Controinchiesta sulla morte di sette alpini in Val Venosta il 12 febbraio 1972

APPENDICE Controinchiesta sulla morte di sette alpini in Val Venosta il 12 febbraio 1972

Qpeslo è un giornale aulorlualo. Xun puu eS!l!.'rc Sl.'(JUcs1ra111da ncssunu PROLETARI InD UISA Non dimenticheremloa strage di MalgaVillalla! Basta giocare sulla nostrapelle I 1001 UNO •rc,o,i411 rp " Ult11111!0 &IIQ &OICI ., .:--.· Organizziamopcierprocessaregli ufficialicolpevolie lo sfrullamenlo della vita di caserma ! " ... Molti di noi hanno capito che la responsabilità della morte dei sette alpini e del sistema stesso dell'esercito, che gioca sulla pelle di noi proletari, e degli ufhcial1 degli alpini. Non scorderemo mai l'a,,asslnlo d1 TOGNELA, BOSCHINI, BELLINI, MARCOLONGO, DEL MONTE, SAVIANE e CORBETTA• Ciascuno di noi pote~a essere al loro poslo La <'11lr:i ,lei seu~ p1ulci111ti in d1\l~ mCHII a moti" \ 1lllaha i: ~U "fficiah c-hr li h:anno m:thdD11la,~ • o.,mpicre l"c\41'• citazione e che sapc,·;tnO'henissimo che c'eri' un rcncolo certo d1 1.lnh~ U hanno r,1111 m11,t1arc per la propria Jlor11 rirc- ~u,:k.i, aJi IIJU\nod;Ho nu.Bo d,a non hm.1.&ona\·ano, non hanno rauo acrh·are i soccorsi Loro hanno giocalo alla p•rni, I proletari hanno avulo allre selle vhllmt. Questa ,•olla è toccala ai s:ette del" Tirano•: e la prossima ,·olla? ln rt'ilhà 11111d1el iC'!nef'C ne cr.ano cl) •~n\l ur"' Wht'. e llllll b ,i111 dqll 11lp1n1 :u I\OlltC 11ll'lnqn,i del mrh.o U' ~:::! ::~:.c.=i,.rr.~:cor.~==-- l:.~1~~ìi1t !:!'::i1:\!!:~r.· ~:,~~" dlcono C'lw l°Alplnu tkl·~ OK'tt pron10 11llc imprc:w,ardue,,e anctw • ACliftaJc la pro. prta , ta M• per <'.hl, per <'he c-o.s,.1 Non CC'tlO per km>. C ttcmtnctW) ~r h1 • p:Urlit • ~'\:'f !~nr i,;:1:;;,!!: ";.",~,;.":~ ba1kl • e1 ,rruna. OmLlli 11bbi~mocap thc J'kk-1 J<l1;1, ~•ria t .ok> UJl lf"il m(n10 che uuoo I p.tdronl e gli ,ln.111 Pfr rarc:1 ~tar buoni e r--:r ttltC :all'o dlm,a, I sette pro! no • non sono si luto dalla mont Lorenzo, a.ndorc Sie ipocrite balle lare sulla • ~,cw-are M: kmp~ cuot e condannare . nutc luori e che tll al1i cormndi ,:ano di tenere nascoste: - i,n,'t'd bllh del pcrkolo. I bollèt 1lnl , , L ,, ... 1• I J. no"rbpumJere i responsabili degli urfici 0AI0 Ji Mallcs l: Ji Me,-ano, che hc1rmo f1mu I Jt1:u1' ~11:llc ~-11.,w,11 .c-nt11 P''-' :::-&:d1 1 1 1~;~:~~~."i ~:Wtr':,;.t t.Cluadr\• di klttOl1IO, • e<nn11nJJJetl111 -4q· C'Ulflp;IFJll.1 .\b. ~ìlt uuo I o.pi dr1U 11111 comandi ::ii quali lutli quesli sen:izi e qui...-- sli ufficiali sono sollOposli Essi sono: - &"uh~~.L~1 1: (~11:~~~;~ 1 ~a b:~~~~;41 srerilo) • lcn cui. Cruccu, comanùanle 5° Rtt; Alpm1, Merano IC'n col Mauh)f'W, ,\kr.ino Ùu fklllluufll ,• ,u ,~, ,J1n rM,1\lt')c-1\ P,:,• un p1u; p,11. I lltJJ:V.M)h': H:u'bwtJ. tunu muore Non ci sono solo le slam• T1r;a;nu. ,\!.)I~ ~, :tnthr I S2 pJ1~utl\t1 mut1I rhuu'. 00,,111obleHM 1t..•,10run n IU ,:::-~~rl:•:-!•,'t';!!r -~~ - \agli.ama~ ~ """P nt\: In 1.ttt.dlu :.J una htkllOn( f:1111a1ll'o-'~ frn. Ime, 1 I 'Ubllu, ,b"'• ml111a_n.• qll uhlml anni muhl rn> ,-.,no 111. r • tw.Jnn11J1 k-100 1n dhfu wno murh dt1r.in1e k t.ta" Nt"llo Il èlliviotll, Pf'r l":as,l1,1cnn ,.anltlria xhlforokum ,.-. pc-r la nla .,,u1'Cb e 111utllt-dl c-aM"rmi eh~ n....-1h11k1d11). lnu1Ur p-.trl:,~ dc-1 r1,,..-um-t11i, frillk'm • o PltbrtNl, h,illllto Mlk mala11w: •pc'1~ ~,rn:,nc-nli dw. \I ('Onllnu.at1,1 ~n, k"'"'• , cumraggono ecc • n.,~IJ:uno ~ 1,c, lk'11mM•1:,11 tulll E' ,h,.1ro c-hc I radroni e1 ,oal.Ono toto cnl e I, Cfl I 1td t,lt&.&li •~Il uhi sr11.J11au-e fk.ln 1mpo1·1a ::i lorv 11~n1c: dcliii n11I \Oftù ffliOfHe wni11,111;1,u (\'oli nostra ,1u1 In fabbnta. ali nctT!Vio. ~-e I 11 nc:IS«- C"tl"-','rnk:' JcllAl10 Adl ci wnu~mrl't'loroanchefC'""'::tbdhii;a. nel l'u.u. ift.k·ul • 1nc1dc:11•1.1 le,,,._,, f.(H,o ancora più rr,oqucn1i,e tono V Ml the \1."1tphU llt-.'11111IUlli I .ol- in (UllltnUiU llUfnrftlO. QuolO Jo thlam:,no ~ :,n:::t!i:~:t~::. '!'~:l~::~~~~~tr'~:g~c~~!i!~ 9;7 ~ n~ ordini pcricolo,J forluni; solo alla "Italsider. di Taranro ""lii uh1ml dicd ;innl d ,ono ••U 2.to n1or,, I! qua,:I 100-000 1nl'or1un1 Poco tt":m pu b J~ operai ~ono monl • Moob1konc, dqll opr.1~1 ~lii M mua~ p U di uno al ~~~;i ,~ba:ic,~ ~ ~~~c~u~~I ft."11lC) per ,empie la dta. Nell'eS,('fCllO t impos,-,bill' I""(.~ nolizic esatte. rc:Rhi- cer4'ilno di tcncrk scgr~te. La lolla che conduriamo conlro la noehilà ìn caserma e in fabbrica è una lolla per li dirìuo alla \ila conti-o chi ce la vuole disl ruggere.. Non siamo _pQl/zlolll, non siamo crumiri! ~ :o le p,iaci;;t•~~;~~;~;\f,~:•;ui.:; 110h\•l4f'ttl'le I" .,~no deuo. hllll lo ..._pe:nno. POC"hl & ontl pt Htt..J 11 a,pll► 'l nu W;11f, , cn rihuu1111d, m.-m~rc Tuili :r.appiamu cosa sta !\Ucccdcndo urn in Tl:ili::i: \·ccli::imu che c'C l::icdsi e che r p;u,1,-.111 •u:umu n,..,:,nJu J, fotb fQ!r.'rc :111111,ke:an .111,:mJu 11u,,tu dc-Ilo \Ull, Il mi,l;u.Ju. ffk.'lh.-mlt, r;,ur.1 C'OU I f'h\:ht.1 um 1.- - hh ". un, l,t rul11b "" i c,:ir:.binh.•n r padroni hannu una ~ros~:i paura, e c1!1cn11u di usai.: due nrmi: sullo slesso percorso ed era staio punilo. li com::indantc del., Tirano", Barbieri, lo sape,•3 benissimo, perché il giorno prima della strage era !>lato sul GII ufficla\l hanno paura posto: - Incompetenza «1m1nale degli uHiciall. Hanno scello un 1~8\llo sbaglialo, ideale !iolo ;:,, JU'O\~are !il.t\lUC; - servld tecnld assenti, mancanu ddle norme di sicun.-ua, Non c'era una radio chi: fonzionasse. 150 alpini a\·c\·anu in tutlo 2 lorce elettriche, m.\rci,:n-anu senza rispettare la disl::in,.o di si..:urct.z:1. non iwevano sgan'cialu i cordini <mli - ,•abflGa: - ma.am.a del servizi di soccorso. L::i squadra di socçono, an1.iché <fllil'e la comp:.;nia, si ll'lh'll,·a ::i Silandfù Queste arfermazioni sono tull.: vere e documentabili. Dell'omicidio dei sette alpini dovranD;_i partl' ntr,tra nbbW1111.1 r1!i cumi11ciatu a proc,.·~..;th" 1 h',puù."'1hd1 Udb slr:.i- ~,:. In molti:r.s11"'-,; • ""-'flllt.• :l \kr-arou. :\talks. SilanJru, Clot..-nra. Oi..t,h,;11...,1S.., CanJidu abhiamu '"'l»\'"'"'0 la 110,lr.1 condanna nm pil.'1.'Uli ~-•oprri, cun r1l1u1i ,.·olldli\·i, con th,t:u:o,;iuni ndk 1:,111w1:1tL', ,·1111 .o:.~,.·111bke 1wlk qu,ili 11u11.ihh,o.,mu ri,rarmialu l:1 i.:1ilica agli uf11d;,l1 :\'011 !'.\.'IIL' ,1 11ic11lc '""'-• t:i f~li1i111, ·rdu 1111111imidire i cumfUt"'' 1k. dhtnhu,.,...11011 i Holanlini Jd PIO. IIUII ~•\\.' t.11"I ,,lf11.uuli ;1bhia11n 111...- 11lfiir,"l11 ♦ I J11a!MJ\•lk \.~'t\1la1iu11i, ,illl'lllala l:i ili~iplin::i l: da1,., ;,kun,.· lk.:111,.·pcr 1'\'1t~n• • ca,;ìni • piu i,;ru:o,;;i,uppu,,.· . .lu~l: lu puh,,111110;,ihbianu reagito d11r;11m•111de,::in1) le elezioni a11ticlpate, con le quali ccrermu di prl:pararL' un !).O~-c•·nu• forte • l: di ,brc ant:u1·,:, un po' di illusioni .:ti p1uh:lari di puler ùecidcrc qualcosa con il ,olu; 1) Il rafforr.umcnlo e la foscislfnazione dello slalo, do,.· l:i m;111i,:1adm:, jll'I prcr,.,_.,~_. ~,1ua111111i d ~'111,'1P,.'tV.'I. 4-olllC r••lr".iuno L'"'!\~·10.:L'llL· in lutmu ndk '°41~ ::~:l::~,'.il::;~;:;•:~::;~:,w; .~.~~ ~:•~lu ~·,domi.,.. pio.:d1i,mo d,1ppL'1h1tlo, la poli1ia, h1 m:i~blrnlllfi\. Ì p111rç,t.J. ,\1a 1111:iltru ITil'f/11 d1e (\...,-\olllU di ulilin:m.: !'>i:11110 noi. p1ulctari in di\·isa. Ccrl::lTiunol.· di lnL"lll'rd conlro noi &lessl, con-

IL DOVEREDI ESSEREAMMAZZATO La mai t ina del 12 febbraio 1972 muoiono a Malga Villalta, nell'alta Val Venosta, travolti da una slavina, ma uccisi dalla macchina militare, 7 alpini. - BELLINI ROMEO, 21 ANNI, di Foresto Sparso (Bergamo) - BOSCHINI GIANFRANCO, 21 anni, di Suisio (Bergamo) - CORBETTA LUIGI, 21 anni, di Sovico (Milano) - DEL MONTE VALDO, 21 anni, di Trento - MARCOLONGO DOMENICO, 21 anni, di S. Giovanni Lupatoto (Verona) - SAVIANE DUILIO, 27 anni, di D'Alpago (Belluno) - TOGNELA DAVIDE, 21 anni, di Stazzona (Como) « Sono caduti compiendo il loro dovere. Sono caduti per la Patria» (dalla orazione funebre di mons. Corazza, ordinario militare). « Me l'hanno ammazzato» (Mario Marcolongo, padre di uno degli alpini morti sotto la slavina in Val di Zerzer). In questo delitto di classe vi sono due momenti nei quali i padroni hanno dimostrato un indubbio istinto di conservazione: nella repressione e nella retorica. La repressione militare, come momento fondamentale della aggressione delle classi al potere contro il proletariato usa di norme e metodi fascisti, spesso è attuata da ufficiali e graduati fascisti; ha come scopo la distruzione di ogni autonomia proletaria nell'esercito. Come "cane da guardia del capitale" il soldato non ha bisogno di avere autonomia alcuna "se non si vuole distruggere la sua 174

attitudine suicida: la guerra contro il nemico esterno richiede uomini, la guerra contro il nemico interno schiavi, macchine" (K. Liebknecht). Nel delitto di Val. di Zerzer la repressione è stata esemplare, preveggente e tempestiva. Prima del delitto era vietato evitarlo, dopo il delitto è stato vietato parlarne. Si trat:ta di una combinazione di violenza e paura che ha sempre assicurato l'impunità alla cla se omicida cui appartengono i responsabili della strage. Il generale Mario Di Lorenzo ha dichiarato che i 7 alpini sono stati traditi. Dalla sfortuna. La sfortuna che in alta montagna nevichi d'inverno, che con lo scirocco la neve si appesantisca e cada per forza di gravità. Evidentemente il generale Di Lorenzo ha la sfortuna di non sapere che la metereologia è una scienza. Dopo l'omicidio gli ufficiali hanno detto che i morti sono loro e, da aquile quali sono, hanno definito "sciacalli" coloro che volevano saperne di più ui fatti. Lo spinto di rapina della borghesia è anche in questo caso accompagnato da un disperato senso di colpa. I sospetti di delazioni, il panico per le indagini, la furia a vedere le co e messe per iscritto s1 allarga e trascina tutto l'apparato repressivo dello stato. I carabinieri e la polizia spiano le mosse dei parenti, strappano i manifesti affissi, tengono d'occhio. Ai militari si impedisce di parlare, nelle indagini i testi vengono inibiti "per evitare la disper- . ,, s1one . «A pagare però siamo sempre noi» ha detto durante il funerale il padre dt un alpino ucciso dalla slavina. Ma qùesto a chi importa? «E caduto per la Patria», o, come ha detto il fascismo, «la vita è nulla quando sono in gioco i supremi interessi della Patria» (Mussolini, 28.10.1925). I proletari in divisa sanno che queste tendenze necrofile fanno parte della migliore tradizione militaristica dei comandi i quali sanno sempre chi è la Patria e chi invece deve morire. Loro sono gli strateghi di professione. La morte dei 7 ha aperto un solco tra due classi; da una parte i patriottici: generali, cappellani, ministri, associazioni d'arma e giornali padronali, tutti sopravvissuti al loro stesso dolore per la "tragedia", e dall'altra chi muore per essere stato costretto a 175

obbedire e a lavorare, a marciare con le valanghe addosso e a obbedire. L'esercito baluardo della patria (come ha scritto il fascismo sui muri di Glorenza, nell'alta Val Veno ta,dove sono le caserme degli alpini), sembra applicare con rigorosa fermezza il programma di mettere opposizione tra la patria e la vita dei soldati. Nessun patriottico è rimasto sotto la slavina. I compagni dei soldati morti sanno che essi non sono stati traditi dalla sfortuna, ma dal dovere di obbedire. Essi non avevano nessuna possibilità di evitare la morte non certo perché la slavina fosse imprevedibile (tutt'altro), ma perché anche prevedendola (e molti l'avevano prevista), dovevano obbedire all'ordine di proseguire l'esercitazione. In centinaia di processi militari i proletari vengono giudicati e condannati in base al dovere di e eguire gli ordini anche e ingiusti. Il legislatore fa cista dà ordini all'esercito anche oggi. Eccone uno: il militare non i può rifiutare di obbedire ad un ordine neppure se fosse contro un suo diritto (per es., alla vita). Il fascismo ha pen ato di escludere per il militare la pos ibilità di difendere i propri diritti. Il codice penale fasci ta è oggi la legge ulla quale vengono giudicati i proletari otto le armi. Con que ta legge essi vengono non solo espropriati dei loro più stretti intere si (il alario per il lavoro prestato, la libertà di fare politica, ecc.), ma anche, come a Val di Zerzer, della ste sa po sibilità di decidere se stare in vita invece di morire "per obbedienza". È stato avviato un processo contro i presunti re ponsabili dell'omicidio dei 7 alpini. Lo tato borghese è dispo to a parlare di imprudenza, sia pure colpevole, di alcune persone pur di non mettere in di cu sione le ragioni ideologiche di questa trage e delle altre ad essa precedenti. Noi diciamo che i 7 soldati ed i loro compagni ammazzati durante la leva sono morti: - perché un codice penale militare fascista li priva di ogni diritto, anche quello di sfuggire alla morte; - perché i padroni che comandano dentro e fuori l'esercito non sono disposti a cedere una parte dei loro profitti per assicurare i servizi di prevenzione degli infortuni ed i mezzi di· soccorso; - perché il governo della borghesia e le gerarchie militari formate 176

alla scuola fascista si sono messi d'accordo per proseguire durante il periodo di leva l'attacco alle condizioni di vita dei proletari. Gli operai che già in fabbrica sono stati derubati dei frutti del loro lavoro e privati di ogni potere perché "la roba é del padrone", che in caserma erano tati impediti di pen are "per obbedienza agli ordini", in Val di Zerzer, per obbedienza, sono morti. 177

SABATO12FEBBRAIOL:'ORDINE RADI ANDARE A MORIRE PERCHE'? La forcella Slingia nell'alta Val di Zerzer comunica con la valle Slingia. Si tratta di due valli laterali della Val Venosta, in Alto Adige. Lo "scavalcamento" di questa forcella costituiva una meta molto ricercata ed ambita, perché non era stata compiuta da nessuno in precedenza. Nei campi alpini lo " cavalcamento" in genere costituisce una delle operazioni più difficili in quanto le truppe si devono portare ad una quota molto elevata e superarla con tutte le difficoltà della salita e della discesa, con pesi molto elevati e, se c'è anche l'artiglieria alpina, con i muli, i quali portano pesi anche di 150 Kg .. È ovvio che queste difficoltà diventano enormi se siamo d'inverno, cioé con la neve. In questo caso le squadre devono prima tracciare il sentiero, una specie di trincea, scavandola nella neve. Per questo sentiero passeranno, senza sprofondare le truppe con i muli. La cosa più normale, negli "scavalcamenti" invernalj, è che tutti, più o meno, fanno una fatica bestiale e che frequenti sono gli incidenti: gente che cade sotto il peso deglj zaini e delle armi, muli che scivolano e che travolgono sotto di sé i conducenti, alpini che-partono con inizi di influenza o di bronchiti, o con le vesciche e che ritornano con la polmonite. Se poi un mulo cade o si fa male, la colpa ricade sul conducente: è normale che il conducente rischi la vita per salvare quella del mulo, o per recuperarlo se è scivolato a valle, ecc. La bestia è più utile all'esercito e trasporta pezzi di obice di valore: è "ovvio" che si badi più a lui. 178

Nel nostro caso lo scavalcamento della Slingia era atteso con interesse dagli Alti Comandi, era una novità, una specie di scoperta. Il merito e la ~loria di queste operazioni va normalmente al capitano e al maggiore suo superiore, che sono i primi a compiacersene. Non poco orgoglio per le imprese compiute va anche ai tenenti e sottotenenti. Per gli alpini il pensiero principale è quello di "togliersi dai coglioni" anche questa grana, tanto per loro si tratta solo di fatica imposta, di pericolo e di ordini da eseguire, nei quali loro non ci guadagnano proprio niente. Il piano prevede un'esercitazione a fuoco dalla forcella, una vòlta raggiunta, e quindi la di cesa sul versante opposto con arrivo, verso le ore 12 in una località dove gli alpini consumeranno il rancio. Tutto qui. Per chi batte i denti nel suo sacco a pelo a 2000 mt. d'altezza aspettando le ore prossime per poi uscire e mettersi in marcia nella notte "questo piano" non esiste e le circostanze del momento influiscono decisamente. PREVEDIBILITA' DEL PERICOLO Nella Malga Villalta, a 2080 mt., dal pomeriggio di venerdì c'era la 491 compagnia del battaglione "Tirano". Come molte altre compagnie, da qualche tempo, era formata da reclute, ed era denominata "comeagnia sperimentale". Sono cioé soldati che non hanno fatto tutto il periodo di addestramento, ma, dopo un breve periodo di CAR, vengono subito inviati ai Reggimenti dove iniziano la vita normale di soldati, compresi i campi. Questo é un provv~dimento preso per dividere i soldati ed evitare il pericolo del CAR, dove più frequenti sono le insubordinazioni e più ampia è la capacità di organizzazione e di lotta. Quasi tutti i soldati della 49' erano dunque giovani reclute, da poco tempo sotto le armi. Cosa sapevano del percorso che dovevano compiere? Certamente conoscevano i punti principali e la meta da raggiungere, ma soprattutto sapevano del pericolo, sapevano 'che andavano incontro ad un rischio molto grosso. Questo lo sapevano, e molto meglio, gli ufficiali e gli alti Comandi. Essi solo potevano dare ordini diversi, modificare il piano 179

ongmario, ma consapevolmente non lo hanno fatto. E~c9 per quali ragioni i Comandi sapevano di commettere un assassm10: 1) Da molti giorni tutte le associazioni alpinistiche, il CAI e l'Alpenverein, avevano intensamente diramato i loro bollettini con i quali mettevano in guardia contro iJ pericolo certissimo delle valanghe e slavine e sconsigliavano di compiere escursioni. Questi consigli valgono oprattutto per gli itinerari sci-alpinistici che già si svolgono u tracciati normalmente icuri. Le esercitazioni e le marce militari passano invece, il più delle volte, in luoghi deserti e inesplorati, al di fuori dei percorsi ci-alpinistici, e quindi assai più pericolosi. Il pericolo maggiore deriva dal fatto che da troppi giorni iJ caldo e il vento avevan9 appesantito la neve, l'avevano resa fradicia e pesante creando così le condizioni ideali per la caduta di valanghe e slavine.Non a caso nella settimana precedente alla strage erano ·cadute molte slavine nella zona e in tutto l'arco dolomitico e alpino. Il giorno stesso un alpino era morto sotto una slavina, nella zona di Forcella Scodovacca. Questi bollettini arrivavano anche ai Comandi militari. Inoltre i Comandi di Merano hanno· propri strumenti di rilevazione e di informazione che documentano in maniera certissima .il pericolo. Diventa così ridicola l'affermazione del Generale Di, Lorenzo, comandante dell' «Orobica» il quale, commentando la strage come una imprevedibile disgrazia, dirà: «Dopo una settimana di caldo e di sole, improvvisa la tormenta». E' tata proprio questa settimana di caldo a creare le condizioni climatiche più pericolose, e la neve fresca caduta la notte stessà del 13 non modificava una condizione sfavorevole per la marcia, ma l;i peggiorav'a ulteriormente. La banalità di.. questa affermaziqne di Di Lorenzo, testimonia solo della sua profonda incompetenza._ 2) La 49• compagnia era senza capitano. Il cap. Battù infatti si trovava nella caserma di Malles, per ~vere rifiutato di compiere, esattamente una settimana prima, cioè il sabato 5 febbraio, questo percorso, perché lo aveva giudicato pericoloso. Il piano originale prevedeva per questa data lo scavalcamento della forcella Slmgia. Dopo aver sospeso dal comando il cap. Battù,. i Comandi di Merano hanno dato ordine di eseguire lo scavalcamento iJ sabato successivo ed hanno passato iJ comando della compagnia al ten. 180

Palestro. Intanto le condizioni del tempo si erano ancora più aggravate. 3) Un altro capitano, Fabbri, doveva pochi giorni prima compiere lo stesso tragitto nel senso oppo to con la sua compagnia, la 48". Anche il cap. Fabbri i era rifiutato, sempre in considerazione delle eccezionali condizioni di pericolo, di e eguire la ma!cia. Era stato ospeso dal comando e, sembra, mandato agli arresti. Due capitani perciò, Battù e Fabbri, erano in punizione per essersi rifiutati di andare a morire. Tutto ciò per i comandi di Merano non conta nulla: pare quasi che quanto più frequenti e significativi sono i segnali del pericolo, tanto più decisi sono i Comandi a portare a termine il piano'. 4) Un ennesimo rifiuto sembra che fosse venuto dal ten. Cavallero, 31• batteria gruppo Bergamo Art. Montagna di stanza a Silandro. Comandava il reparto di Artiglieria che doveva fare la marcia assieme alla 49• del «Tirano». Questo reparto avrebbe dovuto tracciare il entiero, preparando così la marcia che poi i due corpi avrebbero dovuto compiere nella notte tra venerdì e sabato. In effetti artiglieri e alpi.ni avevano 1 Ecco co a dice un alpino deUa 49• compagnia: «Battù, pochi giorni prima, doveva fare con i suoi uomini lo tesso fatale percorso, ma nella direzione inver a, cioé dalla valle Slingia a malga Villalta. Date le condizioni del tempo e della neve, i era rifiutato di ese~uire l'ordine. Per questo era stato sospeso dal comando e si trovava in pumzione». n fatto è confermato anche da altri soldati e da un giornalista di Merano. Secondo queste versioni Battù dopo questo rifiuto, arebbe stato mandato ad effettuare lo scavalcamento del Cevedale; qui, mentre aspettava da due-giorni che le condizioni del tempo migliorassero, sarebbe stato raggiunto dalla notizia della slavina a malga Villalta e sarebbe rientrato in caserma. Ma un altro ufficiale, il capitano Fabbri, pochi giorni prima, aveva commesso lo stesso gesto di "insubordinazione", aggiudicandosi vari giorni di punizione: anche qui si trattava di un percor o pericolosissimo da effettuare 10 pessime condizioni ambientali. Battù e Fabbri sono stati attivamente ricercati dai giornalisti, dopo l't t febbraio: né l'uno né l'altro si sono fatti trovare o hanno accettato un colloquio. Tutti i soldati di Malle ricordano inoltre un episodio dell'inverno precedente, e cioé il rifiuto del tenente Barletta, di fare un percorso pericoloso. 181

cercato, già da tre, quattro giorni, di aprire il camminamento ma l'impresa non era riuscita perché la neve aveva sempre ricoperto il sentiero. Arriviamo all'alba del ·13: Cavallero, pur avendo fama di militarista, era senza dubbio un esperto di montagna, e si rifiuta di aprire la colonna con la sua batteria e con i suoi muli. Afferma che è estremamente pericoloso passare, quella mattina, per la pista, ispezionata anche il giorno prima da una ricognizione, e cancellata dalla tormenta nella notte. Poi accetta di mettersi in coda e di seguire la colonna a 150 mt. 5) Molte persone sapevano che la montagna era diventata, in quella settimana, impraticabile. La neve era tanto marcia che gli alpini, camminando, non riuscivano a venirne fuori da 30 cm. Le slavine erano cadute in abbondanza ovunque e solo per un caso non c'erano state vittime già i giorni precedenti. 2 Si sa che un maggiore della «Tirano», conversando con altri ufficiali, aveva ammesso che c'era un gravissimo pericolo di valanghe. Si sa inoltre che un ufficiale di stanza agli uffici dei Comandi di Merano, e svolgente la mansione di responsabile delle ispezioni ai campi e al buon andamento deUe esercitazioni aveva fatto una puntata, nella settimana, anche in Val di Zerzer. Aveva camminato nella zona della malga e aveva notato subito la impraticabilità della neve a causa della sua pesantezza provocata dal vento. Dopodiché se n'era tornato indietro. E' certo che abbia fatto un rapporto e abbia quindi comunicato ai superiori le sue osservazioni, anche se a lui non ~pettavano dirette competenze operative. Tutte queste notizie e osservazioni, poi, giravano tra i soldati ed erano a conoscenza di tutti. Anche la popolazione della Val Venosta e in particolare di S. Valentino alla Muta era consapevole del pericolo. Tutta la gente sapeva del grosso pericolo che si correva ad avventurarsi oltre una certa altezza in quella stagione. 3 2 Per l'esattezza secondo i dati in nostro possesso il 10 febbraio erano cadute 2 valan~he alle 9 e alle 16.C0; 1'11 febbraio altre valanghe nel pomeriggio; il 12 un numero notevole, tra queste aJle 5.45, la valanga che ha travolto gli alpini. 182 I,, I

Non è vero peraltro che ci siano state consultazioni tra i Comandi mi!itari e gli _esper~idel po~to: l'_ese~ci_t<di;s>degna ovviamente di chiedere consigli e mformaz1om a1 « c1vil1», anche se questi vivono lì da 30 anni e conoscono perfettamente la montagna. l valhg1ani di S. Valentino che per diverse ragioni anche in febbraio-marzo vanno in zona sopra i 2000 mt. si regolano secondo le circostanze, il tempo, la neve, i bollettini del CAI, ecc. Tutti hanno escluso che si potesse fare una esercitazione nella settimana in questione. Non hanno detto: « è pericoloso», ci sono dei rischi, « può succedere qualcosa», ma banno affermato che è semplicemente pazzesco e criminale andarci, e per questo loro non ci sarebbero mai andati. Appare quindi con tutta evidenza la colpa degli ufficiali per non aver ritirato l'esercitazione. I segni del pericolo erano stati tali e tanti da superare ogni limite della stessa « ideolo~ia del rischio». Si era apertamente al di fuori di tutti i margini di incertezza, dalle «normali» probabilità di pericolo in cui quotidianamente la vita degli alpini nei campi e nelle marce è sottoposta. Qui si entrava entro confini della certezza, della prevedibilità assoluta. 3 Lettera di un comeagno di Busto Arsizio al Manifesto del 19/2. «E' venuta a trovarci l'altra sera un'amica di mia moglie che si trovava in quella tragica settimana in un l'aese vicino a Merano insieme alla figlia. Avevano fatto amicizia con questi alpini e chiacchcrando venne fuori il fatto che l'indomani sarebbero partiti per quella tragica esercitazione. Tutti in paese rimasero aUibiti e credevano ad una battuta di spirito: era impossibile affrontare la montagna in simili condizioni. Lo dicevano dei montanari che avevano passato la vita in queste valli. Questo la sera prima della partenza in un piccolo bar della Val Venosta. Il mattino dopo, alla partenza, un gruppo di paesani scese in strada a parlare col capitano, del quale purtroppc non conosco il nome, ma rintracciabile. Ripeterono l'impossibilità dell'impresa dicendo che avrebbero condotto a morte gli alpini. La testuale risposta del capitano fu questa: Se ci fosse la guerra, dovrebbero ben rischiare la vi~a! ». 183

LA CRONISTORIA Pomeriggio dell't 1 febbraio La 49' è a Malga Villalra. 'è l'ordine, per il giorn dopo, di effettuare lo scavalcamento della forcella Slingia. Il piano di que ta e ercitazione, come le altre nella zona, è rato fatto a Merano dagli uffici OAIO e· OATIO ver la fine di dicembre. Corre eon abili di que ro pian però ono anche gli uffici di comando d1 Malles, cl ve è di tanza la 49'. Come per gli altri piani operativi, la firma definitiva viene po ca dal generale di Brigata (cioè Di Lorenzo) in persona. Ogni piano ben riuscir accresce i tit li di merito della ca erma, quindi in que to caso della « Wackernell » di Malles. Nei giochi dell'esercito queste cose contano, e i comandanti ci speculano per la loro carriera e per inf ndere uno tupido piriro di emulazione fra gli ufficiali ed anche fra i oldari. Comunque, emulazione o no, entusiasmo o meno, l'alpino è autorizzato solo ad obbedire. Le condizioni del tempo sono cattive, quelle della neve disastrose. In base alle testimonianze perfino la strada che porta alla forcella, tracciata precedentemente dall'artiglieria, è stata cancellata dalle continue nevicate. Un 'ispezione ha appurato che le condi.zion i per la marcia non ci sono (si tratta di un ufficiale-i pettore salito da Merano per una ricognizione segreta), vari ufficiali sanno che esi tono gravi pericoli. I bollettini del CAI parlano chiaro da molti giorni. Da Merano e da Malles non viene nessun ordine di rinvio, nes un cenno per 184

modificare il piano. D'altra parte il comandante della compagnja, per cambiare percorso, dovrebbe chiedere l'autorizzazione via radio al comando di Malles, e tale autorizzazione, nel caso assai difficile che venga concessa, non arebbe arrivata prima di 24 ore data l'inefficienza dei mezzi radio. Inoltre un fatto del genere, nel sistema degli alpini, avrebbe arrecato un grave colpo al pre tigio del comandante della compagnia ( Palestro) e di tutta la compagnia, quasi un gesto di codardia. In partic lare Di Lorenzo, generale coraggio o nel u ufficio di Merano, c n iderava « intom di grave impreparazione» qualsia i variazione rispetto al percor o previsto (que to risulta anche dall'inchiesta della ma~i tratura). Il generale in !tre aveva preannunciato una ua visita .(in elicottero) alla forcella Slingia, per eguire le fasi conclusive della marcia: evidentemente non si poteva turbare il programma del suo spettacolo. Per tutte que te ragioni il tenente Palestro, che pare ia ad una delle sue prime e ercitazioni in montagna, come riferi con molti soldati, decide di tentare, cioè di e eguire comunque l'ordine tabilito nel piano dell'e ercitazione. 12 febbraio Ore 3.30: Gli alpini sono svegliati. La colazione consiste in un po' d'acqua riscaldata con polvere di cacao. Alle 12, dopo lo « scavalcamento » ci sarà il rancio. Ore 4.45: Gli alpini si mettono in marcia. Il tenente Cavallero dell'Artiglieria di montagna, vicino a Malga Villalta con la 31" e la 32• compagnia, si rifiuta di aprire la oolonna con i suoi muli e dice che invece la seguirà a breve distanza. 1 Con il ten. Palestro è il sottotenente Muller, che pare abbia fatto una veloce ricognizione 1 Ecco cosa racconta un artigliere della 31• batteria gruppo Bergamo, il cui comandante è appunto il tenente Cavallero: "Le slavine non erano certo fatti isolati ... anzi piovevano giù un p<>' da tutte le parti; anche prima e dopo l'incidente, noi ne abbiamo sentite diverse, che per fortuna non sono andate addosso a nessuno. Io mi trovavo proprio dietro al ten. Cavallero. Dopo la caduta della slavina, lui ha subito dato il dietro-front. Ma dopo pochi passi, proprio vicino a noi, ne è caduta un'altra, ancora più grossa. L'abbiamo evitata per un pelo". 185

subito dopo la ve~lia e~ viste le condizioni del tempo, non è dell'idea di muoversi. Infatti nevica, c'è la tormenta, il sentiero è invisibile. Su 200 uomini solo due hanno la torcia elettrica. Non si vede niente, i fa fatica anche a sentire voci e rumori. Per questo i soldati camminano uno attaccato all'altro, anche se la distanza di sicurezza uggerisce di procedere come minimo a dieci metri l'uno dall'altro. L'ordine di distanziarsi non viene dato. I soldati hanno in dotazione una cordicella ro sa, di circa 15 metri (cordino ami-valanga); serve per mantenere la distanza di sicurezza e per essere più facilmente ritrovati se si viene sepolti dalla neve. Gli alpini possono sganciarla e scioglierla solo e c'è un ordine specifico. Anche quest'ordine non viene dato. Ore 5.40: Gli alpini camminano ancora assai lentamente. Seguono una traccia di sentiero quasi invisibile. La strada che percorrono taglia un ripidis imo pendio dal quale possono cadere slavine. Ci sono anche altri percorsi, ma pare che nel piano dell'esercitazione sia segnato 9uesto percorso e non altn che immediatamente appaiono pii1 sicuri. Su questo punto dei possibili percor i per raggiun~ere la forcella Slingia ci sono diverse interpretazioni da parte dei militari. E' comunque sicuro che esistono almeno altre due vie, al riparo da lavine, ma gli alti comandi nel disporre il piano hanno celto .,quella più pericolosa (vedi più avanti la relazione della guida Kossler). Ad un certo punto, dopo questi primi 40 minuti di marcia il tenente Palestro, che è in te ta, si ferma. La colonna non ha percorso più di 300 metri dalla partenza, ma la debole traccia del sentiero è scomparsa sotto ima slavina cad,~ta da poco. Il tenente ordina l'alt, poi subito il rientro. A questo punto i soldati capiscono il pericolo e cominciano a P,rotestarè, chiedono di proseguire più in fretta. Il sottotenente ordina il silenzio e subito il dietro-front. Palestro e Muller ripercorrono in senso inverso la colonna per riportarsi alla testa e tutta la colonna iniziaa muoversi per il ritorno alla Malga. IJ gruppo di coda (composto da mitraglieri, mortaisti e cannonieri) inizia a precipitare rotolando nella slavina. La slavina è piccolissima (solo la parte che cade sugli alpini perché più in alto, durante la discesa, si è frantumata in più fronti), il fronte non è superiore ai venti metri, travolge una ventina di uomini: è chiaro che i soldati erano addossati uno all'altro. Se ci fossero state le distanze di sicurezza non più di due 186

alpini sarebbero stati travolti. Nessuno della colonna, sente nulla: tutto si svolge nel silenzio, gli eventuali rumori del precipitare della slavina sono coperti dal vento. Ad un certo momento si sente qualche urlo. Palestro ordina il rientro, e tutti tornano a Malga Villalta. Sul posto restano tre alpini. Ore 6.00: Alla Malga c'è un rapido appello, mancano piu di venti uomini. Si cerca il collegamento via radio con il fondovalle ma la radio non funziona. A Malga Villalta non c'è squadra di soccorso, e nemmeno a San Valentino e a Malles. Il regolamento prevede che ci debba essere, alie palle dell'esercitazione, una squadra di soccorso con medico, infermieri e medicinali. Perché non é presente ora? Si saprà dopo che la quadra di soccors~. era molto lontana, a Silandro, a 30 km. dal po to della trage. Muller parte con gli sci per correre a valle e dare l'aliarme. Nel frattempo sul posto vengono improvvisati soccorsi. ln tutta la compagnia di 200 alpini ci sono tre pale, attrezzi molto leggeri (« quasi dei cucchiai», come hanno detto alcuni alpini). I tre alpini rimasti sul posto della slavina scavano con le loro mani e riescono a tirar fuori i primi soldati sepolti. Dopo poco arriva la batteria dell' Artiglieria che stava vicino alia Malga, con alcune pale e qualche sonda da lavina. La superficie della ma sa di neve della slavina è piccolissima, non più di una quindicina di metri quadrati. Tutto qu~llo che viei:ie fatto è con questi mezzi. I veri soccorsi non arriveranno mai. Di alpini morti ne vengono estratti solo tre; uno per frattura dell' osso del collo, uno per collasso, ed uno per annegamento (nei 20 centimetri d'acqua del rio Zerzer, dove l'alpino è precipitato rotolando nella neve). Gli altri rimasti sepolti sono ancora tutti vivi. Subito dopo la caduta della slavina, accanto alla 31' batteria di Artiglieria, quella di Cavallero, e prima che questa intervenisse nei soccorsi con pale e sonde (sono stati loro ad estrarre la maggior parte dei epolti) era precipitata un'altra slavina di proporzioni assai maggiori, che non aveva fatto vittime. Era come essere sotto un tiro incrociato, senza alcun riparo. Le notizie che nel corso della mattinata arri:vano a San Valentino son contraddittorie: prima si parla di sei morti, poi di quattro morti e quattro feriti, mfine di sette morti e due fer .•~. 187

I "SOCCORSI" .. I ~ I ., ,1f- \· ,, I soccorsi veri non sono mai arrivaci a Malga Villalta, cioé non è intervenuta alcuna squadra specializzata per la ricerca ancislavina, né alcuna squadra medica per il soccorso ai feriti. Le prime persone arrivate a Malga Villa1ta sono state: i pompieri di San Valentino, qualche civile del posto· e, dopo le 13.30 il "gatto delle nevi" con altri civili. Hanno soltanto preso i sette cadaveri e li hanno trasportati a valle. Da parte dell'esercito non c'è stato 188 I

nessun altro intervento. La squadra di soccorso era bloccata alla caserma di Malles, per paura che trapelassero notizie, dalle 10.00 alle 12.00. Eppure, il sottoten. Mi.iller alle 8.00 era a San Valentino, paese a pochi Km. da Malles, pieno di alpini e con telefono. Prima delle 8.00 era già arrivato giù un altro alpino sciatore, che pe;Ò, p~obabilmente per lo shock, non era riuscito a parlare e a sp1egars1. E' chiaro che le cose da osservarsi sono: 1) La mancanza su I posto, cioé a Malga Villalta, della squadra di soccorso che, per regolamento, deve seguire un'e ercitazione. A maggior ragione, date le circostanze eccezionali di pericolo, il numero degli uomini ecc. La 491 compagnia doveva essere appoggiata e seguita da una quadra di soccor o composta di medico, infermieri, medicinali, mezzi di ricerca ancivalanga, mezzi di rianimazione ecc. Si è saputo che la squadra di soccorso teoricamente destinata alla 49• compagnia nella nott del 12 non solo non si trovava a Malga Villalta, ma nemmeno a Malles, sede della 49•, ben ì in un paese ancor più lontano, cioé a Silandro. Perché? 2) La radio. A surdo pen are che gli Alpini fossero senza radio in una esercitazione di alta montagna. Perciò l'ipotesi più probabile è che questa o non funzionasse, cosa normalissima, o non fosse usata bene, cosa altrettanto normale. Ecco cosa dice un alpino, che era addetto alle trasmissioni e che doveva tenere i contatti dalla base: 11 La 49' a Malga Villalta aveva o una "ANGRC9" o una "SCR694". Il Prode!, un tipo di radio assai migliore, poteva essere semmai in dotazione della batteria di Artiglieria di Cavallero. Questo tipo di radio ha una capacità enorme di trasmissione, perciò non ha nessun senso parlare di "zone d'ombra" che potrebbero aver impedito le comunicazioni. E' probabile che non la sapessero usare, o che fosse rotta, o che non l'avessero neanche predisposta per trasmettere.)> Questo del resto è un segreto di Pulcinella: chiunque abbia fatto il servizio militare sa che le trasmissioni hanno successo una volta sì e dieci volte no, e che questo si dà normalmente per scontato, per cui il più delle volte si "finge" di trasmettere (in occasione di visite, ispezioni ecc.) 3) Incapacità di mandare e coordinare dei soccorsi dopo che era stato dato l'allarme, cioé circa dopo le 8.00 del mattino del 12 189

febb. Non doveva essere difficile rintracciare la squadra di soccor- 1 so-fantasma o formarne immediatamente una. Probabilmente non avrebbe potuto fare moltissimo, però c'erano ancora delle possibilità. E' inconcepibile che i primi soccorsi siano arrivati a Malga Vilialta solo verso le 13.00 (i pompieri!). Dalle 8 alle 13 ci sono I cinque ore: in queste cinque ore 4 soldati erano ancora vivi. E' evidente che vi è una totale impreparazione, nell'esercito, a casi di emergenza di questo genere. La stessa criminale faciloneria con cui si manda la gente a morire si ritrova nel panico disorganizzato e inconcludente con il quale si reagisce. Pensiamo solo ad uq fatto: in Alto Adige l'esercito e i Carabinieri hanno vari elicotteri, che 190

vengono esaltati per la loro funzionalità e per essere sempre a disposizione di tutti. Spesso sono usati per modesti incidenti, tipo frattura di gamba, che capitano a sciatori. In questo caso non si sono mossi, anche se sarebbe stata la cosa più ovvia mandarne un paio subito a San Valentino, con un medico e mezzi di rianimazione. I comandi hanno detto che non potevano essere inviati elicotteri a Malga Villalta perché la loro presenza turbando l'equilibrio ecologico, avrebbe provocato altre slavine. Può essere vero, però potevano essere invtati al campo base di San Valentino; inoltre, se potevano provocare slavine, perché nel pomeriBgio e nel giorno seguente, alti ufficiali della Brigata sono andau a Malga Villalta con l'elicottero? Pochi giorni dopo è successo un altro fatto: il padre di uno degli alpini morti, Saviane, è salito a Malga Villalta con altre persone. Dopo mezz'ora venivano sorvolati da un elicottero dei Carabinieri recatosi a spiare cosa facessero. Sappiamo inoltre che il Comando degli Alpini e il serv_izio SID dei Carabinieri, hanno fatto indagini seguendo le mosse del Saviane, evidentemente preoccupati che fosse scoperto qualcosa eh~ si preferiva tenere nascosto. In conclusione quanto detto finora dimostra che le colpe sono gravissime, anche a livello dei soccorsi. Colpe omicide, perché secondo la testimonianza di molti soldati presenti, 4 alpini avrebbero potuto essere salvati, se fosse intervenuta la squadra di soccorso cori i mezzi di rianimazione necessari. Pare che sia stata fatta la respirazione arti.ficiale dai c~mmilitoni. Un laureando in medicina, della Compagnia Comando, che poteva essere inviato alla 49' nella esercitazione .e che sarebbe stato l'unico esperto, è stato tenuto in caserma a Malles. La verità è che i quattro alpinj sono stati lasciaci mori.re ·e che nessun soldato, nessuna squadra dell'esercito è giunta mai sul posto dopo la strage, prima delle 14.30. Abbiamo detto che alle 13,30 sono arrivat•Ìpompieri e civili da San Valentino. Raccogliere questa gente non è stato facile perché la sirena dei Vigili del Fuoco del paese era rotta e non ha potuto suonare. 191

TESTIMONIANZADI UNA GUIDAALPINA )( rorrdl.o.f.l:.~:o... fo~h J.tll~ .n fJi~r-..\i 11-A.', I , I Af-.1'"' \l:Jla.H~ lOSl - Schizzo della zona dove è caduta la slavina. 192

Dichiarazioni della guida alpina Ulli Kossler, che il giorno dopo la strage si è recato sul posto Cono co molto bene la zona, avendovi percor o diversi itinerari sci-alpinistici anche quest'anno. Per questo, quando ho appreso dalla radio la notizia della disgrazia, sono tato quasi certo del Pl!ntO e atto dove essa era avvenuta. Il giorno dopo la ciagura sono salito nella Val di Zerzer, nei pre si della Malga Villalta. D<;>Vevcoonstatare con costernazione che la disgrazia poteva essere evitata. Gli alpini vennero sepolti a circa 2080 metri dj quota, a cento metri ud-ovest della malga, in una pecie di strettoia fatta a "V", sotto un pendio di 350 metri di di livello, larga da 15 a 20 metri, con una pendenza media di 32 gradi, con pendenze mas ime di 40 gradi. C'erano alcuni alberi i olati; era facile· riconoscere chiara1:1entei probabili percorsi delle lavine. ull'altro versante i trova un breve pendio di 30-40 metri. Sopra la strettoia la valle continua con un tratto pianeggiante e quesco tratto arebbe stato facilmente raggiungibile direttamente dalla malga, sulla destra orografica del torrente. Questo percorso appare al riparo delle valan~he. Paò darsi che il gruppo avesse ricevuto l'ordine d1 seguire la traccia (non più sicura) del sentiero e tivo, ma moltissimi sentieri estivi non sono più utilizzabili in inverno e si deve seguire l'itinerario più favorevole, soprattutto più sicuro. Certamente l'autorità responsabile sarà tata a conoscenza del nuovo servizio ami-valanga diffuso attraverso la radio e da un apposico servizio telefonico. o che nei giorni precedenti la disgrazia il servizio anti-valanga aveva ripetutamente consigliato qualsiasi impre a alpinistica. I bollettini meteorologici comunjcavano l'imminente pericolo di valanghe. C'è allora almeno da stupir i che la marcia sia tata intrapresa. Se c'era necessità assoluta di intraprendere questa marcia, allora era più che mai necessario scegliere l'icinerario più icuro! C'è ancora da notare che soffiava un vento forte. Il vento contribuisce in modo notevole, se non decisivo, al crearsi delle slavine. Era buio. In queste condizioni una marcia è ancora più difficile e pericolosa, poiché diventa impossibile l'osservazione del 193

terreno sul quale ci si muove. Dallo schizzo e dalla relazione si vede chiaramente che l'itinerario era stato scelto in modo completamente sbagliato e proprio nel punto più pericoloso è poi succesa la sciagura. FOTO N. 1 S.!gnato dalJa crocetta è il punto dal ~uale sono state scattate le foto N. 2 e 3. Esso, nello schizzo, si trova alla sinistra e in basso rispetto alla malga Villalta. 194 J

Fattori che portano al crearsidi valanghe, che le fanno precipitare; circostanzedalle quali si può capire il pericolo. Qui non vengon pecificati tutti i tipi di valanghe e tutti i fare ri che le provocano, ma piuttost quelli che con ogni probabilità hanno determinato que ta valanga. Uno trato di neve diventa pericolo o in primo luogo per il trasporto di neve effettuato dal vento, e da questo punto di vista è del tutto estranea la temperatura e l'ora (in netta contraddizione con l'opinione diffu a che le valanghe precipitano olo a cau a del caldo e del olc). Per lo spostamento di neve il pendi viene ovraccaricato (con altra neve). Riceve o ì una ten ione che può e sere rotta ad un minimo ulteriore di turbo. La uperfìcie nevo a i pac a fulmineamente su un grande fronte e precipita a valle Ott forma di zolle. Questa è la co iddetta "Schneebrett" (tav la di neve, un tip di lavina). FOTO N. 2 e 3 Danno, unite a sieme, la prospettiva della parte alta di val di Zerzer, fino alla forcella Slingia, che si riconosce chiaramente sulla inistra, in cima alla tenue traccia. La malga Villata e il punto in cui è precipitata la slavina, sono alle spalle delle due foto. Però la foto N. 3 dà già l'idea del forti simo pendio che sovra ta il entiero, l'inizio della zona delle roccette dalle quali si è staccata la slavina, e il limite estremo, in direzione nord, del fronte ul quale i ono scaricate le varie slavine. Appare chiarissimo dall'ampiezza del fondovalle che un percorso più verso il centro del fondovalle stesso (che non tagliasse cioé il pendio proprio alla sua base) sarebbe stato al sicuro da ogni possibile pericolo. La crocetta, all'estrema sinistra, mo tra il punto dal quale è stata cattata la foto N. 4 che riprende frontalmente il pauroso pendio dal quale è partita la slavina fatale. 196 I r

FOTO N. 4 Riprende frontalmente il pendio di 400 metri, con pendenza media di 32 gradi. Si distingue assai bene la zona superiore delle roccette e la larghezza complessiva degli scarichi, che sono stati certo più di uno e si sono allargati verso la base, a forma trapezoidale. Sulla sinistra si distingue la linea spezzata che epara la zona che non è tata toccata dalla slavina. Questa foto non riprende il punto in cui fa slavina si è fermata dopo aver investito la colonna di Alpini. Il riquadro a destra in basso è la parte superiore della foto N. 5, la crocetta il punto da dove è tata scattata la foto N. 5. 197

Quando nevica su pendii ripidi, di tanto jn tanto la neve scivo1a giù, partendo, nella maggior parte dei casi, da un punto solo e allargandosi poi sempre di più (i lavina di neve fresca). Se la caduta della neve è collegata con il vento, è chiaro che il pericolo i raddoppia. Cause che, tra le altre, possono far scattare le slavine: se si attraversa un pendio con pericolo di valanghe, può essere disturbato l'equilibrio assai instabile delle superfici innevate; inoltre, lo spostamento d'aria di altre slavine che scendono vicine. Pendenza del pendio e pericolo derivante: gli "Schneebretter" ono già pericolo i al di opra dèi 15 gradi di pendenza. La neve fresca, polvere a o pesante, può diventare pericolosa dai 25 gradi in su. Seguono qui alcune elementari misure di sicurezza per una marcia su terreno, dove c'è pericolo di valanghe (misure d'altra parte che di norma vengono ignorate dai comandi degli Alpini nel predisporre le marce di esercitazione invernale, n.d.r.): Dopo una caduta di neve aspettare possibilmente due-tre giorni, prima di avviarsi in zone dove c'è pericolo di slavine. Andare solo e è pos ibile controllare il terreno. Sfruttare al massimo i punti più sicuri del terreno (alberi, dorsi, rocce ecc.). Allacciarsi il cordino ami-valanghe e lasciarlo strisciare dietro di sé; è garantita così la distanza minima necessaria fra una per ona e un'altra (almeno 15 metri). Se è possibile, solo un uomo dovrebbe trovarsi in zona di pericolo! Gli altri osservano il terreno sovrastante. C'e così la possibilità di dargli l'allarme in tempo. Nel caso in cui la persona in zona di pericolo venga travolta, bisogna osservare dove egli viene travolto e seguirlo con gli occhi fino all'arrestarsi della slavina. Salvataggio (misure indispensabili, che appartengono alle norme più elementari): Cercare immediatamente sulla neve accumulata dalla slavina eventuali segni dei travolti: una mano o un piede che sporge, bastoni, cordino antivalanga, ecc. Se ci sono più persone mandare subito due di esse a chiedere 198

soccorsi nel paese più vicino. Gli altri incominciano a «sondare» con bastoni ,o racchette da sci ecc. L'aiuto immediato è il più essenziale, perché dopo la prima mezz'ora le probabilità di sopravvivenza diminuiscono rapidamente. Se si trova uno dei travolti, mettersi subito a rianimarlo: liberare bocca e vie respiratorie da eventuale neve, respirazione bocca a bocca, massaggi al cuore, ecc. Se il travolto è in stato di shock il trasporto immediato, se non è molto delicato, è sconsigliabile. E' meglio aspettare il medico, tenere l'infortunato ben caldo e protetto (questo perché molti muoiono per lo shock durante il trasporto). Ulli Kossler L .... FOTO N. 5 Riprende il cumulo della valanga arrestatasi, con i segni degli scavi fatti per estrarre i soldati sepolti. 199

CHI SONOI RESPONSABILDIELLASTRAGE? Generale Di Lorenzo, comandante della brigata Orobica Proviene dall'Artiglieria campale pe ante e, come riferiscono alcuni suoi colleghi, pare che sia entrato negli Alpini per accelerare la sua carriera. E' comunque noto come uomo inesperto della montagna, in quanto privo delle cognizioni tecniche necessarie. E' un formalista retorico, si dedica al bere (nota consuetudine alpina), trascurando così spesso, al di là di una mera strumentalizzazione per i propri interessi di carriera, il rapporto con ufficiali .e oldati. Verso la fine di febbraio è stato trasferito ad altro comando e, prima di lasciare Merano, ha visitato tutte le caserme della val Venosta dicendo che nessuno ha colpa della morte dei sette alpini (lui, già formalmente incriminato anche dalla mag,istratura) e che queste cose capitano per di grazia. E' quello che, il giorno dell'assassinio, in una dichiarazione pubblica, aveva detto che « Gli Alpini erano stati vittime della tropf a prudenza ed erano stati_ traditi dalla sfortuna». E' senz'altro i re ponsabile principale. 200

Col Cruccu, comandante del V Alpini E' il responsabile più diretto della morte degli alpini. E' lui che aveva la competenza sul piano delle esercitazioni, assieme all'ufficio OAIO, ed è lui che avrebbe dovuto ordinare, date le condizioni, un rinvio dell'esercitazione. Dopo la trage ha cercato di persuadere gli alpini della caserma Rossi sulla « fatalità» della morte dei 7 alpini. E' stato trasferito come altri ufficiali, in altra zona. 201

Cap. Barbieri, comandante del battaglione Tirano Carrierista e formalista; figlio di militare, vuole seguire le orme del padre, che si è dedicato totalmente alla Compagnia. Afferma che ciascuno può avere le sue idee, ·ma non manifestarle in caserma. Tiene ad un rigido di tacco fra i vari gradi. Barbieri era salito a Malga Villalta, iJ pomeriggio prima della strage, e, nonostante si fo se re o conto delle condizioni del tempo e della neve, ha dato ordine che la e ercitazione dell'indomani si svolgesse comunque. Ten. Col. Mautone E' piuttosto maniaco e non apporta la barba; vuole i capelli cortissimi e ciò lo rende isterico. Anche lui molto pignolo e formalista, attaccato alle forme della divisa. Un oldato, alle sue dipendenze un anno fa lo ricorda co ì, al ritorno delle compagnie dal campo invernale: «Stava in piedi u una panca al centro del cortile. Occhi lampeggianti. Urlava degli ordini». Ten. Col. Secondino, comandante del V Artiglieria da montagna E' un singolare personaggio, in quanto ha fama di essere socialista democratico. Noto come riformista in cerca di gloria e popolarità fra i oldati, attraverso piccole concessioni e un trattamento migliore nella vita di caserma (nel mangiare). Anche lui ha accompagnato Di Lorenzo nel giro di addio nelle caserme, e ha fatto discorsi ai oldati, congratulandosi con gli artiglieri, perché erano subito intervenuti nel soccorso dei commilitoni rimasti sotto la valanga. Tenente di carriera Gianluigi Palestro E' un efficièntista, che cerca di conciliare interessi diversi; crede neUa perfezione dell'organizzazione e quindi vuole un sistema militare più «giusto». Si interessa dei problemi della truppa. E' stato incriminato anche lui, assieme a Di Lorenzo. E' l'unico ufficiale che, a differenza di tutti gli altri implicati nella strage, è rimasto al proprio posto al comando della 49a Cp. del Btg. Tirano a Malles Venosta. 202

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