Discorso del cavaliere Emilio Visconti-Venosta ministro per gli afffari esteri

CAMERA DEI DEPUTATI Tornata del 12 maggio 18G4 DISCORSO DEL CAVALIERE EMILIO VISCONrfi-VENOSTA ftliNISTRO PER GLI AFFARI ESTERI SULLE INTERPELLANZE MOSSEGLI INTORNO ALLA POLITICA ESTERA l TORINO )

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'•. . . Signori, ' . \ La politica estera del Ministero non può.esser'e, come diceva l 'onorevole mio amico Guerrier~. p.na politica d'inazione, altrimenti essa non rappresenterebbe la politica della maggioranza di questa Camera, della quale abbiamo l'ambizione d'essere gl'interpreti fedeli . Gli onorevoli interpellanti che hanno ieri parlato da questo lato della Camera (Accennw.ldo alla sinistra) hanno accusato la politica del Ministero d'avere abbandonato il grande problema nazionale, d'.aver posto in obblio la causa di Roma e di Venezia. Signori, nessun più grave rimprovero ci si poteva fare, ma temo che gli onorevoli La Porta e Miceli abbiano scambiato per freddezza, per inazione, per diserzione un sentimento che io nutro, e che i.discorsi ch'essi ieri hanno pronunciato non hanno valso· ad attenuare nel Ministero , ed è, signori , un profondo· scetticismo sull'efficacia dei mezzi di cui gli onorevoli i

4 interpellanti. si servirebbero per raggiungere quell'int ento che ci è pure ~omune. Il nostro programma è quello che non distogliendo mai nè l'opera, nè il pensiero dal supremo intento nazionale, pure tien conto della reciproca influenza che esercitano le une sulle altre le questioni italiane e le condizioni pratiche della politica generale, le condi7.ioni del~a situazione europea,. Por giùclicare adunque la nostra condotta, è d'uopo considerarla sotto un doppio punto di vista: sotto il punto di vista del supremo intento a cui. essa tende, dei principii che la debbono informare ed anche sotto il punto di vista della situazione generale in cui essa ha dovuto svolgersi. Per questo riconosco, signori,' che · l'onorevole La Porta, rivolgendomi delle domande categoriche e relative a questioni che hanno in questo periodo occupato l'Europa, si è posto sopra un terreno su cui mi è grato il seguirlo. L'onorevole interpellante mi ha chiesto: avete voi trattato per Roma? Su quali basi avete trattato e con quale risultato? In una discussione, che la Camera ricorda, il Ministero ha avuto occasione di dichiarare quali circostanze avessero fino allora determinato la sua condotta nella questione di Roma; ha avuto l 'occasione di dichiarare che era ben lungi dall'animo suo di erigere in sistema quella r iserva che allora ci credevamo imposta dal] a tutela dei nostri interessi e dalla nostra dignità; che ci r iservavamo di riprendere l 'iniziativa di proposizioni te11denti all'applicazione del non in- •

5 tervento nel ter ritorio romano, ma che intendevamo anche di essere giudici del momento opportuno per farlo. In quella discussione, signori, apparve evidente l'opinione di quest'Assemblea, poichè quantunque la nostra çondotta fosse diversamente giudicata, approvata dagli amici del Ministero, biasimata da' suoi onorevoli avversari, tutti gli oratori, purchè appartenessero f!,lla grande opinione moderata del paese, si accordarono nell'indirizzo generale a darsi alla questione romana. Tutti riconobbero che questa quest ione poteva essere suscettibile di una soluzione graduale; e che se, come test è accennava il m_io onorevole amico il deputato Guerrieri, fra il Governo d'Italia ed il Gov~rno di Francia esiste una differenza di vedut e, dirò anzi una differ enza di convinzioni intorno all'avvenire del potere t emporale del Pontefice, intorno alle vere ed efficaci guarentigie che questo potere temporale può dare alla sua indipendenza religjosa, però il Governo francese avev~ più volte, e ne' suoi documenti diplomatici, e per bocca istessa dell'imper-atore, riconosciuti dei principii, assentiti dei diritti, indicate delle transazioni le quali potevano servire di base ad un accordo. "Diffatti, o signori, il Governo francese ha p"iù volte dichiarat o e tuttavia dichiara, che l'occupazione francese a Roma è un fatto anormale il quale solo si spiega per la straordinaria importanza degl'jnteressi che toccano da vicino la Francia, e pei quali la Francia domanda delle guarentigie. Il Governo francese ha riconosciuto che Roma non è urla manomorta della cattolicità (Bravo!), che il Go-

6 verno pontificio non può pretendere di rimanere al di fuori delle condizioni normali di tutti i Governi civili, e che esso non può dirsi veramente indipendente senza il libero consenso·de' suoi sudditi. Nelle mie comunicazioni ufficiali non ho mancato di riassumere ·i risultati di quelle discuss~oni , di dimostrare quali basi esse potessero offrire per degli utili negoziati. · In conseguenza, quando, rispondendo alla proposta francese del Congresso ristretto, noi ebbimo un'altra volta l'occasione di affermarè il diritto di Roma ed , il diritto di Venezia, non esitammo a dichiarare che per Roma eravamo pronti a prender~ per punto di partenza delle trattative la ~ettera dell'imperatore del 20.maggio 1862, in quanto che in quella lettera, o signori, era implicitamente contenuto il principio del non intervento ed il principio del libero assenso delle popolazioni romane. ' Ma, o signori, al punto in cui è giunta oramai la que13tione romana, dopo quanto se ne disse e se ne scrisse tra i Governi, dagli oratori parlamentari, dai pubblicisti, i negoziati relativi all_a questione romapa non possono seguire che un solo ·m.etodo, un solo sistema. Essi non possono entrare in quello stadio ufficiale che si riassume in documenti destinati alla pubblicità, che quando le principali difficoltà siano appianate, quando vi sia una grande probabilità di un vicino accordo. Edecco perchè, o signori, iò non ho potuto consentire al desiderio espresso dall'onorevole Miceli; il quale mi chiedeva i documenti relativi a questa ques~ione. Io avrei potuto e potrei pubblicare dei documenti in cui la Camera troverebbe più ampiamente sviluppate ,•

7 le idee a cui dianzi ho accennato, ma questi d0cumenti non aggiungerebbero null~ essenzialmente a quanto ho l'onore di esporvi. Più in là io non potrei andare, pérchè, operançlo diversamente, mancherei a quella riserva che è debito del mio ufticio ed anche perchè; dando pubblicità ufficiale a queste comunicazioni, si potrebùe per avventura incorrere il pericolo di dar anche esistenza ufficiale a quelle difficoltà le quali noi invece continuamente ci travagliamo ad appianare. Noi abbiamo, lo ripeto, potuto credere che un pe~ riodo di riserva fosse indispensabile; noi abbiamo potuto, nelle gravi complicazioni che sorgevano in Europa, quando gli animi erano per altri argomenti perplessi ed incerti , por mente ad altre prospettive che ci si potevano aprire dinanzi, convinti, o signori, che le due grandi questioni non si trattano, nè si svolgono contemporaneamente in Europa in mezzo alle svariate combinazioni della politica generale. Ma, lo dichiaro, non abbiamo cessato di dccuparci della questione romana, e la questione romana fu sempre in cima dei nostri pensieri. Nè per questo, o signori, noi potevamo temere che questa questione fosse avvolta nel silenzio e nell'obblio. Questo pericolo non si è verificato , e ricorderò, per esempio, alla Camera che quando.il Governo francese, rispondendo a1le obbiezioni mosse dal Governo inglese intorno al congresso , presentò un programma meno esteso e più effettuabile, non escluse la questione romana, e si dichiarò pronto a trattare la questione dell'occupazione francese di Roma.

8 Inoltre, o signori, la questione romana è di quelle per cui non parlano solo le note diplomatiche, ma per cui parla ancora la necessità delle cose e l'eloquente lingua;ggio dei fatti. Noi abbiamo udito ieri le parole pronunziate dall'onorevole deputato Passagli.a. Sì, è vero, ogni giorno che passa non fa che rendere più grande quel disordine morale che ha la sua origine nello stato di cose esistente in Roma, e che l'occupazione francese non riesce certo ad attenuare. Quando l'attuale amministrazione sr è formata, il Governo francese faceva un nuovo ed esplicito tentativo per ottenere delle riforme a Roma. Noi dovevamo lasciare che questo tentativo si svolgesse, e potevamo in tutta sicurezza attenderne il risultato . Quale ne fu diffat ti il risultato ? L'Italia ha fatto dei passi sempre più decisivi nella via della sua riorganizzazione interna; mentre il Governo pontificio non ha fatto che sempre più sprofondarsi nella propria dissoluzione. Le truppe francesi che sono a Roma per proteggere il Governo pontificio contro la rivoluzione si trovano in moto continuo per difendere, contro la complicità del Governo romano, i diritti della coscienza pubblica e della morale. (Bravo! Bene!) L'occupazione francese in Roma, nelle più esplicite dichiarazioni dello stesso Governo francese, non è scopo .a sè stessa: essa è un mezzo per raggiungere due intenti, la conciliazione del papato coi sudditi suoi, la conciliazione del papato coll'Italia. Noi possiamo esaminare il mezzo in ordine al fine che si pro-

,· • .. 9 pone di raggiungere. n Governo temporale del Pontefice è, per il fatto dell'occupazìone francese, posto fuori. della condizione ·di · tutti i Governi civili, e tolto al sentimento della propria responsabilità. Sotto l'ombra della prote~ione che lo cuopre, esso non prova il bisogno di rendersi accettabile ai suoi sudditi, ai quali nega le più elementari riforme. Nei ·suoi rapporti coll'Italia noi lo vediamb app~nto, abusando di questa protezione, compromettersi nelle pas~ioni di una lotta accanita, e perdere in. essa la coscienza della sua missione, il senso della propria dignità. . L'onorevole Passaglia ha chiamato ieri l'attenzione della Camera e del Governo su que!Sto stato di cose. Egli ci ha domandato quali mezzi si sieno usati dal Ministero ·per vincere l'opinione anqora: ostile di una parte del mondo cattolico. Mettere in chiaro la eloq~enza d'ei ~atti a cui ho testè accennato, non è forse il ;meno efficace dei mezzi di ·cui noi ci possiamo servir~; •· . · . · · .~ · L'onorevole Passaglia ci doi'P.aridaY:a :. co~e a\Tete · cercato di controminare la guerra IPOrale· che ci fa Roma? L'Italia, signori, ha ce~c~.to .di controminare · • questa guerra non lasdandosi tra:volge.r.è nelle ire e nelle pas()ioni della lotta a cui Roma insidiosamente ci. invita. (Bene!) Difendendo le leggi, difendendo i diritti . ' . .. del potere civile, noi abbiamo voluto pur dimostrarè all'Europa come uno spirito pers~cuto!e non sia ne~ temperamento degl' Itp1ia:ni (Bene!), c e che il suolo• d'Italia, ~iccome è favorevole a tutte le libertà, ·cosl sarà anche favorevole alla libertà religiosa ed'all'ifldipen9.enza del capo della Chies'a. (Bravo! Bene!) Questi • . . • .. • • . . .. . ~ • •• 'l t. ..

' ·- .. .. . ' . . . . • . l ]0 sono i mezzi che entrano nella sfera d'azione del Governo: be ne sono degli altri certo potenti , certo efficaci, i quali sorgono da quel dibattimento solenne che si è aperto nel seno stesso dell'opinione cattoli~a. Ma quest'arringo è specialmente dischiuso agli uomini illust:r,:i, ai filosofi, ai sacerdoti, alla cui schiera apparti ene l'onorevole Passaglia, convinti operai di quella grande trasformazione che si prepara nei rapporti fra la società civile e la società r eligiosa. (Bene!) Noi accompagniamo questi uomini coi nostri voti nella nobile impresa a cui si sono accinti, impresa di trasformazione tutta intellettuale, tutta morale; noi facciamo dei voti perchè essi trovino intorno a sè l'eco di vi.gorose c-onvinzioni, perchè si servano dei mezzi i più efficaci ed i . più opportuni per promuovere' una causa Q.i cui nori potreobe trovarsi altra più importante per l'avvenir~ della libertà civile e religiosa. (Bravo!) L'onorévole .deputatu Passaglia m'interpellava ieri sp.i l'apporti internazi('mali che esistono fra il Governo pontificio èd il Gov~rno del Regno d'Ita~ia. Questi rapporti sonQ completamente interrotti, ed io credo che l'intavolare una questione di diritto col Governo pontificio sarebbe la cosa la più oziosa del mondo (Ilq,rità) ; poichè il Governo pontificio si pone precisamente a un punto di vista affatto opposto , ess,o non riconosce il diritto dell'Italia, non riconosce i.l nuovo ()rdine di cose, e in noi che pure ci sentiamo i .rappresentanti di una nobile causa e di un grande diritto, in noi non vede che gli usurpatori delle -sue più belle provincie! (Risa di assenso) • '

l 11 Noi dunque non potevamo che rivolgerei alla Francia, ed è quello che abbiamo fatto. Quando l'attuale amministrazione si ~ formata, essa trovò che una delle più vive preoccupazioni dell'opinione pubblica era appunto quella che sorgeva dai fatti che l'o_norevole Passaglia richiamava alla nostra attenzione, delle cospirazioni borboniche che si ordivano in Roma, delle bande brigantesche che si accoglievano in quel territorio per irrompere nelle nostre provmCie. L'Italia., o signori, io ebbi già occasione di dirlo in questa Camera, l'Italia la quale è pronta a considerare con calma e con moderazione gli alti interessi morali che si accolgono nella questione romana, si sente in diritto di protestare tanto più vivamente contro quelle conseguenze indirette le quali cotanto contrastano cogli scopi che la politica francese a Roma si propone di raggiungere. Noi ci siamo dunque rivolti al Governo imperiale francese, perchè occupando egli quel territorio non può rimanere straniero a quello che ivi succede. Quanto alle bande dei briganti abbiamo completato il sistema degli accordi militari; le autorità militari italiane e francesi si trovano in continue comunicazioni, perchè l'azione loro proceda di concerto da una parte e dall'altra nella repressione. Quando alcun tentativo ci è noto, noi ne trasmettiamo tosto la notizia o al Governo francese, o più spesso direttamente al generale Montebello, il cui concorso è sempre stato operoso e leale. Io non dico, o signori, che dei briganti non passino alla spicciolata da un territorio nell'altro, non dico 2

12 che lo stato attuale sia agli occhi nostri soddisfacente, ma credo anche éhe l'esagerare i fatti non è il miglior mezzo per poter reclamare contro qu(i}llo che realmente succede. Di fatti la situazione, dal tempo in cui avvenivano le scandalose invasioni dello Stramenga, dall'epoca in cui esisteva quello stato di cose che ci fu descritto dalla Commissione.d'inchiesta, è grandemente mutata. Grosse bande di briganti non passano più, non esistono più sulla frontiera quelle bande che si tenevano a cavallo' del confine e che si arrogavano anche una specie di colore politico. E noi abbiamo veduto le cospinizioni nemiche, nei loro progetti d'invasione, rivolgersi a macchina,rle e prepararle sulle coste dell'Albania, H che è prova che l'antico campo ·d'azione è ora ad esse seriamente conteso. Oltre la repressione militare furono prese anche delle misure di sorveglianza, e le autorità francesi espellono gli individui sospetti che si trovano sulla front iera. · Ma il problema è più complesso. Non basta r eprimere, non basta sorvegliare, bisogna prevenire. Con una frontiera così frastagliata e montuosa la sorveglianza e la repressione non sono sempre coronate dal successo. Bisogna cercare il rimedio là dov'è l'origine del male. Ora l'origine del male sta nelle cospirazioni borboniche che continuano in Roma, sta nel rifugio che tutti i malfattori fuggenti la giustizia dei nostri tribunali trovano nel territorio romano, non so bene se ripetendo l'èra di Romolo, come,ieri diceva l'onorevole Passaglia, ma certamente rinnovando non so

13 quale mostruoso esempio dei diritti d'asilo d'el medio evo. (Bravo! Benissimo!) Noi chiedemmo dunque alla Francia l'espulsione dei cospiratori e l'estradizione colla consegna alle auto- ' rità italiane dei briganti e dei malfattori. Qui sorgeva per la Francia una questione di giurisdizione e di sovranità 'territoriale a dir vero grave e difficil e. Se da un lato l'occupazione francese non ha per iscopo di sostituire nella sovranità territoriale al Governo pontificio il Governo francese, dall'altro lato questo stato di cose non può modificare nè la giustizia dei nostri reclami, nè il nostro diritto di legittima difesa. · Per esporre alla .Camera e all'onorevole Passaglia il linguaggio che su questa questione abbiamo creduto di tenere, e in che modo ponemmo la questione sul terreno del diritto internazionale, io leggerò un brano di una nota, che il nostro ministro a Parigi ha rivolto a quel ministro imperiale degli affari esteri, nota nella quale il distinto diplomatico che ci rappresenta nella capitale della Francia riassumeva le vedute e le istruzioni ricevute dal suo Governo. « Lorsque des malfaiteurs appartenant à un pays y commettent des crimes graves tels que vols à main armée, incendies, meurtres et pillages, et se réfugient ensuite dans un pays limitrophe, .attendant l'occasion de recommencer leurs forfaits, le Gouvernement du pays auquel ils appartiennent a-t-il le droit de demander leur extradition ? Aucun doute ne peut surgir à cet égard lorsqu'il y a entre les deux pays une convention d'extradition. Mais mème en l'absence d'une telle con-

14 vention et d'après les seuls principes du droit naturel, un État peut demander à un autre État voisin de ne • pas accueillir sur son territoire des gens qui vont s'y préparer pour porter dans le territoire de l'autre le meur.tre, le vol à main armée, l'incendie et le pillage, et dont la présence sur la frontière constitue un danger grave pour la vie et les propriétés de ses sujets. Si l'État auquel une telle demande serait présentée dans ces circonstances, se refusait à l'accueillir, l'État requérant aurait le droit de recourir à la force des armes et de déclarer la guerre. (( La question, appliquée aux rapports e11tre l'Italie et le_Saint-Siége, peut et re envisagée également sous l'un ou sous l'autre des points de vue qu'on vient d'indiquer. La réponse ne peut etre que celle-ci: le Saint-Siége ne peut se soustraire aux obligations soit conventionnelles, soit natUrelles, qui lient tout État envers les États limitrophes. (( Le Saint-Siége a conclu soit avec l'ancien royaume de Sardaigne, soit avec l'ancien royaume des DeuxSiciles des conventions d'extradition. Si le Saint-Siége considère ces conventions camme étant toujours en vigueur, il ne peut pas se refuser à l'extradition des malfaiteurs, contre réciprocité, à l'exception toutéfois des cas que les mreurs actuelles ne sauraient plus admettre, camme, par' exemple, celui de l'extradition des coupables de délit purement politique. « Si par contre le Saint-Siége.considère ces conventions camme périmées par suite de la constitution du royaume d'ltalie qu'il n'a pas r econnu, la loi naturelle doit, dans ces cas, e~re substituée à la loi convention-

15 nelle. Or la loi naturelle accorde à tout État le droit de sa propre défense. En force de ce droit l'Italie peut demander compte au Saint-Siége des véritables actes d'hostilité qu'il commet envers elle en accueillant sur son territoire et en se refusant d'extrader les brigands qui se réfugient à Rome pour porter de là, dans notre pays , la désolation et le meurtre. L'Italie, efi un mot , aurait le droit de considérer comme un casus belli le refus que le le Saint-Siége oppose à ses demandes. < Mais la présence des troupes françaises à Rome empeche l'Italie de recourir à la force des armes pour obtenir du Saint-Siége le redressement de ses griefs. Ce fait, irrégulier en soi-meme, et précisément parce qu'il est irrégulier, ne saurait changer le caractère du droit que nous invoquons , ni donner naissance à un droit nouveau. C'est donc à la France qu'il appartient d'oter .l'obstacle qui s'oppose à l'exercice d'un droit inc~ntestable, soit en faisant cesser l'occup~tion et en laissant l'Italie en fac~ du Saint-Siége, soit en obtenant du Saint-Siége, ou en exécutant elle-meme, l'extradition que l'lta;lie demande. n E dopo aver accennato i vari modi con cui poteva giungersi a un accordo, conchiudeva: (( Ce que le Gouvernement du Roi demande c'est qu'un état de choses ~ussi anormal vienne à cesser, que les brigands ne trouvent pas à Rome la protection et l'impunité à l'ombre du glorieux drapeau de la France, que le Saint-Siége ·ac.complisse enfin l es devoirs qui incombent à tout Gouvernement civil. « Je ne saurais assez recommander, monsieur le

16 ministre, à l 'attention de Votre Excellence le contenu de cette dépèche. J e ne répéterai pas ici les considérations que j'ai eu récemment l'occasion de vous exposer de vive voix sur ce mème suj et. Les derniers débats de la Cour d'appel de Sainte-Marie sont plus éloquents que tout raisonnement. L'horreur soulevée dans le monde par les atrocités qui y ont été révelées doit vous prouver, monsieur le ministre, que les mesures que j'ai l 'honneur de vous proposer répondent au sentiment de tous les hommes honnètes, à quelque parti politique qu'ils appartiennent. Car ce n'~st pas là une simple question politique; c'est une question de moralité publique. )) · Io spero, signori, che questo linguaggio ~arà riconosciuto dalla Camera come giusto e dignitoso. Il Governo francese considerò che il corpo d'occupazione militare a Roma ha per iscopo di proteggere la tranquillità del territorio pontificio, di difendere quel territorio dagli attacchi ostili che potessero muoversi contro di esso, ma nello stesso tempo d'impedire che degli attacchi ostili di ,là muovessero contro uno Stato vicino ed amico. Il Governo francese adunque, partendo da questo . punto di vista, ha considerato che coloro i quali o preparavano per via di cospirazione, oppure mettevano ad effetto simili tentativi, che i briganti armati, oppure i briganti accolti in bande e che tentavano di passare il territorio, potevan,o considerarsi come colpevoli di attgntare alla sicurezza del corpo d'occupazione francese, e quindi cadevano sotto la sua giurisdizione militare.

17 Per questo ab~iamo veduto espellere molti fra i più famigerati cospiratori, per questo quando le autorità, o le truppe francesi arrestano dei briganti od armati, od accolti in bande, i quali tentano di passare sul nostro territorio, noi li vediamo tradotti innanzi ai Consigli di guerra francesi, e se contro di essi esiste qualche regolare mandato di cattura dei tribunali italiani, la bro estradizione ci viene regolarmente accordata. Rimangono quei malfattori contro i quali esistono dei mandati di cattura, e che trovano rifugio e rimangono nel territorio pontificio senza essersi resi colpevoli di alCUJ).O di quei fatti a cui poc'anzi accennava. Intorno a questa categoria d'individui la questione non è ancora sciolta fra noi e la Francia. Stiamo trattando per ·trovare un modo di onorevole soluzione, ed io spero dal buon volere e dallo spirito di conciliazione dei due Governi che sarà possibile ottenere ilrisultato che dE-sideriamo. · L'onorevole deputato Passaglia mi ha an,che interpellato intorno alla dimor.a di Francesco II in Roma con onori regali ed alla presenza presso la Corte di Francesco II di rappresentanti di potenze estere. L'onorevole deputato Passaglia vorrà indicarmi quale rappresentante di una potenza che abbia riconosciuto il regno d'Italia si trovi accreditato presso l'ex-re Francesco II, perchè certamente noi non possiamo reclamare presso quelle potenze le quali ,non ·ci hanno riconosciuto. Noi non abbiamo mancato di insistere per l'allontanamento di Francesco II, ed il ministro di Francia a Torino mi ha dato comunicazione ufficiale di·note in-

' 18 dirizzate dal Governo francese alla Corte romana, nelle quali la partenza di Francesco II era consigliata sotto i rapporti della dignità e della conv~nienza po litica, con un linguaggio assai .fermo e risoluto. 1. questo consiglio non fu ascoltato, ed io in parte n n me ne meraviglio, perchè a far sì che tali cons· ·1i siano ascoltati dalla Corte romana bisognebbe ggiungervi una sanzione, e la sola sanzione possj ile sarebbe quella della partenza delle truppe francesi da Roma. Il Governo francese non ha posto questa sJn· ziO ne. Per quanto dunque il Governo del Re non de ba . cessare dal preoccuparsi .della presenza di Francese II in Roma e debba studiarsi di ?ttenerne l'allontlnamento, noli: può negarsi tuttavia che questa quistlone non è che uno degli aspetti della quistione genèraJe dell'occupazione francese in Roma. 1 Infine l'onorevole deputato Passaglia doman/ava al Governo quale repressione materiale esso vojeva op· porre all'azione materlale del Governo ponti#cio, e ci incoraggiava ad entrare nel sistema delld rappresaglie. / n Governo pontificio non ammette la bandiera italiana ne' suoi porti, noi non ammettiamo la sua banbiera nei nostri; esso non ha concesso il soggiorno in Roma al console d'Italia, e noi abbiamo tOlto l'exe· quatur ai consoli pontificii. Il Governo romano ha posto il sequestro sopra alcune rendite che ora appartengono all'amnAnistrazione della Cassa ecclesiastica. ta Cassa eccle§iastica non corrisponde alla sua volta le rendite di etti sono mve-

19 stiti alcuni corpi morali od alcune persone ecclesiastiche che hanno domicilio in Roma. Siccome è massima di diritto che per godere all'estero i frutti dei benefizi occorre un'autorizzazione sovrana, così fu ordinato a tutti gli economi del regno di porre sotto sequestro le rendite di quei benefizi che fossero posseduti da beneficati residenti negli S.tati pontificii. Io dichiaro all'onorevole Passaglia che questa questione delle rappresaglie l'ho attentamente studiata, ho fatti dei progetti, ne ho fatti fare, ne ho riscontrati gli effetti,colle cifre statistiche. e mi sono sempre arrestato dinanzi ad una considerazione alla qu~le l 'onorevole Passaglia non rimarrà insensibile: ed è che le conseguenze delÌe misure da prendersi, misure che dovevano essere assai rigorose e severe, ricadevano interamente a danno d'elle popolazioni romane, le quali sono le prime ad affrettare còi loro voti il momento in cui saranno ricongiunte all'Italia. (Bravo!) Offendendo gl'interessi dei sudditi si esercita di solito una pressione sui Governi alla quale questi finiscono per cedere. Tale non poteva essere la nostra fiducia col Governo pontificio, il quale, purtroppo, ha completamente diviso i suoi interessi dagl'interessi dei sudditi che così malamente governa. (Bravo!) Prima di uscire da quest'argomento , mi sovviene che l'onorevole Miceli ha ieri intrattenuto la Camera di alcune armi, di alcuni nniformi, di alcuni attrezzi di guerra che si trovarono a botdo del Malartic, legno mercantile francese, colato a fondo per un disgraziato 3

20 accidente, ·all'imboccatura del porto di Gen'ova, e mi ha domandato se la mia attenzione si era portata su questo fatto . Sì, certamente, la mia attenzione era stata su qt1esto fatto richiamata dal rappresentante di una potenza che non è punto amica delle rivoluzioni, e che aveva buon dato per credere che quelle armi fossero avviate ad un punto più lontano che non sia Civitavecchia, e fossero destinate ad una causa la, quale ha certamente le simp~tie dell 'onorevole deputato Miceli . Io mi riassumo : se gli onorevoli interpellanti mi domandano su che basi noi t rattiamo , rispondo: sulle basi del non intervento , esclusivamente colla Francia, nell'intento di ottenere il ritiro delle truppe francesi , offrendo quelle guarentigie che si accordano coi ~rincipii del Governo italiano e coi principii dello stess9 Governo francese. Se eglino mi domandano qual e è la nostra attuale condotta, rispondo che se un' attitudine di riserva, come ho già detto, era prima consigliata dalle circostanze, noi ci siamo anche prevalsi delle.opportune circostanze per riaprire la .discussione, pei· ricominciare lo scambio · delle idee e delle vedute onde appianare le difficoltà, e trovare i termini di una onorevole transazione. Il Governo non vuol certo risvegliare nel paese nè smodate speranze, nè esagerate aspettative; nori vuole attenuare neJla coscienza . del paese l'apprezzamento delle grandi difficoltà che attraversano lo scioglimento della questione romana, ma se nell'animo di taluno si fo sse introdotto lo sconforto , quello sconforto che in Italia potrebbe bensì condurre all'impazienza, ma non

21 già all'abbandono del diritto , io dichiaro che noi non dividiamo questi dubbi e questi sconforti. L'occupazione francese in Roma è un fatto che non può indefinitamente prolungarsi , perchè esso è in aperta contraddizione coi principii che regolano la politica estera ed interna ·della Francia, col principio del non intervento e col principio della sovrànità nazionale. Le eventualità della politica.e la moderazione dell'Italia potranno affrettare il risultato. L'opinione pubblica e la previdenza degli uomini di Stato s'accordano in ciò che una così grave questione non può essere lasciata in balìa del caso , nè della cieca vicenda degli avvenimenti, ed io credo anche, o signori, che non può essere senza influe.nza sulle deliberazioni del Governo francese lo spettacolo di ordine, di calma, di forza che presenta l'Italia, il costituirsi sempre più definitivo di uno Stato e di un Governo regolare, il quale offre piena guarentigia che gl'interessi morali e religiosi rappresentati dalla questione romana non potranno essere disconosciuti, e che gl'impegni presi potranno essere mantenuti. s·e la Camera permette, riposerò qualche istante. (La sed,uta è sospesa per alcuni minuti.) PRESIDENTE. li signor ministro degli esteri ha la parola per continuare il suo discorso. ~IUSOLINO. Vorrei fare una mozione d'ordine. (Rumori) Voci. No! no! .Non si può interrompere. PRESIDENTE. La farà dopo. JtlUSOLINO. Se la Camera vuole concedermi questa cortesia. ..

22 J7 oci. Dopo! dopo! PRESIDENTE. La farà dopo. Il ministro ha la parola per continuare il suo discorso. ì\HNISTRO PER GLI AFFARI ESTERI. L'onorevole La Porta mi chiedeva: quale fu la vostra politica in Polonia, ne~la vertenza danese, in Oriente, nei Principati Danubiani? La quistione polacca ha dominato nella più gran parte del periodo ora trascorso lapolitica dei Gabinetti europei. A tale proposito, o signori, la nostra condotta fu ispirata da un concetto che io credo giusto e logico. Per quanto fossero grandi le incertezze che potevano sorgere durante le varie combinazioni a cui diede luogo questa vertenza, il Governo, ed io credo ormai il paese, non sa pentirsi di aver conservato quest'attitudine. Per giudicarla permettetemi di riassumere brevemente queste combinaz,ioni e di esaminare su quale terreno la questione polacca fu successivamente posta. L'insurrezione polacca fu un avvenimento che bene può dirsi sorprendesse l'Europa, modificando l'atteggiarsi delle alleanze, aprendo l'adito a nuove ed imprevedute complicazioni. Pure lo spettacolo di questo popòlo che si ostinava in una lotta così disuguale ·eccitò una profonda emozione nell'opinione generale d'Europa, emozione a cui i Governi non poterono rimanere stranieri. Il Governo italiano, o signori, fu dei primi a farsi l'interprete dei sentimenti del paese. Lo fece spontaneamente, lo fece corp.e un debito che derivava dalla

c 23 logica dei proprii principii e dalla propria situazione. Esso non poteva di fatti nè masèherare, nè palliare nel suo linguaggio su tale questione quei sentimenti e quei pr.incipii di cui noi siamo la vivente incarnazione. (B ene!) In un ordine di comunicazioni amichevoli noi dovevamo fare appello ad una umana e sapiente iniziativa che fosse indotta a cercare il rimedio del male colà dove ne era la radice, nel sentimento nazionale compresso e negato. Io non imprenderò, o signori, ora a discutere (chè sarebbe completamente intempestivo) le possibilità pratiche dell'iniziativa a cui noi facevamo appello e gli ostacoli che poteva incontrare; solo mi preme di constatare che il Governo non ha fallito al debitò suo .di ii.nsi l'interprete dei sentimenti del paese, che la voce dell'Italia non è mancata in quel grande concerto che si sollevava dall'opinione liberale di ~utta Europa; . che infine, nei nostri rapporti con quelle due potenze che rappresentano la base naturale delle nostre al- • leanze, noi abbiamo constatato il nostro accordo in quegl'intenti a cui si rivolgevano contemporaneamente gli uffici della Francia e dell'Inghilterra. Queste rimostranze, o signori, voi lo sapete, non furono ascoltate dal Governo russo, il quale credette che ad ogni provvedimento relativo alla Polonia .dovesse precedere la repressione della.rivolta. L'azione diplomatica delle maggiori potenze d'Europa non poteva cessare per questo, e si rivolse a cercare un titolo pel quale potesse esercitarsi , in forza delle stipulazioni esistenti relative alla Polonia.

• l 24 . Il Governo inglese nelle sue comunica-zioni aveva già specialmente posta la questione su questo terreno. Esso si preoccupava delle due massime difficoltà che diplomaticamente si trovavano in·questa questione, cioè di precisarne i confini e di trovare il titolo della inh·omissione diplomatica. Si volle dunque ridurre la vertenza entro tali limiti in cui fosse possibile di reclamare dalla Russia l'esecuzione di un obbligo assunto sotto la guarentigia di una transazione internazionale. L'Austria si era sino ad un certo punto accostata al modu di vedere delle potenze occidentali, ed il suo concorso, sin che si trattava di un'azione diplomatica relativa alla Polonia, poteva parere tanto più importante, quando si consideri la sua.speciale posizione, e come il diviso dominio della Polonia fu sempre il più saldo vincolo di quelle coalizioni che pesarono sulla libertà d'Europa. . · Le potenze dunque andarono d'accordo nel conside- . rare che laRussia possedeva le provìncie polacche sotto alcune particolari condizioni rispetto a' suoi sudditi .. Ma quando si vollero poi determinare queste pecubari condizioni in cuj doveva anche trovarsi un elemento di effica-ce pacificazione, esse furono &pecialmente formo late come lo esigevano gl 'interessi e la posizione dell 'Austria. Si propos e all~ Russia l 'accettazione de' sei punti che tutti conoscete, i quali furono' al~­ gomento di una negoziazione di cui }':imperatore Napoleone nel suo discorso constatò il definitivo insuccesso·. Il Governo italiano non prese parte a queste nego~ ziazioni, assunse un'attitudine di rise:çva; fl:Oi non abbiamo manif,3stato alcun desiderio di prendervi parte. l

25 Per quanto, dopo la guerra d'Oriente, si fossero fra. l'Italia e la Russia stabiliti degli amichevoli rapporti, -e per quanto eonsiderevoli ne fossero i vantaggi, tuttavia, trattandosi di una quistione di principio, noi non abbiamo esitato a fare udire la nostra opinione. Io posso assicurare la Camera che il mio onorevole amico marchese Pepoli, nel trattare questa questione, la pose sempre sul terreno di quei principii di cui siamo i rappresentanti, e ben a ragione comprese che accampando il principio di nazionalità noi tenevamo un linguaggio più conforme alla nostra situazione e nello .stesso ~empo meno offensivo verso la Russia, che se ci fossimo presentati al fianco dell'Austria re- -clamando l'esecuzione del trattato del 1815. Ma quando la quistione diplomatica assunse un altro carattere, quando si venne fatta la proposizione de' sei punti, poteva il Governo italiano, il quale dei trattati del 1815 non può essere certo il più autorevole ~ostenitore, poteva questo Governo reclamarne l'esecuzione facendone anzi una interpretazione assai più restrittiva di quella di cui per avventura quei trattati potevano essere suscettibili? Poteva associarsi ad una proposta la quale, se fosse ·stata fatta alla Venezia, essa avrebbe sdegnosamente r espinta da sè, e che, se fosse stata fatta a noi, che siamo i rappresentanti dei dolori e delle aspirazioni dei nostri concittadini di oltre Mincio, noi respingeremmo per loro? No, signori, noi non avremmo tenuto il linguaggio ·che ci conveniva, anzi avremmo posto un precedente pericoloso, che forse un giorno avrebbe potuto essere addotto contro di noi.

26 ~fa vi era alla nostra condotta una grave abbiezione, della quale, per parte mia, non ho·mai disconosciuto il valore, sopratutto se noi ci riportiamo alle preoccupazioni che erano in allora così vive nell'opinione del paese. Ci si diceva: lasciando anche da parte la questione di principii sul terreno pratico della politica europea frattanto si possono annodare combinazioni, si possono prendere deliberazioni alle quali voi rimanete stranieri e che riescano nocive all'Italia; voi le dovrete subire. Qui, o signori, incombeva al Governo un serio dovere, ed era realmente di vigilare e di assicurarsi che su: questo terreno pratico della politica europea non si formassero delle combinazioni che potessero tornar pericolose al presente della nostra politica e pesare sul suo ulteriore sviluppb. A questo dovere, signori, noi abbiamo la coscienza di non aver fallito. Io non posso, per quella riserva che la Camera comprende, addentrarmi in ulteriori dettagli, ma abbiamo la coscienza di esserci assicurati che il regno d'Italia poggia oramai sopra una salda base d'alleanze. Rimanendo estranei non già ad una questione, ma ad tma fase di questa questione nella quale noi no.n potevamo entrare, tenendo alta la bandiera dei nostri principii e de' ~nostri interessi, noi non praticavamo una politica d'isolamento. L'onorevole deputato Miceli mi ricordava ieri assai acerbamente una formola di cui mi valsi in una discussione che ebbe luogo in questo recinto. Benchè nè io abbia mutato d'avviso, nè pensi che la mia condotta sia stata da essa disforme ·, pure confesso di non avere una grande predilezione per queste formale o epigrafi politiche le quali spessa dicono troppo o troppo

27 poco, e che hanno poi sempre il torto così grave, in politica, di essere soverchiamente generiche. Quindi io abbandono quella formala all'onorevole deputato Miceli pel quale forse quest'abbiezione non è così grave. Ma mi conceda l'onorevole deputato di chiamar indipendente una politica quando non entra nelle questioni se non nella misura dei propri interessi e dei propri principii, ·e di aggiungere che nello stesso tempo non eravamo isolati, perchè l'accordo colle potenze occidentali esisteva pur sempre nelle grandi ragioni morali che dominavano la loro azione diplomatica relativa alla Polonia. Non eravamo isolati perchè, applicandoci a rendere più intimi, a rendere sempre migliori i rapporti con quelle due poténze , sapevamo che esse mantenevano inviolata la guarentigia di quei principii all'ombra dei quali noi abbiamo così innanzi spinta la nostra impresa nazionale. Noi éamo rimasti stranieri acl una fase nell'esito , della quale non avevamo piena fìdt,cia, e per quanto gravi fossero le sollecitudini dell'opinione pubblica, sollecitudini di cui non potevamo nè maravigliarci, nè lagnarci, perchè a.vevano la loro sorgente in un legittimo sentimento, pure non possiamo pentirei di aver conservato questo contegno, perchè, se l'ostinazione è fatale in politica, è anche funesto, quando si scelse una linea di condotta, il deviare da essa acl ogni fuggevole apparenza. (Bene l B1·avo !) L'azione diplomatica relativa alla Polonia aveva avuto un risultamen~o negativo; le potenzenon avevano potuto accordarsi nè sulla sanzione a darsi ai loro uffici, e neppure precisamente sullo scopo a cui questi uffici si rivolgevano.

28 L'imperatore Napoleone III, nell'aprire la nuova Sessione del Corpo legislativo francese, pronunciava il suo famoso discorso, ed il Governo imperiale rivolgeva ai Gabinetti europei la propo3ta d'un Congresso generale. Benchè l'onorevole interpellante non ne abbia fatto parola, parlo di questo periodo diplomatico del Congr€sso' perch~ esso vale a provare come sia ingiusta l 'accusa che ci vien _mossa, che per opera nostra le questioni italiane sieno poste in obblio e più non pesino nelle pre.occupazioni della politica europea, perchè questo periodo diplomatico vale a porre in piena luce ed a mettere in rili evo lo stadio morale in cui le . questioni italiane si trovano oggidì nella situazione generale dell'Europa. L'imperatore dei Francesi allargava i termini della questione polacca, dimostrava come l'edificio dei trattati de1 1815 sia minato e distrutto in tutte quelle parti in cui contrasta alle legittime aspirazio11i dei popoli; dimostrava la necessità di riconoscere definitivamente, ·ai dar sanzione legale a quei fatti che sono irrevocabilmente compiuti, e eli consacrare eziandio quelle soluzioni che, compiute oramai nella coscienza generale dell'Europa, tendono necessariamente a passare nell'ordine dei fatti, e non potrebbero farlo senza . nuove rivoluzioni e senza nuove guerre. Voi sapete, signori, quale fu la condotta .del Governo itali.ano. Noi abbiamo accettato senza tergiversazioni e senza ambagi. La proposta del Congresso aveva prima di tutto per noi un grande vantaggio, al momento in cui essa giungeva; essa poneva fine ad una fase diplo- •

29 matica che non era senza pericolo per noi, perchè si svolgeva sopra un terreno che non poteva essere il nostro; essa apriva un'altra fase diplomatica su un campo, in cui la politica italiana- poteva ~volgersi, come nel s~w naturale elemento, senza falsare la logica dei pro.;: pn prmCipn. . Non è mio intendimento di riandare le difficoltà che incontrava la proposta del Congresso generale, nè voglìo esaminare il valore delle obbiezioni pratiche ad essa mosse per parte specialmente del Governo inglese. Forse quel piano.ntm potrà che gradatamente effettuarsi, fors'anche noi saremo costretti a desumere dalle imperfette condizioni del presente i mezzÌ necessari per affrettare . l'avvenire. Ma quando il sovrano che regge i destini della Francia dichiarava necessario, per ottenere uno stabile assetto della pace europea, di sòstituire, al diritto fondato sui trattati del 1815, un sistema di diritti razionali, quel programma doveva essere anche il programma dell'Italia, come era quello dell'opinione liberale di tutta l'Europa. Scendendo da queste considerazioni generali a quello che più davvicino ci tocca, noi accettando dovevamo mostrare la nostra convinzione che le questioni itaJiane non sono di quelle che temono la discussione; che la questione di Roma e quella di Venezia non temono · la discussione davanti ad un Congresso, in cui si acco- .glie la sapienza dell 'Europa. Ma accettando il Congresso noi dovevamo avere la certezza morale che le questioni italiane appunto vi 'si sarebbero trattate. • Diffatti 'io ricorderò alla Camera un fatto che certa- •

• l 30 mente fu tra i più importanti che dominarono le trattative diplomatiche relative al Congresso. Quando il Gover:po francese dovette scolparsi in certo modo din· nanzi al gabinetto britannico di sollevare troppe e troppo varie questioni ; quando esso dovette redigere ur~ programma che non desse tropP,O appiglio a siffattc obbiezioni, le questioni italiane, fra tutte le vertenze che pesano sull'avvenire dell'Europa, furono poste ac· canto a quelle che già erano passate nel campo dei fatti che, o ponevano a repentaglio la pace dell'Eu· ropa, o che trav.olgevano già ad una guerra eli cui era difficile prevedere le co:nseguenze. Lord Russell nella sua risposta riconobbe che non era possibile radunare un Congresso con un disegno vasto di pacificazione europea, senzachè vi fosse agitata la questione di Venezia, la quale, se si fonda in un sacro imprescrittibile diritto, però non ha una base strettamente diplomaticà . Ma il Governo austriaco dichiarò che, se la questione della Venezia era solleyata nel Congresso, egli non poteva parteciparvi. · Ecco dunque, o signori, il risultamento di questi negoziati. Il Congresso era 'per noi un tentativo di conciliazione, poichè l'Italia non assumerà mai la responsabilità di precludere qualunque tentativo si possa fare perchè la questione del1a Venezia si sciolga senza. ricorrere all'estrema ragione delle armi. Gli uomini di Stato delle potenze amiche riconob- · bero che la questione di Roma e di Venezia, che le questioni italiane erano urgenti a trattarsi ed a sciogliersi. Ma nello stesso tempo le questioni italiane furono appunto uno dei più grandi ostacoli pratici all~ riunione del Congresso.

31 Io credo , o signori , c.ae questo risultato abbia una importanza di cui è vano dj sconoscere il v:;tlore, esso prova come le questioni italiane non rimangono stazionarie, ma procedono per quella via delle preparazioni morali, via che noi stessi abbiamo prescelta e voluta, perchè la sola la quale può assicurare l'esito dell'impresa ; preparazioni morali, le quali, quando siano compiute, non tarderanno ·ad essere seguite B.ai · fatti. La nostra condotta , o signori , nella questione del Congresso era. talmente conform@ alle esigenze della nostra situazione che anche quei Governi amici d'Italia, che ebbero la più grande ripugnanza contro questa proposta, non disconobbero i motivi dai quali eravamo animati. Malgrado la grave divergenza che si manifestò nella questione del .Congresso tra il Governo francese e l'inglese, io posso assicurare la Camera e l'onorevole deputato La Porta, che mi domandava quali erano i nostri rapporti coll'Inghilterra, io posso assicur~re, dico, che, malgrado questo disparere, i rapporti dell 'Italia colla Francia e coll'Inghilterra non possono essere migliori, nè furono mai più cordiali, nè più intimi che in questo momento. Questo fu lo scopo a cui fu assiduamente rivolt~ la politica del Ministero, perchè l'ambizione dell'ItaJia è di prendere il suo posto infra quell'alleanza della Francia e dell'Inghilterra che è indispensabile al progressç> e alla libert~ d'Em·opa; perchè ogni italiano sa che quando fra la politica di questi àue paesi si manifesta una grave di~crep ania, una situazione pericolosa • . .

32 è anche minacciata all'Italia, che quando la politica di qu~ti due paesi invece di .éamminare di concerto, non fa che elidersi e contraddirsi, il soffio della reazione non ·tarda a stendersi sull'Europa. E poichè parlo, o signori, dei nostri rappo:r;ti colle potenze amiche, mi si conceda di dissipare con una parola questo faut.asma d1 un umiliant e vassallaggio che si fa sorgere dinanzi alla Camera. No, o signori, l'Italia non si trova sotto questa indecorosa pressione, ed io credo, o signori, di non far atto d'orgoglio dicendo che se l'Italia dovesse subire . questa pressione vergognosa_, non saremmo noi qui ad accettarla. • È. facile, o signori, il dipingere, il dar corpo al fantasma di questa pressione, quando per citarne le prove si è di così facile contentatura (Bene ! a destra), quando 'fli dà corpo di vita e di verità ad ogni assurda novella eh~ corre per l e vie. · Io ho udito dirci che alcuni atiri eli politica interna compiti dall'onorevole mio cGllega il ministro dell'int erno erano dovuti ad una pressione francese; ho udito dire che la liberazione, per esempio, del cardinal~ Morichini, atto dell'autorità giudiziaria, era dovuta agli ordini della Francia; ho udito l'onorevole La .Porta dire che noi, obbedendo alle ingiunzioni della Francia, stavamo esaminando il progetto di portare-la capitale da una ad altra città <l'Italia. Or bEIDe, o signori, io dichiaro che il Governo francese, appunt o perchè c'è amico, ci rispetta; io dichiaro che non ho ricevuto·nessuna comunicazione ufficiale, nè ufficiosa relativaritente .al viaggio del gene- • • . .

33 r ale Garibaldi, nè a cosa che con questo viaggio potesse avere attinenza; io ùichiaro che non ho ricevuto nessuna comunicazione ufficiale, nè ufficiosa relativamente al cardinale Morichini; e quanto all 'ultima voce a cui accennò l'onorevole La Porta, dichiaro che essa non ha neppure quel vago e lontano pretesto che talvolta dà vita ad una notizia anche falsa ed inesatta. ' L'onorevole La Porta ha domandato quale fu la nostra condotta nella vertenza danese. Quando la questione danese chcl campo degl'intermin'abili negoziati passò nel t erreno dei fatti e si' addivenne alla esecuzione federale dapprima, poi alla guerra coll'Austria e colla Prussia, :noi, o·signori , rion avevamo che una condotta a tenere in questa vertenza, dovevamo esaminare, attendere gli. avvenimenti, indagare quali fossero le reali disposizioni · delle potenze europee, quali complicazioni da queste reali disposizioni po'tessera sorgere. Nessu.no certo ha mai immaginato che l'Italia. pot esse prender parte nel conflitto, oppure che la q uestione danese, nei suoi termini attuali, -possa essere per l 'Italia una favorevole occasione. L'opinione pubblica di questo paese ha reso un sincero omaggio al valore di questo piccolo popolo che lotta in una guerra disuguale e che ha reso per sempre rispettato ed onorato nel mondo il nome danese. (Bene! Bravo ·!) Ma, o signori, quando una questione che era dapprima considerata soltanto sotto l'aspet to diplomatico si trasforma in una questione di diritto nazionale, e vien fatta una proposta la quale tende a consultare il voto delle popolazioni, noi dobbiamo ricorclarci che la

34 politica italiana ambisce di essere logica; non possiamo disconoscere altrove quei principii di cui domandiamo l'applicazione a Roma, a Venezia, nel territorio italiano. L'onorevole mio amico il deputato Guerrieri vi ha ritratto con molta verità le molteplici complicazioni di quel moto nazionale che ora agita ]a Germania. Questo movimento , il quale si manifesta sotto più forme, ha però una causa sola., ed è il sentimento nazionale. Noi dobbiamo vedere con simpatia i tentativi-- della Germania, o signori, per trovare una permanente rappresentanza della sua unità nazionale. Noi crediamo che nei principii vi sia una logica superiore alle contraddizioni del momento. (Bravo!) Noi crediamo che quell'opinioné 'liberale germanica, la quale ora comincia ad esercitare una certa influenza anche nell'indirizzo dei Governi, comprenderà che la sua opera sarà resa molto più agevole quando essa saprà distruggere ogni vincolo di complicità con quegl'interessi e quelle ambizioni che non hanno nulla di comune cogl'interessi e colle ambizioni che importano .alla grandezza . della Germania. (Bravo!) Io non ho mancato, o signori, di cogliere ogni occasione che mi si offerse in via ufficiale, e dirò anche in via extra-ufficiale, perchè il Governo si facesse l'interprete di questi, che io credo essere i veri sentimenti dell'Italia dspetto alla Germania. Ma egli è vero pur anche c;he i nostri attuali rapporti diplomatici colla Germania rendono assai difficile lo sviluppo di questa politica. Diffatti la Dieta germanica e la massima parte degli Stati germanici l

35 non ci hanno riconosciuti. Noi abbiamo colto con piacere l'occasione di annodare dei rapporti regolari con quel Governo a cui testè alludeva l'onorevole Guerrieri, il quale sotto l'indirizzo d'un principe illuminato e di un distinto uomo di Stato pratica una politica sinceramente e schiettamente liberale e nazionale; abbiamo colta con piacere quest'occasione (non ce ne vantiamo come di un gran trionfo), ma abbiamo colta con piacere quest'occasione, perchè gli Stati oggidì non si misurano soltanto dall'ampiezza del territorio e dal numero della popolazione, ma anche dalle idee che rappresentano. (Segni di adesione) Ed i rapporti che abbiamo avuto col granducato di Baden ci han provato quali utili e fecondi risultati si potranno ottenere un giorno quando la Germania ci renderà giustizia, e per i reciproci interessi materiali, e per i reciproci interessi morali, coi rapporti regolari che si stabiliranno un giorno tra la Germania e l 'Italia. (Bene l Benissimo!) L'onorevole deputato interpellante mi chiedeva infine: che cosa avete fatto in Oriente e nei Principati Danubiani? Risponderò a quest'ultima domanda e quindi dirò qualche cosa al mio onorevole amico il deputato Macchi che m'interpellò sugli affari di Tunisi. L'onorevole deputato La Porta non mi ha chiesto un programma generale di politica in Oriente. Di fatti nel periodo ora trascorso non è sorta' in Oriente alcuna di quelle grandi crisi che obbhgano a cercare nuove combinazioni. L'Italia, o signori, ha il grande vantaggio di avere in Oriente una posizione determinata nettamente dal

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