·mo di· non essere tagliato per la filosofia, che cordi"almente avversava (e bene Bobbi·o ha potuto parlare della sua "non filosofia"). "Il mestiere di storico è sempre stato il mi'o vero mestiere," scrisse una volta. E z·n queste pagine del 1901 - per ri'prendere un'altra espressione di Bobbio - egli z·ndicava, con molta chiarezza e onestà, sotto le apparenze di una astratta disquùi.zi'one metodologz·ca, quelli che erano in realtà i "ferri del mesti.ere di· storico." Ci si rivela cos[ il suo abito di· studioso, di fronte ai concreti problemi della ricerca storica. E proprio per questo abbi.amo rùenuto di· dover includere queste pagine, pur tanto discusse e discutibz.li, nella presente raccolta. si· vedano, solo per citare alcuni esempi: il richiamo a Cattaneo, con cui il saggz·osi· apre; il dispregio per la semplz"ceerudi.zione, nella quale si ri·ntanavano tanti studi.osi di stori·a, per la paura o l'incapacità di assurgere alle idee generali (un dispregio che, come si è detto, gli' venz·va da Villari), e insi·eme lo scrupolo della ri·costruzione precisa dei fatti, ai· quali" dovevano essere commisurate le idee dello storico onesto, pronto sempre a consi·derarle come i·potesi provvisori·e, e approssimazioni alla verùà, e pertanto a farne getto non appena si rivelassero smentùe dai fatti,· la conf essz·one che lo stimolo alla ricerca sorgeva - in lui· come z·n altri storici - dalla speranza di trovare la soluzz·one di· "acutissimi problemi prati"ci"; lo schi.etto entusi·asmo per i"l "meravz·glioso e quasi religioso fervore di· studi storici',. che gli pareva di' avvertire in quegli anni attorno a sé, z'n ltalt'a e nel mondo; il suo i'nsistere - in un momento nel quale, sotto l'impulso del positt'vùmo e di un superficiale sociologismo, tanto si parlava di storia della società, come entità staccata dagli indi·vi·dui· - sul fatto che non si dà storia sociale senza storia i'ndividuale (" la società non è una entità reale di'versa dagli z"ndivi"dui e superiore ad essa"), con il che si definiva quello che sarebbe sempre rimasto un canone fondamentale della sua storz·ografia,e cioè la necessità per lo storico di scor14 Bibloteca Gino Bianco

Prefazione gere, al di sotto delle parole generali, come rivoluzione, classe, Riforma, Risorgimento, gli uomini vivi e concreti. Non si può fare, diceva, la storia di una società saltando di pie' pari gli individui. E parimenti metteva in guardia contro la tendenza, allora in voga, di considerare certi individui· come "sintesi di idee generali, 11 o come "simboli. 11 E soggiungeva, con qualche ironia: "Un uomo che sia sintesi o simbolo io non sono mai riuscito a capirlo. 11 (Molti anni prima, ragazzo diciassettenne, all'esaminatore che gli aveva domandato quale fosse "il nocciolo della leggenda di Enea, 11 aveva risposto: "Al mio paese nessuno mi ha mai insegnato che le leggende hanno i noccioli'. 11 ) Cosi pure, su quel che fosse l'obiettività dello storico, diceva cose semplici, ma tutt'altro che banali. Erano infine notevoli, in questo suo primo saggio metodologico, gli esempi tratti dalla sua diretta esperienza di studioso: come i ripetuti accenni alla Rivoluzione francese, della quale proprio in quegli anni cominciava a occuparsi. In particolare, già lo assillava il problema storico di stabilire quale efficacia avesse avuto, su quella rivoluzione, il movimento illuminista: un problema che, come risulta da certe sue lettere ad amici, gli si ripresentò ancora negli ultimi anni della sua vita, e che egli si riprometteva di trattare, in una nuova e ampliata edizione della sua storia della rivoluzione, ormai diventata famosa. Avrebbe poi ripreso qualcuno di questi temi nel già ricordato articolo del 1918 su Pasquale Villari: la polemi·ca contro la pura erudi'zione, contro i'l "sistema di non aver sistema 11 ; la necessità, per lo stori'co, ma anche l't'nsuffi'denza della sola ricerca scrupolosa dei fatti·, non um/7.cati dalla sintesi, e in sé disarticolati (secondo la lezione che Villari aveva appreso dal!'ami'co e maestro De Sanctis, altro autore caro a Salvemi·ni); l'utilità per lo studi'oso di' stori·a, come per l'uomo di· scienza, delle ipotesi· provvisorie, e magari fallaci, ma sempre suscitatrici di problemi, di nuove ricerche; la conoscenza del passato anche pù,. lontano dell'umanità come solo mezzo per conoscere no1:stessi·, per rendersi conto della nostra genesi z'ntellettuale e morale. Sul pi'ano della metodologia della storia, nulla di veramente ori'ginale e profondo; e ben poco di nuovo rispetto a quello che aveva già detto all'inizi·o del secolo. Ma ancora una volta si' perce-p-t'vail sincero calore delle convinzioni, la fede nel!'utz'lità sociale del lavoro stori·co. E soprattutto, i'l discorso di· Salvem1.'nisi· faceva piu preciso e concreto quando prendeva i'n esame le pri'ncipali opere di Villarz', su Savonarola, su Machiavelli', sui· primi due secoli' della storia di Firenze. E qui affiorava anche un nuovo concetto: l'alta storiografia richiede sempre, accanto all'implacabi'le ricerca crùi'ca, la "simpatia morale" de_llo studioso per il tema prescelto. "Non si può comprendere senza amare. 11 L'i'ndifferenza o il disgusto dello studioso per l'oggetto preso in esame gli annebbia la vis,:one criti'ca, lo paralt'zza nella soluzione del problema storico. Era anche questa una preziosa con/essi·one di Sa/vernini sul suo modo appassi'onato di sentire e pratt·care la storiografia, e in parti'colare sulla sua tendenza a cercare nel passato, come ha ben visto lo Spi'ni, gli "ero,: posùi·vi, 11 da Giano della Bella a Mazzi'ni. 15 Bibloteca Gino Bianco

Prefazione Dopo altri vent'anni, sul finire del 1938, egli avrebbe ancora una volta ripreso l'argomento in un corso di quattro lezioni agli studenti dell' università di Chi'cago; lezioni apparse in volume nel 1939, col titolo Historian and Scientist, e nel 1948 in edizione italiana, intitolate Storia e scienza, con l'aggiunta, in appendice, del breve saggio Che cos'è la coltura? Benedetto Croce, al quale l'edizione in inglese era stata spedita nel 1939 dall'autore emigrato negli Stati Uniti, preferf allora tacerne, "per 1·iverenza verso un italiano esule per causa di· libertà." Ma non tacque alcuni anni dopo, quando, tornato in ltaHa Salvemini, uscf la traduzione italiana. (Per la verità, in un capitoletto sugli" esuli, scritto nel 1944 ma saggiamente lasciato inedito nel cassetto - e ri·esumato con mi·nor saggezza nel 1977 dalla Rivista abruzzese - Croce aveva crudamente definito quel "li.bercolo" in inglese "una scemp1:agginecorredata di ignoranza.") E fu una strigHata ancor piu crudele di· quella di· tanti· anni prima; e, dobbiamo riconoscerlo, non del tutto immotivata: anche perché Salvemini si era lasàato andare, da parte sua, a qualche troppo faàle sarcasmo sulla filosofia dell'i.dealismo, e, per quel che concerneva le teorie croàane sulla storia, era rimasto fermo alla lontana e superatùsi·ma memoria del 1893, senza accennare, e forse neanche sospettare tutto il cammino percorso dopo di' allora dal grande filosofo. Ma fuor di· queste futili diatribe in campo filosofico - nelle quali, bisogna pur dirlo, Salvemi'ni aveva tutto da perdere, ed era effettivamente, per dirla con Croce, come il topo di fronte al gatto - quelle lezioni di Chi.cago à pare che serbino una loro seri'età, e che valga pertanto la pena di comprenderle nella nostra raccolta. Esse ci attestano, innanzi tutto, la sostanziale fedeltà serbata da Salvemi·ni· alle idee della sua pri'ma giovinezza sui· compiti dello stori·co (e qui· potremmo anche concordare coi rilievi del Garin sulla singolare staticità di' queste concezioni salveminiane): il rifiuto della pura erudizione fine a se stessa; l'uti.lità pratica della stori·a per la soàetà,· il valore delle "i·potesi" sia per lo stori·co si·a per lo scienziato,· la ricerca i·ntesa come un susseguirsi· di' successive approssimazioni alla verità. Da quasi mezzo secolo, i·l "metodo" professato e messo in atto dallo stori·co Salvemini· non era insomma mutato. Ma tuttavia, a ben guardare, vi· si· potrebbe cogliere qualcosa di nuovo. Tanti decenni non erano passati· invano, neanche per lui·. Cos[ è di· alcune ben percettt"bi.li·tracce della cultura anglosassone, di cui qualcosa, direttamente o indi.rettamente, gli doveva pur essere gi'unta; e, pt'u i·n parti.colare, dell'ambiente ameri·cano, nel quale ormai viveva da anni·. Nelle frequenti' esemplt'ficazi·oni· stori·che - che costituiscono una delle parti pi·u vive del saggio -, accanto agli' acuti riferi'menti alla Ri·voluzione francese, non mancano frequenti accenni alla recente stori·a degli Stati Uniti, e specialmente al loro intervento nella Pri·ma guerra mondiale, e alla parte che la guerra dei sottomari·ni aveva avuto nel determi·nare tale intervento. Erano, questi, argomenti parti·colarmente sentiti' dalla gi·oventu ameri·cana, in un momento - la fine del 1938 - in cui la mi·naccia di· una nuova confiagrazione europea, e anzi mondiale, si' faceva immi·nente e grave. E non ci 16 BiblotecaGino Bianco

Prefazione stupisce che Salvemini vi ricorresse con -tanta insistenza. Notevoli sono anche i ripetuti richiami alle dottrine di Mosca e di Pareto, che gli erano ormai divenute familiari. E insieme potremmo rilevare la sua insofferenza per talune puerilità di certi sodologi tedeschi, e anche l'insorgere di qualche dubbio sull'esistenza, da lui assiomaticamente asserita all'inizio del secolo, delle leggi sociali. Il travaglio dei tempi sembrava aver qua e là incrinato in lui la saldezza di antichi convincimenti; mentre, all'opposto, altri ne aveva rafforzati. Avvertiamo soprattutto, in queste pagine, i segni di una. vissuta esperienza, culturale e politica. Si vedano le illuminanti considerazioni sul dovere che ha lo stori'co dell'età contemporanea di avvalersi degli stessi metodi critici dello storico di altre età. E a questo proposito non si può non pensare a quel che Salvemini veniva facendo da anni, come storico del fascismo, con la stessa pazienza filologica e lo stesso rigore di analisi che aveva già dimostrato nei suoi lavori di storia medievale e risorgimentale. Piu di tutto ci colpisce per la sua novità e intensità l'accento che Salvemini poneva sugli aspetti morali e civili di una storiografia militante: ed era anche questo un rifiesso della sua personale esperr:enza non solo di studioso, ma di uomo libero e di coraggioso antifascista. Contro la scipitezza degli storici che, per timore di compromettersi, di prendere posizione, di apparire parziali, si barricano dietro un'i'nsulsa neutralità, rivendicava il diritto di avere preconcetti e prevenzioni (o, come dicono gli anglosassoni, prepossessions). Quanto a sé, dichiarava di essere "tappezzato" di prevenzioni, e di non vergognarsene, in quanto esse non sono inconciliabili con la ricerca scientifica, e anzi in molti casi le sono di stimolo. L'importante è che lo storico sia ben consapevole delle sue prevenzioni, stia in guardia, non sopprima e non deformi i fatti per indulgere ad esse, e le confessi al lettore. E ancora: lo storico ha tutto z'l diritto di essere "passionale,,~ di dare battaglia; ma deve sempre giocare a carte scoperte. La specie piu detestabile era per lui quella degli storici "propagandisti," veri "lupi in veste di agnelli." In questo, diceva, risiede la probità dello storico, nel distinguere il rigore onesto della ricerca dalla confessata sincerità delle prevenzioni e passioni che lo muovono. Solo a queste condizioni può progredire la scienza storica, che esige una palestra di libera competizione fra opposte prevenzioni. Il dubbio e la controversia sono il destino dello storico (e del sociologo). Né si trattava soltanto, per Salvemini, di un canone metodologico e di un principio morale; ma anche di una suprema regola della società civile. Perché proprio in questo stava la diversità di fondo tra la democrazia e la dittatura. La prima, diceva Salvemini in queste lezioni, è basata sull'umiltà. Se invece viene attribuito a un uomo, o a un gruppo di uomini, il dono dell'infallibilità, diventa inevitabile la loro dittatura; e si hanno allora i Mussolini, gli' Hitler, gli Stalin. "Chi è convinto di possedere il segreto infallibile per rendere felici gli uomini, è sempre pronto ad ammazzarli. L'intolleranza dittatoriale rampolla dalla fede nell'infallibilità, come la tolleranza e la libertà rampollano dalla umiltà democratica·." E infine, per tornare ai doveri dello 17 BiblotecaGino Bianco

Prefazùme storico, egli ammoniva che non si può essere indifferenti di fronte alla questione della verità o dell'erro-re, del bene o del male. Dobb,:amo vivere; e "vivere significa agz're." Cos[ parlava Salve"mim· agli studenti americani nel 1938; e la sua lezione, come si vede, andava ben al di là delle fragili premesse teoriche su cui si f andava. Ritroviamo la stessa vibrazione morale nel/'articolo Storiografia e moralismo, apparso nel gennaio 1947 su Belfagor, in polemica con Carlo Morandz· (riprodotto in Il ministro della mala vita e altri scritti sull'Italia giolittiana, a cura d'Elio Apt'h, Opere, IV, vol. I, pp. 531-539), e nella prolusione fiorentina del 1949. E ancor piu nel bellissi·mo scritto Empirici e teologi, pubblicato postumo, nel 1968, da Roberto Vivarelli, che gi·ustamente lo ha considerato come il "testamento" di Salveminz': ultima, commot1ente professione di fede dello storico e, prima ancora, dell'uomo. 3. Fra storia e politica. - Anche per quel che riguarda l'intreccio strettissimo fra storia e politica, fra la ricerca scientifica e l'impegno del cittadino, Salvemini aveva preso ad esempio Pasquale Villari. Nel già citato necrologr.·odel 1918 n'cordava come, nel corso dell'Ottocento, si fosse rotta ogni· circolazione di pensiero "fra gli studi storici e la pratica politt'ca," con il conseguente scadimento di quelli alla piu gretta erudizione, e di questa a inintelligente empirismo. A tale tendenza Vi.llari aveva reagito, riprendendo la tradi'zione degli "stori·ci moralisti" del Risorgimento, e cosf salvandosi anche lui dal di·ventare un semplice erudito. In realtà, per quel che ri"guarda Salvemi'ni, e i'l legame da lui fortemente sentito e praticato fra storia e politica, pi'u che di una dz'retta e decisi·va influenza del maestro su di lui, si· trattò della scoperta, fatta a posteriori dall'allievo, di· una coinddenza di fondo, di' un idem sentire ( e, sia detto fra parentesi, non solo con Villari, ma anche e piu con altri, come, e lo vedremo, con Cattaneo). Fin dagli anni fiorentini, quando era ancora studente - e lo ha visto benissi·mo il Sestan - "la sua passi'one vera era la passione politica, la politica di un giovane ribelle stomacato allo spettacolo di tante ingiustizie umane, sofferte anche di' persona nella sua pi·ccola patria pugliese." Per questo, aveva scelto la storia, per trovare un qualche sfogo a quella passi·one; per questo, a un certo momento, aveva abbandonato la storia medievale, per passare ad altri perz·odz'piu vicini al suo tempo, a temi di studi'o, come ad esempi'o quelli sulla Rivoluzi'one francese, che gli permettevano di "trattar in forma obiettiva dr.'una gran quantità di questioni socr.'alio morali scottanti ai nostri giorni." Per questo, z'n una lettera del 20 'di'cembre 1899 a Francesco Papa/ava, defim'va 1.'lsuo saggio sui· partiti politici' milanesi (un po' scherzosamente, ma con piena consapevolezza di quell'intreccio di cui· st,:amo parlando) "1·1 mi·o volumetto storico-sovversivo." Sta di fatto che quel legame fra storia e politi'ca rimase i·n lui una delle note piu costanti e caratteristi'che, come già tanti studiosi hanno concordemente ri·levato. Potremmo anche aggiungere che, nel lungo arco dei suoi scritti, sono distinguibili due periodi. Nel pri'mo, quello giovanile, 18 BiblotecaGino Bianco

Prefazione lo sto1·ico Salvemini senti l'impulso della passione politica; nel secondo, quando le battaglie del suo tempo lo travolsero, il politico Salvemini non dimenticò mai l'abito, il metodo, lo stile dello storico. E lo si vede bene in questa terza sezione della presente raccolta, nella quale sono compresi scritti minori - anche brevi recensioni e note polemiche -, sospesi come sono tra l'assillo della attualità politica e il sicuro istinto della piu rigorosa esattezza storiografica. Tutte pagine nelle quali non si sa se piu ammirare la probità dello studioso o l'impegno del cittadino; anche se piu di una volta accadde che Salvemini trovasse qualche difficoltà a padroneggiare l'impeto della passione che tendeva a soverchiare la serenità dello storico. Si veda lo scritto del gennaio 1900 sulle carte di· Carlo Cattaneo, in apertura del capitolo. L'argomento è puramente filologico, erudito: si vuole ri'costruire, documenti alla mano, la tormentata vicenda delle carte che Cattaneo aveva raccolto, e solo in parte utilizzato, per l'Archivio Triennale. Ma si direbbe che Salvemini, in quel momento, sia ancor tutto preso dalla veemenza delle battaglie che, all'indomani delle vicende quarantottesche, il grande scrittore lombardo aveva impegnato contro i moderati e Carlo Alberto. Salvemim· aveva appena pubblicato ,: Partiti politici milanesi, scaturiti dalla sua volontà di scendere i·n campo contro la reazione di fine secolo, e largamente utilizzanti l'Insurrezione di Milano e l'Archivio Triennale di Cattaneo, i cui giudizi arroventati erano da lui' tolti di" peso come armi di combattimento per l'attualità. In queste pagine - come bene ci ha ricordato Luigi Ambrosoli - Cattaneo aveva voluto denuncz'are i gravi errori dei· moderati e del Governo pz·emontese, ma anche quelli di Mazzini; per i"l quale aveva indubbia stima morale, ma nessuna consider'lzione politica. La sua posizi'one fortemente critica muoveva "dalla stori·a per arrivare alla politica." E per questo non aveva avuto scrupoli nell'utilt'zzare i"l materi"ale che gli era giunto tra le mani: materi'ale certamente "pericoloso" per i suoi avversari che, con Gabrio Casati alla testa, fecero di tutto, ma i·nvano, per recuperarlo, prima che Cattaneo potesse disporne. Salvemim', come dicevamo, si colloca, al princz'pio del Novecento, nella stessa posizi'one polemi·ca assunta da Cattaneo mezzo secolo prima. Dopo aver ricordato la rabbia (" la bava e z"l fiele") dei moderati di un tempo per quelle carte finite nelle mani di Cattaneo, deplora che esse, passate da Bertani alla Whùe-Mario, siano approdate al Museo del Risorgimento di Milano, ossi·aalla mercè dei moderati del suo tempo, gli eredi dei "peggiori nemici'" di· Cattaneo. (Evidentemente nel 1900 Salvemi"ni i'gnorava ancora che una parte di tali documenti·, e doè quelli ut1:lizzati per i primi tre volumi dell'Archivio Triennale, e quelli destinati al quarto volume non mai pubblicato, erano stati lasciati da Cattaneo a Crispi, e poi finiti all'Archivio di Stato di Palermo.) E facendo proprio tutto il furore polem1:codelt ammiratissi·mo Cattaneo, lamenta che la pubblicazione dell'Archivio si· fosse arenata nel 1855, boi·cottata come fu non solo dalle "birbonate" dei moderati, ma anche dai mazzim·ani, "che vi vedevano criticati spi"etatamente e 19 Bibloteca Gino Bianco

Prefazione a base di' documenti tutti i colossali errori commessi da Mazzini nel 1848." Apriti cielo! Di' fronte a queste parole, che con totale adesione risuscitavano, all'aprirsi del nuovo secolo, i severi, passionali giudizi' di Cattaneo su Mazzini, i'nsorgeva protestando un mazziniano di stretta osservanza, Francesco Mormi'na Penna. Gli replr.'cavasubito Salvemini sull'Educazione politica, col lungo arti'colo Giuseppe Mazzini nel 1848, eh.e qui si pubblica (e che, secondo una precisa testimonianza, negli ultimi giorni della sua vita, a Sorrento, egli raccomandava agli amici di "rz'pescare"). Ed è un artt'colo notevole: non solo perché ribadisce le ragi'oni della sua sconfinata ammirazione per Cattaneo, ma perché ci dimostra con quale scrupolo egli si fosse proprio ,allora accinto, sulla scìa di Arcangelo Ghisleri, a un attento studi'o degli scritti' di Mazzini, e come, pur confermando in sede stori·ca i· suoi giudizi sugli' "errori" di Mazzini· nel 1848, fin da quel momento cominàasse a sentire il fascz'no del primo Mazzini, quello della Giovine Italia i'n lotta con la vecchi'a Carboneria (e questa sua predilezi'one per la giovinezza di Mazzini·, come tema di rz'cercastorica, resterà in lui sempre vi·va, fino ai suoi· ulti'mi anni). Possiamo renderci conto, nel leggere questo scritto, come alla passi'onalità polemi·ca istintt'vamente si affiancasse l'amore della esattezza, della piu scrupolosa acribia filologica. Salvemim: sarebbe ancora tornato a Cattaneo i'n alcuni· brevissimi, succosi· scritti della vecchi'aia: come, nel 1948, su Critica politica, i'n garbata polemica con Ri'naldo Caddeo (sostenendo l'importanza che avrebbe avuto la conoscenza i'ntegrale della formidabile documentazione raccolta per l' Archivio Triennale, la quale dimostrava che Cattaneo, "pur essendo motivato da passione politi'ca, fece opera di' 'stori'co' onesto": con i'l che Salvemini·, pur senza proporselo, lasciava scorgere un punto di contatto fra lui e quella grande, solitaria figura del Risorgimento); o i'n una recensi'one dell'Epistolario cattaneano, sul Ponte del 1950, con alcune epigrammati'che definizioni·. Cattaneo, diceva, era uno scienzi'ato, non un politicante. Anche Mazzi'ni era la negazione del politicante. Ma la sua era l'i'ntransigenza dell'apostolo, non dello scienziato. Era passato ormai mezzo secolo dai primi, crudi gi'udi'zi' su Mazzi·ni·; e col passare degli anni, anche la grandezza del genovese aveva finito per i'mporglisi. La recensione di un li'bro di Leonardo Olschki, The Genius of Italy ( 1950), ci dimostra la vastità dei suo1: i'nteressi storiografici. Ma il titolo non lo persuade, suscita in lui, ancora una volta, la di'-fji'denzaper le astrazi'om·: "Esiste 'un gem·o dell'I talr.'a'?Se San Francesco e Leone X, Dante e D'Annunzi·o, Toscanini e Mussolini' sono tutti italiani·, che di'avolo mai è il genio dell'ltalr.'a?" Può sembrare soltanto una scherzosa boutade; ma, come sempre, il fondo è serz·o.In una recensione dell'apprezzatissima storia dello Spellanzon ( 1951), avvertt'amo il placarsi del furore polemico che pù}, di' cinquant'anni· prima lo aveva spinto a far sue le accuse di Cattaneo a Carlo Alberto. La condotta del sovrano dopo Custoza fu dovuta a tradi'mento o somaraggi'ne? Salvemini ammira sempre il "magm'fico vigore" di Cattaneo, fautore appassi'onato della prima tesi'; ma non ne è pù 4, cosz 20 BiblotecaGino Bianco

Prefazione convinto. Del resto, l'incertezza ha poca importanza; perché, "se fu inetto, Carlo Alberto agi come se fosse perfido; e se fu perfido, non poteva agire con maggiore stupidità nella perfidia." Nei brevi scritti dedicati alla politica estera italiana nell'età crispina e giolittiana, sui diplomatici e ministri· di' quegli anni - Barrère, Di San Giuliano, e altri ancora - ritroviamo da un lato l'antica animosità contro Giolitti, gli echi delle sue battaglie politz'che, e dall'altro la fedeltà alla lezione di metodo che gli era stata data tanti anni prima dai suoi maestri, lo scrupolo ossessivo di sempre "risalt're alle fonti, 11 la sua avversione per gli storici "propagandisti'. 11 Maggiore spazio abbiamo dato agli' articoli' e alle recensioni sulla storia del primo dopoguerra, del fascismo, della Seconda guerra mondiale: tutti argomenti scottanti, che continuarono fino all'ultimo a sollevare in lui onde di' tempestosa passi·one,ma che egli cercò sempre di domi'nare con la serenità del pensiero stori"co, ed anche, quando gli se ne presentava l'occasione, con sorridente arguzi·a, perfino con irresistibi'li scoppi di buon umore. Sempre, e tanto piu quando si trattava delle male/atte dei peggiori nemi'ci, voleva prove sicure. Cosi a proposito dell'assassinio di re Alessandro di Jugoslavia, nel quale si era voluto scorgere la responsabilità di Mussolt'ni. Fino a che tali prove non verranno alla luce - diceva Salvemi'ni - " non è lecito a verun uomo onesto attribuire a Mussolini un delitto in piu. Il ritratto è abbastanza repugnante anche senza quella aggiunta. Eppoi la verità, per un uomo onesto, è la verità." Ammirava la monografia di Ernesto Ragionz·eri su Sesto Fiorentino, un vero modello di storia locale; e si compiaceva che l'autore non facesse mistero del suo modo di pensare ·_ perché "lo storico non può non avere un punto di' vista, se è stori·coe non raccattatore di cicche erudite11 - ma anche lo richiamava a una maggiore equità verso i socialisti italiani del primo ventennio del secolo. Si commuoveva di fronte alla rievocazione di lotte che erano state anche le sue, nel bel libro di Tommaso Fi'ore, Un popolo di formiche,· e concludeva: "Fiore spera oggi le stesse speranze del 1925. Le spera allo stesso modo? Non so." In Mussolini storico di se stesso ricostruiva con esemplare accuratezza l'attentato a Bologna contro Mussolini, e il linciaggi·o di Anteo Zambonz·, una delle pagine piu oscure della storia del Ventennio; mentre in Ludwig e Mussolini non taceva il suo dùgusto per la pochezza morale del celebre intervistatore, per le vergogne e le miserie del Minculpop, per le fatue vanteri·e del duce. Nel recensire un libro del generale Caviglia, segnava bene, accanto ai meriti, i limiti' dell'uomo: un certo narcisùmo, e la frenetica avversione per Badoglio. In Astuti e malfattori, demolt'va con implacabile severità la figura di Chamberlain, non meno responsabi'le di Hitler e Stalin in quella funesta commedi'a di reciproci' inganni che portò diritto alla guerra: un Chamberlain certamente piu stupido degli altri due, ma non meno criminale di' loro: perché "cri'mi'nalità e scempiaggine non sono incompatibili. 11 Né sarebbe stato molto piu tenero per le memorie di Churchill, al quale i·mputava di' avet dato all'Italia, con l'aiuto degli alleati e del Vaticano, un regime che sarebbe rimasto nella storia come "il fascismo senza Mussolini." 21 Bibloteca Gino Bianco

Prefazione (Esagerava, certo, in questi giudizi; ma la loro crudezza, volutamente accentuata, stava a i'ndicare il perdurare di uno spirùo polemi'co, di una attualissima preoccupazione dell'oggi, pur nella rimeditazione dei· fatti di ieri.) Con pacato equilibri·o esaminava la condotta della nostra marina militare nell'ultima guerra; e con caustica z'ronia prendeva a bersaglio lo spirito salottiero e la doppiezza del tedesco Dollmann ( ancor oggi imperversante sugli schermi della nostra TV). A proposito della "svolta" comunista del 1944, del compromesso con la monarchia e con Badoglio, polemizzava con Togliatti, che lo accusava di essere un politico, non uno storico. "Storia? Politica? Badiamo ai fatti·: i· fatti del 1944 furono quali li vedo io, politico, o quali' li vede Toglt'attt·, stori·co?" Sempre risorgeva la connessione e, insieme, la distinzi'one fra stori·a e politica, e la prelimi'nare esigenza di ricostruire esattamente i fatti·, senza alterarli'. Accanto alle pagine dedicate alla Resùtenza italt'ana, ad alcune delle sue • figure mz'glt'ori, ai suoi aspetti· politici e militari, ai problemi di documentazione e z'nterpretazione storz·cache vi si connettono, vogliamo i·nfine ricordare due saggi: Una traccia sul mare, la storz'a commossa dz· un giovane, Falco Marin, che aveva creduto nel fasdsmo, e, attraverso lui, e le sue amare vz·cende, di tutta una generazz·one stroncata dalla guerra fascista ( e forse maz· come in queste pagine risplende l'accorata umanità di Salvemini); e Da Romolo a Mussolini, che, sotto un'apparenza beffardamente giocosa, lascz'atrasparz're lo sdegno per la rz'dicolaggine a cui·, un po' per spirito di propaganda e un po' per z'nfatuazz'one retorz'ca, si era abbassato uno storico illustre della sua generazione. 4 "L'U . ' " A l l'U . ' ' b . rutà. - qua cuno ruta e sem rata un momento non essenzz'ale, e non dei· pùJ, felt'ci, nell'atti'vità di Salvemini: una fase di ripz'egamento, di scarsa presa sulla realtà politi.ca del secondo decennio del secolo, perfino di z'nacz'ditoùolamento. E si· è parlato anche troppo di moralismo (per giunta "impotente"), addù·ittura di irascz'bilità professorale e vaniloquente - ma z'n questo caso era palese l'intento denigratorz'o - e, con maggz'or serietà, di un troppo z·nsùtito "problemùmo" e "concretismo," che davano alla rivista un complessivo carattere di frammentari.età, e di insensz'bz'litàper le i'dee e i· temi pùJ, generali. Uno dei rz'lt'evi·critici' piu intellt'- gentt·, formulato durante la vita stessa dell'Unità, e tante volte ri'chi'amato dagli studi'osi·, era quello del gi·ovane Gramsd: che l'effz'cacia reale della rivùta era compromessa dal fatto che non si rz·volgeva a "energie sociali organz·zzate," bensf "a tutti genericamente e a nessuno pratz·camente." Ma a chi punta su queste critiche, e non si· sforza di vedere al di· là di esse, vorremmo ricordare quel che Gramsci di'ceva nel medesz'mo scritto: che l'Unità era pur sempre "una mù·abile esperz·enza di scuola lt'bera per i cittadi'ni." Analoga la definizi'one dell'Unità data dal giovanùsi·mo Gobetti: "la p1·u feconda scuola politz'ca che l'Italia abbia avuto z·n questo scorcio di secolo." E basterà rz·cordarel'i'mpronta lascz'atadalla rivùta sulla generazz'one antifascista affacdatasi alla ribalta della lotta polùica nel terzo decennio, su uo22 BiblotecaGino Bianco

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