Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Prefazione "una vena di irrazionale fanatismo mazziniano, 11 che era di uomini come Cavour, oppure la deterù>re scaltrezza dei "politicanti," Vi/lari non era tagliato. Ma egli era, agli' occhi di Sa/vernini, un grande, nobilissimo "scrittore politico. 11 E le pagine di lui che l'antico discepolo metteva in primo piano erano quelle, veramente bellissime, sulla questione meri'dùmale _e sul problema sociale. In lui gli pareva di ascoltare "la voce della no,stra coscienza morale, severa, sincera, importuna. Questo cavaliere dell'Annunziata ha cQ:ntinuatola propaganda sociale di' Mazzini, e la sua parola è riuscita spesso cruda e squillante come quella di un rivoluzionario. 11 Quando S. scriveva queste parole, al principio del 1918, aveva lasciato da alcuni anni i·z partito socialista; ma non aveva rinnegato l'antica fede. E sentiva che gli scritti del maestro potevano servz're da stimolo potente per gli uomini di fede socialista, ben piu che agire da "aculeo alla inerzia plumbea dei partiti del cosi detto ordine." Contrariamente a quel che taluno ha detto, Sa/vernini era andato, sul terreno politico, ben al di là del maestro; sentiva tutta la distanza che da lui realmente lo separava. Ma ne ammirava la forza morale, che gli anni· non avevano sbiadito; e la chiaroveggenza dei giudizi·. A di'fferenza di Sa/vernini ( che qualche mese prima di Sarajevo era ancora convi'nto che lo sviluppo internazz·onale delle grandi imprese capitalistz"cheavesse reso ormai del tutto z'mprobabile una conflagrazione europea) Vi/lari aveva, nel giugno del 1914, notato i prodromi della tragedia imminente. Aveva poi·, a 87 anni, gz·udicato l'intervento dell'Italia una necessità storica; e piu tardi, proprz·o alla vz'gilia della morte, sofferto l'angoscia del disastro di' Caporetto. Forse, z·n quell'estremo momento, se si era posta la domanda di' chi fosse la colpa, la sua risposta era stata, ad avviso di Salveminz·, quella stessa di cinquant'anni prima, all'indomani di Custoza e di Lissa: "Vi' è in Italia un gran colpevole; e quest'uno, sz·amo tutti noi." Nel 1918 l'interventista Salvemz'ni faceva suo l'amaro giudizio del maestro, e si domandava: che cosa abbiamo fatto per rendere partecipe il popolo italiano "di quella lt'bertà, di quella civiltà, per cui· oggi gli ingiungz'amo di morz're?" Una fedeltà di fondo, dunque, unz·va lo scolaro al maestro; neppure scalfita dai dissensi politt'ci', che qualche volta indussero il bollente gz'ovane a qualehe aspro gz'udizio, ri·velatoet'dal/'epistolario. Un altro maestro, Achille Coen. Nel necrologio che gli dedicò nel/' Archivio Storico Italiano del 1921, Sa/vernini disse non molto, ma qualcosa di piu di quanto avrebbe poi detto nella prolusione del 1949. E accanto ai maestri, i compagni di gi·ovi·nezza, di· studio, di lotta politz'ca, di esilio, da un decennio ali'altro. Assai bello il profilo di Cesare Battisti scritto sul/' Unità a un anno dalla morte: con vibrazioni di una vena parti'colarmente commossa, e perfino qualche impennata, di solito in lui cosi rara, di stile infiammato, quasi retorz·co;ma di una taglt'ente lucidità nell'esame della situazione politt'ca del Trenti'no, e di una sincerità tanto cruda da suscitare polemiche, i·n campo liberale e cleri·cale.Di qui, qualche mese dopo, la messa a punto, che ribadi·va con nettezza z· giudizi· precedenti. Emerge, da queste pagine, un Battisti sottratto all'apologz·a,al mito, alle speculazi'oni Il BiblotecaGino Bianco

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