Discorso del cavaliere Emilio Visconti-Venosta ministro per gli afffari esteri

29 matica che non era senza pericolo per noi, perchè si svolgeva sopra un terreno che non poteva essere il nostro; essa apriva un'altra fase diplomatica su un campo, in cui la politica italiana- poteva ~volgersi, come nel s~w naturale elemento, senza falsare la logica dei pro.;: pn prmCipn. . Non è mio intendimento di riandare le difficoltà che incontrava la proposta del Congresso generale, nè voglìo esaminare il valore delle obbiezioni pratiche ad essa mosse per parte specialmente del Governo inglese. Forse quel piano.ntm potrà che gradatamente effettuarsi, fors'anche noi saremo costretti a desumere dalle imperfette condizioni del presente i mezzÌ necessari per affrettare . l'avvenire. Ma quando il sovrano che regge i destini della Francia dichiarava necessario, per ottenere uno stabile assetto della pace europea, di sòstituire, al diritto fondato sui trattati del 1815, un sistema di diritti razionali, quel programma doveva essere anche il programma dell'Italia, come era quello dell'opinione liberale di tutta l'Europa. Scendendo da queste considerazioni generali a quello che più davvicino ci tocca, noi accettando dovevamo mostrare la nostra convinzione che le questioni itaJiane non sono di quelle che temono la discussione; che la questione di Roma e quella di Venezia non temono · la discussione davanti ad un Congresso, in cui si acco- .glie la sapienza dell 'Europa. Ma accettando il Congresso noi dovevamo avere la certezza morale che le questioni italiane appunto vi 'si sarebbero trattate. • Diffatti 'io ricorderò alla Camera un fatto che certa- •

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