Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Prefazione stupisce che Salvemini vi ricorresse con -tanta insistenza. Notevoli sono anche i ripetuti richiami alle dottrine di Mosca e di Pareto, che gli erano ormai divenute familiari. E insieme potremmo rilevare la sua insofferenza per talune puerilità di certi sodologi tedeschi, e anche l'insorgere di qualche dubbio sull'esistenza, da lui assiomaticamente asserita all'inizio del secolo, delle leggi sociali. Il travaglio dei tempi sembrava aver qua e là incrinato in lui la saldezza di antichi convincimenti; mentre, all'opposto, altri ne aveva rafforzati. Avvertiamo soprattutto, in queste pagine, i segni di una. vissuta esperienza, culturale e politica. Si vedano le illuminanti considerazioni sul dovere che ha lo stori'co dell'età contemporanea di avvalersi degli stessi metodi critici dello storico di altre età. E a questo proposito non si può non pensare a quel che Salvemini veniva facendo da anni, come storico del fascismo, con la stessa pazienza filologica e lo stesso rigore di analisi che aveva già dimostrato nei suoi lavori di storia medievale e risorgimentale. Piu di tutto ci colpisce per la sua novità e intensità l'accento che Salvemini poneva sugli aspetti morali e civili di una storiografia militante: ed era anche questo un rifiesso della sua personale esperr:enza non solo di studioso, ma di uomo libero e di coraggioso antifascista. Contro la scipitezza degli storici che, per timore di compromettersi, di prendere posizione, di apparire parziali, si barricano dietro un'i'nsulsa neutralità, rivendicava il diritto di avere preconcetti e prevenzioni (o, come dicono gli anglosassoni, prepossessions). Quanto a sé, dichiarava di essere "tappezzato" di prevenzioni, e di non vergognarsene, in quanto esse non sono inconciliabili con la ricerca scientifica, e anzi in molti casi le sono di stimolo. L'importante è che lo storico sia ben consapevole delle sue prevenzioni, stia in guardia, non sopprima e non deformi i fatti per indulgere ad esse, e le confessi al lettore. E ancora: lo storico ha tutto z'l diritto di essere "passionale,,~ di dare battaglia; ma deve sempre giocare a carte scoperte. La specie piu detestabile era per lui quella degli storici "propagandisti," veri "lupi in veste di agnelli." In questo, diceva, risiede la probità dello storico, nel distinguere il rigore onesto della ricerca dalla confessata sincerità delle prevenzioni e passioni che lo muovono. Solo a queste condizioni può progredire la scienza storica, che esige una palestra di libera competizione fra opposte prevenzioni. Il dubbio e la controversia sono il destino dello storico (e del sociologo). Né si trattava soltanto, per Salvemini, di un canone metodologico e di un principio morale; ma anche di una suprema regola della società civile. Perché proprio in questo stava la diversità di fondo tra la democrazia e la dittatura. La prima, diceva Salvemini in queste lezioni, è basata sull'umiltà. Se invece viene attribuito a un uomo, o a un gruppo di uomini, il dono dell'infallibilità, diventa inevitabile la loro dittatura; e si hanno allora i Mussolini, gli' Hitler, gli Stalin. "Chi è convinto di possedere il segreto infallibile per rendere felici gli uomini, è sempre pronto ad ammazzarli. L'intolleranza dittatoriale rampolla dalla fede nell'infallibilità, come la tolleranza e la libertà rampollano dalla umiltà democratica·." E infine, per tornare ai doveri dello 17 BiblotecaGino Bianco

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