Menotti Delfino - Guglielmo Oberdan

16 GUGLIELMO OBERDAN taco, mettevasi al tavolo e, zitto zitto, l1ceva il suo dovere ed il mio. Poi, se, al destJrmi, lo rimprovera\·o perchè lusingava la mia po] troneria, rispondevami: - Mi faceya pena sYegliarti !. •. DormiYi ' b l COSI ene .. .. Non vi fu mai amico sl compiacente, sì docile, sl condiscendente ai capricci dell' amico, C}Uanto Oberdan per me. E non Yi fu mai amicizia sì salda e sì se hietta quanto la nostra. Eravamo, si può dire, sempre assieme. I colloqui, le gioie, i divertimenti, le scapat elle, i dispetti, i dolori - tutto era comune fra noi. Quante allegre follie, quante amabili sciocchezze abbiamo insieme commesso! Qualche volta però la gajezza cessava: il riso morivaci sulle labbra.... C'era sfuggita una parola, un accento sull'Italia, su Trieste, su l'Austria.... A quell'età - non avevamo ancora quindici anni - non sapevo bene il perchè di quell'arcano senso di tristezza che ci destavan quei nomi: la politica a mala pena si sapeva che fosse - pure ne' nostri cuori c' era come un germe latente, come una yoce segreta che ci diceva << ama », che ci susurrava « o-

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