Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Prefazione Ed ecco, per maggior comodità di chi prenderà i·n mano questo libro, alcuni chi'arimenti sulle varie parti' di' cui esso si· compone. I. Maestri e compagni. - Il volume si· apre con la bellissima e ormai famosa prolusi·one che Salvemini tenne i'l 16 novembre 1949 all'u'!li'versità di Firenze, nel risalz're sulla cattedra di storia moderna che aveva dovuto abbandonare nel 1925. Apparsa sul Ponte del gennaio 1950 col titolo Una pagina di storia antica, essa fu ripubblz"catadall'autore qualche anno dopo, nel volumetto Che cosa è la coltura, col titolo I miei maestri. Fu quella la scuola che fece _di'lui· un uomo. E anche noi oggi, sulle orme di Eugenio Garin, che a quella scuola dedicò pagine di esatta rz'evocazione storica, possiamo ben comprendere l'ammù·azione di' Salvemi'ni, venata di nostalgi'a e di gratitudine. Altro che il "ne opiagnonism o," di cui parlava con troppa degnazione Gz'ovanni Genti'le, o il provincialismo ironizzato, con altezzoso compatimento, dall'ultz'mo biografo! Malfatti, Trezza, Vz'llari, Vitelli, Paoli, Coen, Tocco: i vecchi insegnanti del fiorenti'no Istz'tuto di' studi· superiori e di perfezi'onamento lasciarono z'n lui un'i'mpronta i'ndelebi'le. Di' valore dùeguale, furono tutti esempz'o di probùà scientz'fica. Ma non di questa soltanto; perché la loro prima lezi·one di metodo era di natura morale. Avevano lo scrupolo assoluto della verità, e il coraggz'o di dz'rla sempre, senza i'nfingz'menti. Insegnavano ad essere storz'ci, e non "diplomatz'cz'." Erano, in una parola, galantuomi'ni, nella vita prima che negli' studi'. Per loro, "i'l bianco era bi'anco e i'l nero era nero. Il bene era bene, e il male era male." Una regola molto semplice, ma non, come a qualcuno è parso, semplz'cùta: pensare chz'aro, e poi dz're altrettanto chiaro. Al di là della cultura positivùta allora e colà imperante, e dei suoi limiti', questo apprese da loro Salvemi'ni. E fu un retaggio essenzz'ale, non solo di metodo e di stile. Pùt di tutti gli altri·, fu a lui maestro di vita Pasquale Vz'llari. Ce lo attesta, ancor piu della prolusi·one, l'artz'colo che egli scrisse, subito dopo la sua morte, per la Nuova Rivista Storica, tra la fine del 1917 e il principio del 1918. In questo scritto troviamo i'nfatti pagine che scomparz'ranno dalla prolusione, destinata a n'evocare tutto il mondo universitario fiorentino: mentre qui appare, z·n pieno ed esclusz·vo rùalto, lo storico e il maestro di metodo storico ( ne dz'remo qualcosa piu avanti); l'i'nsegnante vero, che sa infondere negli' scolari il meglio di' sé, e quando poi li ritrova dopo tanti anni, andati ben oltre il vecchz'o maestro, ne gioùce, cosf dz'ceva Villarz·, come di "un trionfo morale sopra noi medesimi"; l'uomo buono e generoso, anche e soprattutto con chi', a causa delle sue idee, lo preoccupava "come il pulàno che sfugge alla chioccia." ("Quando, nel terzo anno degli' studi, mi ammalai, per troppo lavoro e per via di quella certa abitudi'ne a vivere di' nz'ente, che si assume quando scarseggz'anoi rifornimenti, egli mi raccomandò ad una famiglia a lui· amz'ca, mi fece andare z'n campagna, e mi az'utò cosf a rz·avermi e a tornare al lavoro.") E piu di tutto il politico. Ma non l'uomo di' azi'one politz'ca, l'uomo di partito. Per questa forma di attivùà, fosse il realùmo geniale e spregiudicato, e magari percorso da 10 Bibloteca Gino Bianco

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