Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Donati e Berneri Debbo aggiungere che Donati e io non avemmo migliore fortuna nell' Italia meridionale. 2 Credo che pochissimi abbiano letto lo studio di Donati su La voce del marzo 1911, o il riassunto che ne detti poi in un volumetto: Problemi educativi e sociali dell'Italia d'oggi, che Giuseppe Lombardo-Radice pubblicò nel 1914. Nessun "borghese" dell'Italia meridionale si curò del problema. Quanto ai socialisti meridionali erano tutti rivoluzionari della stretta osservanza, e perciò si curavano meno che facessero i borghesi di scuole elementari e altre bazzecole. Venuta la guerra, Donati vi andò anche lui. E aveva da raccontarne delle belle con la sua parlantina colorita e il suo senso umoristico. Ma ci vedevamo di rado, perché lui, entrato nel Partito popolare, era andato a Venezia a lavorare in non ricordo piu quale ufficio. Dopo la "Marcia su Roma," ecco Donati a Roma, direttore del quotidiano Il Popolo. Era il solo organo giornaliero che avessero i popolari di sinistra fedeli a don Sturzo. Gli altri quotidiani del Partito popolare, Il Corriere d'Italia di Roma, L'Avvenire d'Italia di Bologna, L'Italia di Milano, fedeli ai voleri di Papa Pio XI, erano lance spezzate della corrente che ".fiancheggiava" il regime fascista. Dopo l'assassinio di Matteotti, Donati si buttò a corpo perduto contro i responsabili, a capo dei quali era persuaso, e a ragione, che fosse Mussolini. Ma doveva camminare allo scuro. I capi dell'opposizione (del cosiddetto Aventino) possedevano il memoriale Filippelli e il memoriale Rossi, e conoscevano le accuse contro Mussolini di chi fin all'assassinio di Maitteotti era stato un sottosegretario agli Interni, Pinzi. Ma tenevano segretissimi quei documenti. Aspettavano che il re prendesse lui l'iniziativa di licenziare Mussolini; perciò riservavano tutti quei bocconi prelibati per la mensa del re, e non li davano in pasto al pubblico. Questo non doveva essere esasperato. La lotta non doveva uscire dalla legalità. La via doveva rimanere libera alla iniziativa del re, o del "monarcato," come diceva Amendola. Donati perciò tirava a indovinare. Spesso andò a vanvera. Ma in qualche punto imbroccò bene. A uno degli episodi di quella sua campagna mi trovai a partecipare, in piccolo, e per caso, anch'io. Un giorno che ero a Roma, i giornali pubblicarono il testo di una denuncia, che Donati intendeva presentare al Senato, come Alta Corte di Giustizia, contro il generale e senatore De Bono, che al tempo dell'assassinio Matteotti era direttore generale della Pubblica Sicurezza. Donati accusava De Bono di essere stato complice dell'assassinio, e di avere poi favoreggiato i suoi complici perché se la svignassero. A me mancava ogni elemento di giudizio, ma misurando la gravità del documento, pensai subito di andare da Donati per domandargli che cosa fosse mai quella denuncia. 2 Vedi La legge Daneo-Credaro per la scuola popolare, conferenza tenuta nell'inverno del 1911 a Trani, Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro e Bari, pubblicata poi la prima volta in Problemi educativi e sociali dell'Italia d'oggi, Battiato, Catania 1914, in Opere, volume V, pp. 1001-1010. [N.d.C.] 97 Bibloteca Gino Bianco

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