Menotti Delfino - Guglielmo Oberdan

GUGLI~~LMO OBERDAN.

--.....o•- MEMORIE DI UN AMICO CON Pf\_EFAZ IONE DI GIOSUJ~ Ci\RDUCCI MIL ANO EMILIO QUADRIO, EDITORE r 88"' )

MAZ 0700 0015~ MAZ ~794 Milano. Tipografia C. Borghini, Via Castello . 3,

:w-.;.. \~) • - :>•..- ~ .. ~_,<:: __ ~ ~~l]l~uestc notizie òi Guglielmo ·1·~-- .:~J-i· Obcrd~n, scritte co~ intel- *·*·'**·* letto ù amol"e da cln gli fu ~ come fratello vengono a dimo- $ strare più cose : - Che noi in Guglielmo Oberdan non proseguiamo d'onore una intenzione micidiale- dov" è il regicidio~ - sì un deliberato e n1aturat.o proposito di sacrifìzio. Se bene è vero che da regicidio a reg iciclio v'è differenza; e fra i minaccianti a noi i fulmini della legge per apologia di delitto? riconosciamo di quelli che sol-

levarono con sublimi c debite lodi la memori a eli AgesHao l\i i la no. -Che neanche onoriamo in G. O ber. clan il clisertot'e di faccia al nen1ico. A lui non era nen1ico il popolo erzegovesc c bosniaco combattente per la sua libertà, sì l'impero d'Asburgo occupante la libertà di Trieste e dell' Istrià. Disertori sì fatti la Germania nel 1813 salutò iniziatori c vindici della sua indipendenza : noi gli abbracciammo e gloriamn1o frate lli nel 1848 o nel 1850 , e cc ne ha da es8ere ancora di giusta111en te pl'emiat i negli a lti grad i dell'esercito nazi\>nale. - Che per ciò noi non pretenden1l110 dal Governo italiano ingerenza veruoa circa l'amn1inistrazione o l'e. secoziono della gius tizia nell' llnpero austro-ungarico. ·Noi non chiedemmo nè aspettmnmo gtazia 1nai : noi non facciamo trenodie su la vendetta legale de1l'In1pm·o d'AbslJurgo. Sappiamo cho i ngcrenz·~ l' Italia non no eS0rcita, le soili·c: ricurdicuno I a g ra-

zia ai L~ Gaia comanrhta a Vittorio Emanuele da Napoleone III. - Che noi dunque non vogliamo romper guerra lì per lì all'AustriaUngheria. Vero è che da gente d'or· dine - vecchio e nuovo - più volte udin1mo dire e leggcmino, che il popolo it:tl iano ha bisogno d'unR guerra come d'ossigeno riparatore. E potemn1o anche capire che questa guerra bisognava la facessimo con la Francia, per dare occasione alla Germania di saltare in n1ezzo a sal varci dal buscade tutte o sino alla :fìne. Ot~H noi, inabili a t anto n1achiavell ismo eli gente fracidamento sopraffina , ci sentiamo ancora assai di sangue romano cla perseverare aspettando il tempo nostro. Intanto affermian1o. Dicevano ch0 a Triest e e all'Isb·ia n1ancava un martire. Ecco, il n1artiro è venuto. E qual\~, lo dicono le pag ine che seguitano. Giornn 1 isti stranier i ci fanno col p n.

di voler collocare nel Panthcon nazionale il nome di Guglielmo Oberdan. Eh via, noi non abbiamo Pantheon. Cotesto vocabolo sa troppo d' impero e di chiesa e di accademia francese. Noi abbiatno la memoria e la conscienza nazionale. La memoria e la conscienza nazionale, che mise in alto i fratelli Bandiera, non ammette Felice Orsini , e respinge, non senza dolorosa pietà, il povero caporale Barsanti. Ma abbraccia, abbraccia te, o povero ed eroico Guglielmo Oberdan, nel cui sangue due popoli, l'italiano e lo slavo, chiamano giustizia a Dio. IN GLORIA. Giosuè Carclucci.

Guglielmo Oberdan nacque a Triest e, il 1°. febbraio 1858. Sua madre, Giuseppina, è goriziana ma di famiglia sbva: suo padre era italiano. Guglielmo fu un figlio naturale . Ignoro le circostanze che accompagnarono la sua nascita: ignoro da qual urto di passioni uscisse qucsto giovine, cui il fato riserbava una vita si breve ed una sì tragica fine. Posso dire soltanto che sua madre, abbandonau da chi la rese madre, trovò , dopo alcuni .. mi, un uomo che le diede il suo nome. T 1 cambio eli sì generoso oblio del p:1ssato, ella gli donò i suoi <lffetti: ma di ques ti Lt parte migliore era serbata pel fi glio ddl' amore, pel povero Guglielmo, che il padrigno non volle le2 .

IO GUGLIELMO OBERDAN gittimare nè adottare: ond ' ei portò sempre - con orgoglio, con venerazione - il nome della madre. Il marito di quest' ultima. vive attualmente a Trieste, è capofacchino, e chiamasi Ferencich. Non furon dunque le rose che cinsero la culla dell'amico mio, nè di rose fu selninato il sentiero della sua infanzia. Fino .ai sette anni gli bastò l 'amore immenso delLt madre; ma ai primi barlumi della -ragione, s' accorse che a lui le cure intelligenti ed affettuose d'un padre eran negate per sempre. Il marito di sua madre, uomo di bassa estrazione, rozzo di modi e col cuore non affinato nè dall ' indole nè dall 'educazione, fe' sentire. per tempo, sembra, la dura verità al povero bambino. A sett e anni questi fuggì di casa: fu i l primo lampo che rivelasse l'anima sensibile ed ardente di Guglielmo. Fuggì di casa ed errò qualche tempo pei campi. PassJ.va allora per la via solitaria un carro di venditori di legna, poveri contadini che, addormentati, lasciavano ai buoi la cura di battere l'usata strada per tornarsene al Yillaggio nativo. Quando vi giunsero, s'ac- •

GUGLIELMO OBERDAN Il corsero che, sopra un sacco di fien o, dormiva il beato e profondo sonno dell' inf:-mzia un fanciulletto biondo e ricciuto. Lo des tarono e gli chiesero chi fosse . Parlavano shvo - e il bambino non li capiva. Quei montanari lo portarono al curato, che, dopo due giorni d'assenza, riconsegnò il piccolo Guglielmo alla madre desolata. Guglielmo non di sse nulla, non rispose verbo alle infinite domande, agli amorevoli rimbrotti di cui fu fatto segno. Non rivelò - a se tt' anni ! - il movente della fuga. « Vol evo farmi contadino >> rispondeva . Molti anni dopo, nelle intime confi denze dell ' amic izia, mi r;velò il segreto che aveva angosc iat o quel pove ro cuoricino: un seg reto i:1dovinato, meglio che appreso. Frequentò, s ubito dopo, le scuole elementari a Trieste. Er:t irrequieto, turbolento, capriccioso, come tutti i fanciulli a' quali cresce in petto un gran cuore. Fu vari e volte espulso di scuola. Batteva i suoi compagni , sempre in difesa ai deboli, sempre in odio ai forti . Sentiva l'istinto della generosa ribellione contro l' iniquità e la prepotenza. A undici anni entrò nelle Scuole-Reali

12 GUGLIELMO OBERDAN Superiori che corrispondono a' nostri istituti tecnici. Sono scuole comunali, con lingua d 'insegnamento italiana. I primi anni continuò la sua irrequietezza, la sua intolleranza d'ogni specie di freno e di disciplina. Era forse il contraccolpo di ciò che vedeva - senza comprendere - entro le domestiche pareti. Un dl sua madre si fece coraggio - povera donna, quanto le sarà costato quel passo ! - e fece al figlio suo un'ampia e compleLt confessione . Un buon maestro di scuola, che al carattere generoso del fanciullo s' era vi,·amente affezionato, la sorresse, l' aj utò nel diffi cile còmpito. Cosa succedesse fra que' tre , non so. Certo c che Guglielrno usc1 da quel penoso colloquio tutt'altro f.:-mciullo. Anzi, non era piu f.:'lnciullo: era uomo . La sua mente, per natura svegliata, scoverse c penetrò un a.rcano di lacrime e di dolori, e si temprò a quello. La vita gli apparve per la prima volta con le terribili sembianze della fatalità che spinge l'uomo ad un misterioso destino, che lo gitta povero e disarmato fra l' urto impetuoso delle passioni. D.t quel giorno, Guglielmo sentl in sè stesso crescere gigantesca la forza della

GUGLIELMO OllERDAN 13 volonta. Bisognava lottare e vincere : vincere con le forze dell'intelletto, con le forze del braccio. Si dedicò assidu1mente agli studii. Sette anni passò alle Scuole Reali, e fu sempre il primo della sua classe. A'. èVa visto sull 'incerto orizzonte della sua esistenza un segno luminoso che gli additava b via - sua m~tdre. Riabilitare, santifica re la santa donna che lo aveya port ato ed all evato a prezzo di tanti dolori , ecco la missione ch'egli s'era prefissa. Gracilissimo di complessione fi sica, al punto da parer inetto a qualsiasi esercizio del corpo , volle diventar forte, com'era diventato istrutto. E riuscì: frequentando con t rasporto la palestra di ginnastica, colse il pri ·110 premio anche in questo campo, dove l'avev1 sp-into il suo forte, incrollabile volere. + Jf Jf Fu in quest'epoca e per quest 'occasione che lo conobbi . Fu di là che nacque l'amicizi:t nostra, che resterà come il più soaye ricordo e insieme il più cocente dolore delLt mia Yita.

GUGLillLMO OBERDAN Il nostro maestro di ginnastica - quel medesimo che ora espia in fondo d' 1 ~ 11 carcere il suo amor patrio - organizzava di tratto in tratto delle lunghe passeggiate coi più robusti de' suoi allievi. In una d i queste, notai Guglielmo Oberdan; e, trascinato d<.t qnell'ignota simpatia che riunisce i cuori, dimenticai la boria della mia superiorità d'anni e di studii, mi avvicinai a lui , e gli rivolsi parole più cortesi di quelle ch'ei solesse udire dalla bocca de' miei compagni. Poveretto! Era piccolo, era solo, era umile: la mia facile affabilità lo commosse alle lagrime: indi nacque la nostra amicizia che la morte tua, povero amico, non può troncare ! Ricordo sempre, come una lontan:t m:t rosea memoria, quella passeggiata. Si era in una quarantina e si percorre \'a b. via che mena lungo la spiaggia battuta del mare, da Trieste alla vicina Capodistria. Piove\·a a dirotta, ed eravam tutti molli fino alle ossa. Ma che c'importava del furor degli elementi ! Ci rideva in core la primave ra della vita, e la piena degli affetti ci usciva di bocca in canzoni patriottiche, in matte ed

Gl:GLIEUIO OBERDAN allegre risate. Quando passava un gendarme,. si alzava il tuono dei nostri canti, come in atto di sfid~l. Gug lielmo ed io eravamo le gole più resistenti della brigata. Che allegria, che gioventù! Chi pensava all'av\·enire? Eppure se qualcuno avesse potuto vaticinarlo! .. . Di qu ei giovinetti, alcuni gemono nelle carceri - altri mangiano il duro pane dell 'esiglio - chi trovasi in remoti lidi - chi riposa sotterra... E riposi tu pure, o mio povero Gugli elmo, che que! giorno, attaccato al mio braccio, ridevi cantando, e fra una strOhl e l'altra, più. con lo sguardo che con la parola, mi dimostravi la tua letizia per aver trovato finalmente un amico! Da quel giorno, più che a.mico, il poveretto mi fu fratello. In mia casa trovò il r esto di quella famiglia che il destino non aveva. voluto concedere alla sua ardente gim·inezza . Veniva tutte le mattine alle sei a svegliarmi. Si lavorava assieme ai doveri scolastici, poichè eravam diventati compagni di scuola. Ncmo (così lo chiamavamo, per abbreviazione di GJglielmo) non nuncava mai. Quante volte, nell' entrare in mia stanza: e nel trovarmi profondamente addormen-

16 GUGLIELMO OBERDAN taco, mettevasi al tavolo e, zitto zitto, l1ceva il suo dovere ed il mio. Poi, se, al destJrmi, lo rimprovera\·o perchè lusingava la mia po] troneria, rispondevami: - Mi faceya pena sYegliarti !. •. DormiYi ' b l COSI ene .. .. Non vi fu mai amico sl compiacente, sì docile, sl condiscendente ai capricci dell' amico, C}Uanto Oberdan per me. E non Yi fu mai amicizia sì salda e sì se hietta quanto la nostra. Eravamo, si può dire, sempre assieme. I colloqui, le gioie, i divertimenti, le scapat elle, i dispetti, i dolori - tutto era comune fra noi. Quante allegre follie, quante amabili sciocchezze abbiamo insieme commesso! Qualche volta però la gajezza cessava: il riso morivaci sulle labbra.... C'era sfuggita una parola, un accento sull'Italia, su Trieste, su l'Austria.... A quell'età - non avevamo ancora quindici anni - non sapevo bene il perchè di quell'arcano senso di tristezza che ci destavan quei nomi: la politica a mala pena si sapeva che fosse - pure ne' nostri cuori c' era come un germe latente, come una yoce segreta che ci diceva << ama », che ci susurrava « o-

GUGLlliLMO OBERDAN 17 dia. » Ma eran nubi passeggiere. La gaiezza ricompariva, sotto forma d'interminabili ca;icature di tedeschi e di croati, che io tratteggiavo col pennello e ch'egli contraffaceva mirabilmente con la voce. Fra i suoi coetanei aveva già allora .conquistata una posizione autorevole che venivagli da tutti riconosciuta . Ardeva di far qualcosa d' utile per gli altri. Un dì propose di formare una Societù di m:ttuo sJccorso fra studenti pove1'i. Aveva di poco passato i quindici anni e già sapeva radunare ad un santo scopo i suoi condiscepoli. Si fondò una piccola biblioteca ove s'andava a leggere libri nostri, in un:t cameretta nostra, con mobili nostri. Questa riunione di ragazzi che, cogli o boli mensili dei più agiati, sovvenne non raramente di libri e di vesti gli allievi poveri, dette poi ombra alle autorità che la soppressero. Guglielmo offrì pel primo tre volumi alla bibliotechina sociale : i suoi tre cari volumi che aveva ricevuto in premio alle .scuole. Erano I Promessi Sposi, Nicolò de Lapi, e t Assedio di Firenze.

.., 18 GUGLIELMO OBERDAN Passarono due anni. Con l 'inconscia leggerezza dell'adolescenza, m'ero appena informato della sua famiglia, de' suoi mezzi. Poi venne la riflessione. Il povero Guglielmo era stato adiestrato prima di m~ dalla dur.t fatalità alla lotta dell' esistenza. Per riuscir di minor peso al suo padrigno, dava delle lezioni a sessanta od ottanta centesimi - felice quando ne aveva molte. Portava ai suoi piccoli allievi un' affezione appassioIuta , gelosa , ardente. Amava sovratutto i bambini , pei quali il giovinetto maestro aveva una pazienza, una delicatezza, una finezza tutta femminile. Ricordo a questo proposito un aneddoto. Un giorno condusse con noi a passeggio due bambini, di sei o sette anni, tutto felice di farceli vedere ed ammirare. Noi ridevamo: ed un nostro compagno, più ardito o più leggiero, si prese giuoco di lui e de' suoi « marmocchi. )) Nemo arrossl d'ira, lasciò la mano degli allievi e menò un tal pugno al malcapitato che questi ci rimise due denti . I pochi denari che si guadagnava , non li spese mai inutilmente. Vestiva con la pitl modesta decenza. Privavasi di tutto,

GUGLIELMO OBERDAN dei più piccoli divertimenti per non spendere; non fumava , per non scit.tpare nel ub~cco un paio di soldi. Era del resto cosl orgoglioso, che forza umana non l'avrebb ~ costretto ad acc ett~re checchessia d~' suo i compagni. Io lo conosceva e non osai quasi mai offrirgli nulla. Il suo primo pensiero era per sua madre. A le i portava intatto il frutto de' suoi precoci sudori. Quel giorno era d'umor più gaio, di cuore più espansivo. Prelevava di tratto in tratto qualche piccola somm~t per · comperarsi dei libri. S.u quest'oggetto non ammette\"~ discussioni. Arrestavasi sempre, e stava immobile per delle mezz'ore, dinanzi le Yetrine de' librai, divorando cogli occ hi i volumi che lo adescavano con le copertine promettenti . I suoi autori prediletti erano Leopardi, Byron, Guerrazzi, Buchner c Darwin. Sovratutti amava il Manzoni . La sua anima mite, devota, angosciata, trovava, sembra, la s ua nota armonica nella rassegnazione cristiana, nella commovente delicatezza di questo scrittore. A sedici anni aveya letto sette volte tutte le opere del grande Lombardo, e se ne serviva sempre

20 GUGLIELMO OBERDAN per frequenti studii ed esercizi di lingua e di stile. Del resto, leggeva tutto, senza preconcetti, senza badare alle opinioni degìi autori. Adorava il bello, dovunque fosse, ovunque si presentasse. Più tardi aggiunse alla sua biblioteca alcune opere di Mazzini c le odi di Carducci. Queste ultime sapeva tu:t e a memoria. La s ua più cara soddisf.17ione era di legge re a me ed a qualche altro amico i brani più belli de' suoi scrittori. Quando si conveniva nella sua ferYente ammirazione , era raggiante. Leggeva bene assai, s'animava, e la sua voce prendeva un calore, un tremito armonioso che comunicavasi agli astanti. Un giorno (mi trovavo a letto malato) Nemo, che facevami assiduamente compagnia, mi lesse un brano deH' Assedio d i Firenze. Era quello che descrive Lt disperata resistenza e la ero ica morte di Francesco Ferruccio. Quando giunse al terribile no, terribilmente detto dal guerriero fiorentino a G:winana, interruppe la lettura. I singhiozzi gli tolsero la voce e pianse come un f.1nciullo. Parecchi anni dop o~ scrivcndomi d;t Roma sur una commemo-

GUGLIELMO OBERDAN 21 razione di Mentana, nella quale e i prese h parob, mi diceva: « Non sapevo più « quel che mi f:'lcessi. Salii sur un sasso e « parlai ... Non mi ricordo quel che diss i: « so che avevo le lagrime agli occhi e che « ad un certo punto esclamai: Noi, italiani, << esuli in terra italiana, alle esitanze della « diplomazia, rispondiamo il no di Ga\·i- « nana. Vogliamo guerra 1. •. - e in quel « punto mi ricorJai di te! » Lasciai le scuole nel I 875 e partìi d.t Trieste per dedicarmi allo studio dell'arte mLt. Pochi giorni prima di partire - pre - cisamente il 9 dicembre di quell'anno - fe steggiavasi modestJ.mente in mia casa il mio genetliaco c insieme mi si dava l':tddio delb part~ n ·: , Nemo era con noi - era di ventatiJ per me e per la mia famiglia, un fratello, un r:Glio. T erminato il .). ·anzo, dopo gli evviva di tutti i miei, l 'J. ~co mio mi venne ap- • presso e mi di ss ·: con mu certa esitanza : - Tutti ti F ' ' ·1.larono qualcosa; ma io son povero e non posso darti nulla.. . tranne

22 GUGLIELMO OBERDAN qualcosa che m'esce dal cuore e che tt dirà quello che vi st.t dentro. E mi porse un foglio , dov' era scritta una poesia. Volli ch'egli la leggesse - ma non vi riuscli. Pallido, Nemo tornò al suo posto, supplicandomi perchè la leggesSI 10. La riproduco quasi integralmente. Essa è per me una cara memoria e riveh che t esoro d'affetti fosse riposto in quel cuore i :np .u·eggi ~òile ! AL MIO ME:.JOTTI \ · ivca nu muto mi balzw a il core, Mesti, solingi m'appari.t l1 viti: M1 venne un dì, c allor fremè d'amore, Un palpito prov6 l'alm1 romit1. Là dove l'uomo ingentilisce e abbell.t L1 rozz.1 veste che gli diè tutun, Un'altr.l ritrov6 alma sorella, L'amò di quell'amor che eterno dur.1. Ah, qu1ntc volte h tu1 cimeretu Ci accolse in sè pensosi ed or giocondi, Or coll.t mente a gr,we studio astretti, Or col pensier vag:mte in mille mondi.

GUGLIELMO OBERDAN E così lieti l'uno dell'altro a hto Yag.tmmo insiem nell'elev:lte sfere: Ma presto scossi à.tl sogn1r be:tto Udimmo insièm la voce del dover~. E adesso p;1rti, te ne vai lonuno, O mio ?\1enotti, altro destin ti chi.1m1. F:.t nullo il lamentar, il pi1nto v;mo Di chi vive per te, di chi più t"anu. T'appresti a seguit:1re quel sentiero Che delh f.mu al tempio ti conduce : Volgi colà con l'ali del pensiero, Tutto è gioia, tutto è celeste luce.... Ma per giunger a questo p:1radiso Vcd:c,ti che quel sentiero si dip:1rte : E quinci tutto fior, tutto sorriso E quindi sterpi c !>pine in ogni parte.... R.unmenu il genitor che t"am 1 unto, La madre che pur sper.t nel dolorè n.ammentJ, o mio Menotti, l' amor S1r~to Che vive eterno ia seno alle tu·2 su::>;.-..;. E ancor ramment::t un'altro core, il mio, Che ognor compagno ti s:1rù di affetto, E che sospeso ai vanni del desio Sen volerà sul cor del suo diletto.

GUGLIEU.IO OBERDAN Il mio vecchio padre piangeva; le sorelle, la mamma piangeeano; e piansi anch' io, stringendomi fi·a le braccia quell'amico, quel fratello, che, pallido pallido e colle labbra fredde, mi baciava e mi diceva: - Scusa.... scusa sai .... non sono buono io di t1r versi ... ma ti voglio bene. Allora Guglielmo aveva I 8 anni. Quella poesia l'aveva scritta in mezz' ora, prim ~t di venire da me. Il poveretto si vergognava di presentarsi a f:1rmi gli augurii senza il suo regaluccio ! Partii. A lui mancava meno d'un anno di scuola per terminare il corso t ecnico ·inferiore e recarsi poi all'università. Durante gli otto mesi che durò la mia assenza, egli mi scrisse sempre e le sue lett ere erano piene di vivaci proteste di affetto, manifestate in quella forma calda, eppassionata, concitata, che caratterizza ogni suo scritto. Continuava a fi·equentare la mia casa, e colle sorelle mie , colla mia mamma parlava di me come del suo più caro amico .

GUGLIELMO OBERDAN Feci ritorno a Trieste e lo trovai come lo aveva lasciato: allegro, ingenuo, affettuosissimo . Fu in questa occasione che io eb bi qu:llche relazione con sua madre, una poyer ctta che idolatrava il suo Guglielmo e voleva un gran bene a me, perch' egli me ne voleva. Gli anni eran passati per entrambi 1 ed io yolli conoscere la madre del mio più int imo amico, l 'autrice di quel cuo r~ puri ssimo e generoso. E vole\'a pure accompagnarla in casa mia, perchè anche h mia hm i glia la conoscesse e l'apprezzasse, come ne aveva conosciuto ed apprezzato i l fìglio . Temevo sovratutto che Gqglielmo nutrisse il più remoto sospetto ch e l'inferiorità dell' educazione e la rozzezza dci p;mni fossero ostacoli alla nostra stinu ~ alh nostra cordiale amicizia per la madre s ua. Ben mi apposi. Quando gli 1112-nifesui il mio proposito, quando gli dissi : « Present:m1i a tua madre, che io condurrò in cts;-tmia, » a Guglielmo, poveretto, lampeggiarono gli occhi di contentezza. Accettò con entusiasmo e mi professò fra le lagrime , )·

GUGLIELMO OBERDAN la sua r iconoscenza. Adorava - è la vera parola - adorava « la sua vecchia >> - com' ei la chiamava; nè io poteva fargli maggior piacere che parlargliene di sovenye e prefessarle la mia rispettosa stima. Quando fu nota la tragica fine. del mio povero amico , vi furono giornalisti che non ebb ero rossore di scrivere che Obcrdan a Roma, « viveva in un ambiente çorrotto >> che aveva per amici persone « nule in arnese » ecc. ccc . A codesti sciagurati il dispr ezzo sarebbe l'unica meritata risposta. Ma siccome vo' dire tutta h verità (tutta quella che posso dire, s'intende) sul conto del martire venerato, debbo affernure che Oberdan a Roma godeva la stinu e l'amicizia di autorevoli patrioti, di egregi galantuomini, di onorande persone. Se è un t orto esser poveri , esser infelici, esser onesti, onesti jìnJ ed oltre lo scr11polo , e mangiare soltanto pane, ma pane guaè.agnato senza frode e senza viltà - ebbene, sì : Oberdan m·eva torto ! Le sue povere condi zioni non gli permisero mai il lusso di vestire con eleganza c con ricercatezza. Del resto l'animo suo

' . GUGLIELMO OBERDAN 27 sdegnava codeste b.assezze. Vestiva con estrema pulizia e decenza, ma del pari con grande povertà. Quando eravamo adolescenti, codesta sui povertà procurò a me ed a lui non poch e amarezze . Molti che mi si dicevano am1c1, e dividevano m eco magari i miei pochi quattrini - al \'edermi sempre a fianco suo, cessavano di frequentarmi ed anche d i salutarmi. s~ io li disprezzai' se non ·ebbi la f:1cile debolezza di seguirli in siffatte imbecillità, è certamente merito del cuo re generoso, del grande intelletto che mi .stava a fianco, e che mi dava tutti i giorn i l'esempio di tutto ciò che v' ha di pi~1 nobile e dt piu gentile sulla terra. N emo però .comprendeYa tutto ciò. Indo \· inava che la sua povera giacc.a - spe sse Yolte rattoppata - era la causa innocente di quei piccoli di sgusti - e nel suo sguardo io leggeva t utti gli str;Izii del suo cuore . . Nessuna meraviglia quindi se, sdegnando le Yiltà e le ipocrisie, quell 'anima fiera si rinchiudesse nel suo isolamento, frequentando chi de' suoi poveri panni non a\Te bbe doyuto arrossire. La Yiltà umana è sì

GUGLIELMO OBERDAN grande e sì impudente, che c'è ancora chi osa gittare come un insulto, in :fitccia agli onesti, h stupida frase: « uomo nule in arnese! )) Se sapessero codesti vigliacchi quanti cuori generosi, quante anime elette ed infelici conta l'emigrazione triestina cd istri:ma, quanti che sotto poveri panni noli hanno neanche di che sfunarsi, e pur non chieggono nulla a chicchessia! • • • Quando tornai da Milano, portava meco più distinto il sentimento dellJitalianità del mio paese, più vivo l'aborrimento per la ser ritl.1 straniera, più accent uato il desiderio della libertà. Il f:1nciu llo crasi f.1tto uomo, c nel suo cen·ello aleggiavano pensieri di cui prim:t non aveva avuto sentore. Duolmi di parlare ancora di me - ma debbo f1rlo parlando di Ncmo, poichè l'anima sua c la mia furono in quegli anni una cos:t sola. Di codeste nuove c più cocenti aspirazioni, di codeste pil.1 vive e più gagli arde insoffercnze, di codesti sogni pi l.1 completi e più belli, parlai spesso al povero amico

GUGLIELMO OBERDAN 11110. Fu come la scintilla ca duta sur una poh·eriera. Anch' ei covava da gn.n tempo gli stessi sentimenti , anch' egli sentiYasi traboccare il cuore per la piena degli affanni giovanili. Nel suo carattere, nella sua mente, nel suo cuore, codesti sentimenti salirono t osto ad un acutezza di cui le anime volgari non son0 suscettibili. Un mese dopo venne a dirmi ch' era ent rato in una societl segreta, il cui scopo era di t ener sempre desto, a Trieste e fuori, il s:mto amore dell'ItaliJ. e dell 'indipendenza. Era il principio della Yia che lo trasse al nurtirio ! Partì per il Politecnico di Vienna e si a3crisse alla scuola degl'ingegneri. Dopo brevissimo t empo s'era guadagnata la stima e l' affetto de' suoi compagni al punto che, benchc giovine tto, fu nominato non ram1_11ento se segretario o cassiere della società degli studenti italiani. Ma s' era dato tut t'uomo agli studii. Fece sin da' primi t empi sl rapidi progressi che ottenne sen za difficoltà un sussidio di

GUGLIELMO OBE RDAN 300 lire annue dal Municipio di Trieste. Ingegnavasi poi impartendo lezioni d' i:aliano. Qualche po' di danaro gl 'im·iava anche sua madre, che :fitceva sforzi eroici ed ignorati perchc il marito suo non se llè accorgesse. Gugli elmo, che lo sapeva, sentiva moltiplicarsi l' affetto per la pover:t madre sua. A me scriveva continuamente, affettuoso come per lo addietro; non mi diceva più < amico >> ma << fr::ttello >> e certo nel mio cuore ne aveva il posto. Nato nel I 858, doveva esse r e di leva militare nel I 878 . Profittando delle disposizioni delle leggi austriache, chiese ed ottenne l'anno precedente di poter [1re il volontariato d 'un anno. << Volontario! >> soleva di rmi : << che ironia! >> Ma aveva due vantaggi: primo, quello di t1r un anno solo di servizio invece di tre ; l'altro, di pot er differire la duri ssima prova fino a studii compiuti. L'anno fissato era il I 883. < Fino (( a quell'epoca, mi scriveva, c'e del tempo: << e chissà che invece dell'odiata divisa « non possa vestire qnella che tu sai !... » Nel I 878 scoppiò la guerra di Bosnia.

GUGL!ELMO OBERDAN È noto che in quell'epoca- quando piu vi\·a ardeva la quistione di Trento e Triest e - il governo austriaco mobilito anche b. divisione militare di Trieste , e fra gli altri il reggimento Weber 22°, nel quale erano iscritti i Triestini. Furono numerosissime allora le di serzioni : ricordo che, de' soli volontari d'un anno, ben ventisei rifiutarono di servire lo straniero, e presero la dnra via dell'esiglio. Guglielmo apparteneva al 4.0 bat t.:tglione d i quel r eggimento e trovavasi a Vienna. Intimatogli l'ordine di presentarsi in casenna, fu preso insieme a' suoi compagni ed in viato a Trieste, ove doveva esercitarsi nel maneggio delle armi, per raggiungere poi il teatro delle operazioni. Un dl del giugno di quell'anno in(msto, si picchio alla mia porta. Corro a.J aprire. È Nemo vestito da soldato austriaco. Mi si getta al collo e stiamo a l ungo abbracciati senza dir nulla. Finalmente si scioglie da me, si pianta in posizione d i attenti, e, parodiando il gergo de' t edeschi> grida ridendo: - Pon czonzo) senor l

GUGLIELMO OBERDAN E mi a.bbracci6 ancora , e mi si se-lette .acc:mto, chieden1o di me, della mia f.1mi- ~lia-, dei miei studii. AYe\·a dimentic.1~o '-' tutta la sua tristezza - e ne aYe\·:t unu! - per rì\·ivere meco nel passato. Quell' affettuoso colloquio fLl un poema di dolcissime cose. I ti ricordi? ti rammcuti? -fioccavano come h gragnuola. Tutti i begli ann i passati nell'adol escenza gli apparvero improvvisamente al pensiero. La scuola, i professori , il caffè, le lunghe passeggiate, i sc:>gni, le speranze , gli amoretti, le simpatie, le risse, le scappatelle, tu tt e insomn11 le mille memorie, sepolte nel cuore, resuscitarono, e per lunga pezza scordammo io e lui la divisa ~he inlossav.t. Mi diffondo su ques t' episodio , pcrchè fu quello che dètte l'ultima direzione alla sua breve es istenza. Si giunse finalmente a parlare de' cas i suoi. Malediceva il destino che l'obbligava a servire una bandiera odiata. Prorompeva in islanci impetuos i contro la progettata impresa di Bosnia. « Io non andro mai, gridava, a combattere contro un popolo che pugna per la sua libertà; non potr6 nui esser . complice di siffatto as-

GUGLIELMO OBERDAN ") ") ) ) s :tssmw. >> E piangeva di rabbia contro l'ingiustizia, contro la prepotçnza che impcLt sovran1 nel mondo. Era bello i 11 queste esplos ioni dell'aninio suo: gli occhi gli scintillavano, le guance, per, solito pallide, gli s'intìamnuvano, e levandosi la blusa militare, h ge ttava a terra, la calpcstaYa, e l'insult1va ferocemente. AYcvo indovinato h sua fernu intenzione di disertare. Quei giorn i, a Triest e, regnava un:1 cupa costernazione. I g iovani non ~n·cvano piu allegrie , pens:mlo alh sorte di t.tnti compagni, obblig,tti a scegliere fra il supplizio d'una guerra ingiusu e le durezze dell'cs iglio. Tutte le mattine ci suss urravamo all' orecchio: << Sai ? stanotte è partito il tale: stas era p:1rtiri il t al altro. >> Molti 11on attesero b chianut a sotto le armi , e fuggirono prima. La polit: ia aveya moltiplicato le su ~ mille braccia. Alla s tazione ferroYiaria, alle b:trriere delia città , agl'imbarchi dei piroscafi, dappertutto formicobv:mo le spie e gli agenti di polizia. Codest' assidua vigilanza raddoppiava nei gioYani colpiti dalla chiama l'abilità, l'astuzia, le risorse. De ' disertori parecchi cor-

34 Ct"GLJELMO ODERDAN sero i più gravi pericoli, le più strane e romanzesche avventure: nessuno cadde in mano della. polizia. Non nuncò h nota comica in mezzo a.l pianto di t.tnte ftmiglie. Parecchi giovani, rinchiusi in un:t ca.serma. , ne scava.lcarono di notte i muri e si posero in salvo: l'indomani , un Llttorino port:tva al colonnello del reggimento le loro uniformi colle rispettive carte da Yisita , su cui ciascuno aveva aggiunto qualche motto più o meno pungente. Obcrdan fu dei primi a giocare coraggiosamente l'ardua pa.rtita. Una sera - sul principio del luglio - venne a trova.rmi. Era stanco, sfinito dalle dure mano re cui era sta.to J <; tretto quel dl. Dopo aver salutato seccamente i miei, si pose a sedere in un angolo , come oppresso da. un gr.rve p~nsiero. }Joi si giuoca.ya alle carte. Dopo mezz'ora di silenzio, Nemo s'alzò, venne vicino a · me e prese parte al giuoco. Fu d'un'allegria troppo vi va perchè fosse naturale. Di- ·• vertivasi a metter a soqquadro il tavolo, a disturbare i giuoc:ttori, a parodiare comic:tmente l' uno o l' altro della brigata, a ftr

GUGLIELMO OBERDAN 35 sparire le carte - e simili corbellerie. Non lo avevo mai visto ridere di sì gran cuor e. Ero un po' sorpreso, e stavo cbiedendoa1i che mai avesse l'amico mio, quando, a un punto, trovò modo di susurrarmi all' orecchio : - Vai nella tua stanza: ti raggnmgo subito. Andai e lo attesi. Appena giuns~, chiuse la porta: era serio e pallido in volto. - Sai che il mio battaglione parte ? Quando? Posdomani . Che pensi di l1re ? Disertare. Ri 8et ti bene a quel che fai: bada , b ' c u1u cosa sena... Al m:o posto, che far esti t u? .. - Non so.. .. diserterei ..... ma per m"' gli c un ' altro pajo di maniche: pensa alla t ua pos1zwne.... - Ho già pensato ed ho deciso - parto . Le nostre mani s'incontrarono, e si chiusero forte forte. Quando uscimmo , ave- \'amo le lagrime .tutti e due. Si tornò nel salotto, si riprese il gmoco,

GUGLIELMO OBERDAN ridendo e scherzando come pnma. N emo non traJ l neanche allora l'emozione che gli gonfi:tva il petto. L ' indomani baciò più lungament e dell ' usato sua madre. Fe ' mostra d ' uscir di casa: invece rientrò nella sua stanza, smi se l'unifo rme, indossò vesti borghesi e, senz' esser visto d 'alcuno, usd di cas~1. Non Yi t ornò più. Q uattro giorni dopo arn \'O 111 Ancona. AYeYa seco 90 lire - tutto la sua fortuna! Ripart l immediatamente per Roma , e a Roma rimase qu:-~ s i fino agli ultimi giorni del Yiver suo. Fu d ura assai la vita all'esule, giovane, solo, e s.:onosciuto. Era povero davvero Guglielmo, benchc non avesse mai chiest o nulla a n~ssuno . Rammento un fatter ello c he riprova la sua onestà - e che, benc hè piccolo e inconcludente, m'c caro come t utto ciò che riguarda il mio sventuratissimo amico. Quando fuggi da Trieste, non aveva seco neanche un vestito borghese completo. A\·eva indossato la divisa militare a Vi emu,

Gt.:GLIELMO OBERDAN 37 ne più l'av.eva smessa. Accettò, nella fr c:o della partenza, le vesti offertegli da un :1mico, ma le scarpe non gli andavano bene, nè poteva partire con gli stivalacci da soldato. Ricorse, esitante) ad una gherminella - poveretto! l'unica forse di tutta la sua esistenza! Si recò da un altro amico , certo B. e gli chiese in prestito le scarpe « pe r f.1re (diceya) una Yisita di riguardo. >> L' amico gli ele diede e Guglielmo partl con que Ile. Giunto ad Ancona la sua prima cura fu di scrivere all'amico una lettera chiedendogli infinite scuse per quello che aveya fatto e dicendosi pronto a rifondergli i l danno; - e ci yolle non poco da parte del B. per indurre Gu glielmo a smetterne il pensiero. Giunto a Roma, e stretta amicizia con gli altri esdi triestini ed istriani , pensò <lÌ casi suoi . BisognaYa yÌvere. Le premure d\u amico che gli portò subito ua gra:1 ben r.:! (e chi non gliene voleYa ?) l'indussero ad accettare la carità. del governo, che gli pass:t\·a, come es is liato, 30 lire al mese - p cl :ramite umiliante della questura. Po i si . LLtte a tutt ' uomo in cerca d'un impiego.

GUGLIELMO OBERDAN Lo trOYÒ infatti come disegnatore nello studio d'un professore dell' Università romana, che al giovane emigrato si affezionò moltissimo. Guglielmo guadagnavasi cosl altre sessanta lire mensili. Al principiar dell'autunno lo riprese h passione dello studio. Le scienze, le lettere, le sue care matematiche, per le quali sentì sempre vivissima inclinazione, lo allettayano co' tanti istituti della capitale. Decise saggiamente di proseguire gli studi alla Scuola d'Applicazione a S. Pietro in Vincoli, e buscarsi il diploma d' ingegnere o di professore. Così fece. Le sue lettere d 'allora - e mi scrivev;1. spesso - spiravano la massima felicità. Studiava assiduamente, la~:or:.wa con pari assiduità e misurava strettament e le sue spese a' suoi guadagni di noYanta lire mensili. Era ricco ! Ma questo lieto stato di cose non durò a lungo·. Alcun tempo dopo, l' ingegnert non ebbe più bisogno di lui, per modo che restò con 30 sole lire al mese. Fu un gran colpo, pel povero Guglielmo. S'ingegnò in mille modi, con dar lezioni , con mangiar poco e male, con l'abitare in una camera

: GUGLIELMO OBERDAN 39 con due o tre compagni, per spender meno - fece insomma quella Yita dalla quale quando si esce vivi , sani di m ente e di corpo , si può dire di essere uomini, di aver sofferto, di aver conosciuta la scuola terribile della vita. Spesse volt e io aspettava lungamente sue nuove e finalmente le riceveva con la spicg.lzione del ritardo. Il poveretto non aveva i 5 soldi · per affrancare L.1 lettera; e non ci fu mai modo, in onta di tutte le mie insis tenze, per indurlo ad im·iare una lettera non affrancata. Come offrirgl i , anche pot endo1o, del danaro ? Che lettere erano mai le sue ! Non pens:n-a, non Yiveva che per la sua Trieste . Era quello l'ideale puri ssimo per cui egli non si lagnava della miseria, non sent iv.t tutta la sua sventura, per cui trovava di poter YÌvere, mentre, anzi che Yivere cosi, un animo come il suo , privo di quell' ideale, mille \'olte ayrebbe preferita la mort e. Pareva, lcggendolo, che n ulla tu rbasse la s ua mente all 'infuori del pensiero della pat ria sua.. .. e forse quando mi scri\·eva m·rà avuto fame !

GUGLIEL:\10 OBERDAN Tutt:tvia trovò modo di f:tr u na spesa, su cui le anime Yolgari sorrideranno di compassione. Ri uscl cioè a r:-~ggranelbre, soldo per soldo , b somma necessaria a comprarsi una camicia rossa cd un fucile Vetterli, col quale soleva assiduamente esercitarsi . Corr~va il I 878 e in tutti noi era nat:l c cresciuta la spe ranza d'una sped izione armata, capitanata da G.tribaldi, nelle nostre regioni. Guglielmo ve ne inrlava spesso, con fede, con entusi:tsmo : le sue lettere di quel tempo erano addirittura inni alLt gue rra! Il ritratto che unisco a queste memorie è quello ch'ci mi mandò sci mesi dopo il suo arrivo a Rom:t. Era dedicato a mc cd alla mia famiglia; ed a tergo leggcvasi la seguente affettuosissim:t letter:t : « Te f ortmzata zmagzne , cbe veder t' è (( dalo a!llici tanto diletti - n cmo )) Era pallido,. magro e serio in volto. Una corta barba bio:1da gl ' incornici~va le guancic. Piu tardi, a Roma, si tagliò la barba. Oimè! Qu~mdo sali il Calvario del suo martirio aveva ancora la barba, cresciutagli

GUGLIELMO OBERDAN nelle fredde solitudini del carcere. È quest a: dunque la fedele imagine del giovine m;trtire che gettò con tanto eroismo la t esta nell'ardua partita impegnata col destino l Benchc :1on avesse fatto un corso di studi class ici e benchè con particolare amore si fos se dedicato alle matematiche ed alle scienze esatte, pure il mio povero amico,. coll'energiJ. dei forti voleri , si procurò una seriJ e profonda coltura letteraria. Le lettere , specialm~nte la poesia, esercitarono· sempre un gran fascino su di lui . Legge,·a. anche a Roma con assiduità. ed i suoi scritti fac cv ansi tutti i giorni letten.riamente più eletti e più nutriti. Ho riferito in principio di queste memorie una po~s ia ch' ei mi donò a diciott' anni. N on era certo gran cosa: ma Nemo era poe ta, se non nella mente- ,. nel cuore. Ramment o che alle Scuole T ecniche soleva · con grande f:1cilità ridurre in n~ rs i dei t eoremi d' algebra o di trigonometria , che diffondeva poi ai suoi compagni pereh e li apprendessero con maggior agevolc.zza. A Roma cont inuò ed a ::crebbe la sua coltura letteraria. Compose parecchi (! coser ell e lodate dagl'intelligenti : qur 4

GUGLIELMO OBERDAN trascrivo una sua lirica, dalla quale traspiu una mite e pensos~ malinconia. È intitolata : Il lamento dell'esule: Mesto, m'avvolge il zeffiro giocondo E il puro cielo e il balsamo del fiore Quand'è quell'ora che l ontan dal mondo Tacitamente mi sospira il core. Ed è a quest'ora che il pensier vagante Sen vola sovra l'ali del desio E mi trasporta le memorie s1nte Che lunge ahimè racchiude il suoi natio. O patria, o rocche agresti o verde piano Che ognor vedete i cari del mio core, Parlate lor col vostro senso arcano E lor recate i miei sospir d'amore. Voi lor direte che lo spirto incerto Sen sta dubbioso e mesto li rammenta, Che da lui fugge della p1ce il merto E si riduce infausto a morte lenta. J'{EMO. L'autore dei Versi alfAmico non si riconoscerebbe più in questa poesia cosl appasswnata.

GUGLIELMO OBERDAN 43 Di Nemo possedeva grandissimo numero di scritti e di poesie. Di queste, che sarebbero ora per me care e preziose melnorie, non mi restano che poche cose. Le incessanti vessazioni della polizia austriaca mi tolsero quei ricordi, quando non m'obbligarono a bruciarli da me stesso. Una lettera ch'io gli scrivevo da Trieste mi procurò il carcere. Fui condannato per- .chè gli diceva che accettavo l'incarico di mandargli delle corrispondenze per la Stella d elrEsult e di cercar soci e denari per una società di mutuo soccorso fra gli emigrati triestini. Nelle molte perquisizioni fattemi in quell'epoca dali~ polizia, fu sequestrata una fotografia di Nemo, con questa scritta : « ConYinto che la nostra amicizia sia « indistruttibile come l'odio all'esecratissimo (< oppressore » ecc. ecc. Tutto ciò mi fe ' condannare - ma piu che tutto l'esser io non amico, ma fratello del povero Guglielmo. A Roma, ripeto, visse poverissimamcnte. Cessato il lavoro dell'ingegner C. si man-

44 GUGUELMO OBERDAN t enne col dar delle lezioni. Un anno f:1,. occupava le ore libere come disegnatore straordinario al ministero d'agricoltura c commerciO . Le 3o lire del governo erano la soL t fonte sicura di vita. Ma anche le 30 lire furono soppresse. Il governo italiano credette di non poter più beneficare gl'Italiani esuli in I talia, e Cairoli lasciò compiere l'atto magnanimo ! Quanti infelici creò quel funesto, sciagurato decreto l Quanti imprecarono quel giorno - quanti, oltre al cruccio della patria, della famiglia lontana, sentirono quel giorno il morso della fame !... Rimasto pressochè indigente, Guglielmo risolvette , per la prima volta, di pregar sua madre ad aiutarlo. La poveretta fece tutto quel poco che potè e l'aiutò. « - Poi - diceva - quando sarà pro- « fessore, penserà lui a me, e mi fuà an- << dar in lusso come una signora. >l Io mi recava spesso a trovarla: c quel dl era festa per lei. Le parlava del suo Guglielmo, le diceva: «È un gran bravo ragazzo: diventerà qualche cosa di straordi-

GUGLIELMO OBERDAN 45 nano. » - Chi m'avrebbe detto che sarei s tato profeta, per il caso terribile che in realtà lo rese immortale l Appena egli partl disertando le file dell' esercito austriaco, la povera donna venne in casa mia , domandandomi se io ne sapessi qualche cosa. - La consolai proinett endole che nulla di male sarebbe accaduto al suo figliuolo, che anzi in Italia, più che a Vienna od in altri paesi, n(ln essendo distratto da nessuna lotta politica, Nemo avrebbe avuto campo di distinguersi e di procurarsi presto quella posizione a <:m agognava. La poveretta s tava ad ascoltarmi, e beYeva con gli occhi le mie parole . Lo adorava, ripeto, lo adorava con la rispettosa ammirazione della mente incolta davanti al talento. Ogni tanto diceva= « Sì, ha molto ingegno il mio ragazzo= <c lo ha detto sempre anche il catechista. > E si consolava= e quando aveva una s ua lettera, correva da me a mostrarmela - dicendomi - « Vede che mi vuoi bene l » Povera donna l

GUGLIELMO OBERDAN Nemo non ebbe mai un'amante. Quel cuore sl ricco di affetti, sl suscettibile alla bellezza, alla gentilezza , alla virtu , si t enero e sì espansivo , non provò mai una forte passione. Ma forse m'esprimo male. Certo egli a•nò: ma non volle mai annodare una relazione amorosa, foss e pure platonica , non volle mai confessare a se stesso che il cuor suo aveva sete d'un vincolo , contro cui la sua ragione ribellavasi. La sua conscia ritrosia, quella specie di ombrosa solitudine che eragli consigliata dalla povertà e dalle condizioni sue, contribuirono forse a tenergli il cuore libero da impegni. Eravamo un giorno riuniti - sulle soglie della giovinezza - parecchi amici; e qualcuno osservò che una cara e distinta giovinetta, nella cui casa Guglielmo frequentava desiderato e ben accolto, sembrava provasse per lui un sentimento speciale. oc La tale è innamorata di te, caro Nemo n gli si disse ridendo. Ei diventò rosso rosso; tacque alqu~nto e poi mormorò con un accento indefinibile di tristezza:

GUGLIELMO OBERDAN 47 - Chi vuoi che s'innamori di me ?... E sornse. Compres i agevolmente quanto aveva inteso dire con queste poche parole. Egli amava davvero quella giovinetta - ma non osò mai dirlo nonchè agli amici, nonchè a me, neanche a se stesso. Reagiva fin d' allora contro ogni affetto che potesse distrarlo da ciò ch' egli considerava come lo scopo della s ua vita. Di quella sua t enera amica d'infanzia serbò sempre un cocente ricordo : e quante lotte avrà dovuto_subire e vincere con se stesso per soffocare la voce del cuore ! Dopo la sua partenza da Triest e, non le diè mai segno di vita, per quanto fo sse certo che le sue lettere erano· attese ansiosamente . Ella un giorno gli scris-· se - . dopo quattro anni di separazione - rimproverandogli dolcemente il lungo si-. lenzio e pregandolo di darle sue notizie e di farle sapere che non s'era affatto scordato di lei. Mostrò commosso la lettera agli intimi amici. - Che debbo rispondere ? chiedeva triste e perplesso. Poi, ribellandosi ancora al sentimento da cui si sentiva mosso, conchiuse: - ((No, ho bi-

4-8 GUGLIELMO 013ERDAN .sogno di serbarmi libero. Non le scriverò - assolutamente no. » E sebbene gli amici lo esort:tssero ari- ·spondere, non foss ' altro per cortes i;;~. , ei resistette con un'energia. di cJ.rattere t anto _pÌLl rara , quanto piu soave doveva sembrargli, nelle durezze dell 'esiglio, la parola .e il conforto della giovinetta amata. Fu questo il solo e semplice romanzo ~della sua vita. Altre donne non amò m1i. Accanto ad ·esse, anzi, faceva sulle prime la figura del .collegiale. Era timido, impacciato e confuso. .Ma cresciuta un po' la confidenza, parlava ·volentieri , allegro, arguto, finissimo di mo- ,di, senz'ombra di smancerie o di civetti- :smo. Il suo discorso era piacevolissimo ,per tutte le donne che lo udivano. Ma egli non sapeva che fo sse l'arte di far la corte. -S'offendeva se qualcuno ne lo accusava. Arrossiva quand·o un amico lo sorprendeva _a contemplare con troppa insistenza una :figurina femminil e. Nei molti anni che ab- .biam passato assieme non seppi mai di :sue relazioni amorose. A Vienna, quand'era studente, divertivasi mezzo mondo alle spal-

GUGLIELMO OBERDAN 49 le d'una vezzosa cassiera di caffè che s 'er~t invaghita di lui. Col pretesto di insegnarle delle frasi italiane, le metteva in bocca le più matte stramberie del mondo; e rideva a morirne. Questa relazione durò pochi giorni e quando finl ei ne fu beato. In. tutte le dimostrazioni fatte a Rom:t a favore delle terre irredente, il nostro martire prese parte attiva. Egli me ne dava fino a poco tempo fa esatte informazioni e sarei ben felice di poter riprodurre qui alcune delle sue lettere come t estimoni del g rande e generoso animo suo, ove, come g ià dissi, non fossi stato costretto a distruggerle. Mod~sta , laboriosa ed intell ettuale era la sua vita a Roma. Aveva preso, con gli studii, una grande dimestichezza con le memorie e rovine del mondo antic0. Uno <le' suoi più graditi passatempi era di recars i a Montecitorio per veder ~ gli uomini grandi :. com'ei li chiamava. Cavallotti, Cairoli, Crispi, Majocchi gli erano fra tutti simpatici. Stava per delle mezz'ore fuori del caffè_del

GUGUELMO OBERDAN Parlamento contemplando il poeta Prati, ch'ei chiamava 4: quel caro vecchio. » Abitò a lungo assieme ad un amico affezionato. « Alla sera, mi scrive questi, noi si leggeva Giusti, Berchet, Carducci. Alle dieci in punto, Guglielmo riponeva i libri di poesia e si racchiudeva ne' suoi studii e ne ' suoi calcoli di matenutica. Io pigliavo presto sonno: e spesso m'accadde, svegliandomi alle cin n ue, di vederlo an- ...., , J. cara al tavolo tutt'assorto ne'suoi calcoli.>> Giuocava assai bene e volentieri agli scacchi. Adorava la mus ica, e suonava meglio chç Ja dilettante il flauto, che aveva appreso ' quasi interamente ' da se. Ne' giorni di cattivo tempo, invitava ridendo, qualche amico, al « gran concerto; » e faceva passare a tutti un paio d'ore amenissime leggendo delle poesie, giuocando agli scacchi, suonando il suo strumento e conversando con la vivacid e l' acutezza ch'ei sapeva porre in ogni suo detto. Fra gli esuli istriani, anzi fra la gioventù universitaria romana, si distinse subito per prontezza d'ingegno ed energia di volere. Il contegno del governo italiano, tanto di-·

GUGLIELMO OBERDAN 51 mentico della patria nostra, lo fece repubblicano , o quasi. Ma vagheggiava una repubblica guerriera, un'Italia forte e gagliarda , una nazione libera e felice entro tutti i ~uoi confini. Entrò nel circolo universitario democratico e ne fu il portastendardo. Era freddo e timido , di consueto : ma diventava altr' uomo quando parlava della sua Trieste. Amava parlar spesso nel dialetto nativo. Si doleva molto e di frequente di aver un cognome tedesco. << È uno dei miei maggiori crucci » scrivevami. E infatti a Roma aveva pregato gli amici di chiamarlo Ober-dan, senza la le, e andava in collera se non si esaudiva il suo desiderio. Una delle sue frasi piu fr equenti era questa: << La causa di Trieste ha bisogno << del sangue d' un martire triestino. n E tenne eroicamente la promessa. Prese parte a molte dimostrazioni , e l'ambasciata austriaca di Roma, per mezzo della propria polizia, suppongo, era informatissima de' fatti suoi. Quando fu arrestato, essa inviò al tribunale militare di Trieste informazioni diffuse sulla sua vita a Roma, dipingendolo come uno dei più fanatici << ir-

GUGUELMO OBERDAN redentisti. )) Nella commemorazione di Villa Glori del I 879 , parlò per la prima volta in pubblico: e l'accento fremente di quel giovinetto pallido dagli occhi ardenti fe' correre un brivido fra la folla. I delegati di questura non osarono interromperlo. Quando fu per l' ultima volta a Roma Garibaldi , Oberdan gli venne presentato , assieme ad altri triestini, dal compianto generale Avezzana, che voleva molto bene all'amico mio. Garibaldi raccom~mdò a tutti l' esercizio delle anni. Nemo me ne diè contezza con una l ettera entu9iastica. Ne i funerali di GJri baldi, Oberd1n portava la bandi era di Tries te abbrunata. Erale stato accordato un posto d' onore : dietro il feretro , subito dopo la rappresentanza della municipalità parigina . Al passare davanti piazza Colonna , alzò il capo e ved endo su' balconi del p4llazzo Fia:1o l' ambasciatore austriaco e il personale dell' ambasciata, levò lo stendardo e lo scosse minacciosamente come in ~tto di sfida. I poggiuoli si spopolarono immediatamente.

GUGUELMO OBERDAN 53 P<trtito per lontani paesi e senza precisa destinazione, dovetti per qualche po' di tempo interrompere la mia assidua corrispondenza con Nemo. Gli scrissi dall'America - ed ei mi rispose tosto. Fu l'ultima let- . t era che ricevetti dal mio povero fratello ; porta la data di Roma 2 5 e 26 agosto I 882 : e fu forse delle ultime ch' ei scri sse. n terribile destino già lo aveva avviluppat o nell~ sue spire e lo spingeva sulla via dove incontrò la morte. La lettera è lunga dodici pagine. Vorrei riferirla tutta - certo di comun:care a tutti i lettori la commoz ione . che destò in me, e che desta ancora oggi, al rileggerla. Ne stralcio alcuni brani. Questi mostreranno che t esoro di affetti delicati, vivi, appassionati celasse il suo cuore. Della seconda parte, che a me rimase alquanto oscura , non compresi il pieno significa":o se non quando ebbi no t izia della t erribil ~ catast rofe . Ecco i brani t estuali della k : tera :

54 GUGUELMO OBE~DAN Roma) 25 agosto 1882. » Amatissimo fratello mio , « Sto per leggere una tua!. .. Possibile!. .. Eppure un giorno o l'altro bisognava pure che ci decidessimo - tu ed io - a rom- . pere un silenzio che durò.... non saprei neanche dir quanto! « Quale impressione -quale dolce conforto l'udire tue carissime parole dopo tanto tempo! « Vedi, Menottuccio mio, io la tua lettera non la lessi peranco - so che c 'è all'Università, che mi viene da te, che da p:uecchi giorni m'attende e, rabbiosamente, devo attendere fino •a domattina per ritirada. << Che mi dirai? - Intanto io non posso dormire, per tante ragioni; ho la mente ingombra da un:1 gran folla d'idee, il cuore mosso da tanti sentimenti!. .. E in tali condizioni odo la tua voce, mi veggo dinanzi le tue care sembianze! Oh sì; quali si siano le vicende, comunque volgano i t empi - si vede, amico mio, che i nostri cuori son sempre quelli d'un tempo «---""

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